Cass. civ., sez. I, sentenza 25/03/2009, n. 7214

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In tema di pegno a garanzia di crediti, il principio di accessorietà desumibile dall'art. 2784 cod. civ. comporta la nullità per difetto di causa dell'atto costitutivo della prelazione stipulato in relazione ad un credito non ancora esistente, ma non esclude, in applicazione analogica dell'art. 2852 cod. civ., l'ammissibilità della costituzione della garanzia a favore di crediti condizionali o che possano eventualmente sorgere in dipendenza di un rapporto già esistente; in quest'ultimo caso, peraltro, è necessaria, ai fini della validità del contratto, la determinazione o la determinabilità del credito, la quale postula l'individuazione non solo dei soggetti del rapporto, ma anche della sua fonte; ferma restando la validità e l'efficacia del contratto "inter partes", comunque, la mera determinabilità del rapporto comporta l'inopponibilità del pegno agli altri creditori (ivi compreso il curatore, in caso di fallimento del soggetto che abbia costituito la garanzia), qualora, dovendo trovare applicazione l'art. 2787, terzo comma, cod. civ., manchi la sufficiente indicazione del credito garantito.

L'art 2800 cod. civ., il quale condiziona l'esistenza della prelazione, nel pegno di credito, alla notificazione della costituzione del pegno medesimo al debitore ovvero alla sua accettazione con atto di data certa, non trova applicazione nell'ipotesi del pegno di titoli di credito, tanto regolare quanto irregolare, ove per la costituzione del vincolo pignoratizio sono sufficienti, ai sensi degli artt.1997 e 2786 cod. civ., la consegna del titolo (nella specie, certificato di deposito al portatore) al creditore pignoratizio ed il correlativo spossessamento del debitore.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 25/03/2009, n. 7214
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7214
Data del deposito : 25 marzo 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C C - Presidente -
Dott. P U R - Consigliere -
Dott. B R - Consigliere -
Dott. C M R - Consigliere -
Dott. D A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO DI BLLELI HOLDING INDUSTRIALE S.P.A., in persona del Curatore Dott. L D, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 72, presso l'avvocato S A, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A F, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
BANCA INTESA S.P.A. (c.f. 00799960158), quale successore della incorporata Banca Commerciale Italiana S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso l'avvocato C E, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati B E, C C, giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 956/2003 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/2009 dal Consigliere Dott. D A;

udito, per il ricorrente, l'Avvocato S A che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l'Avvocato C E che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE UMBRTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per il rigetto o l'assorbimento del ricorso incidentale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Il 12 settembre 1994, la s.p.a. B Holding Industriale costituì in pegno a favore della Banca Commerciale Italiana (Comit) il certificato di deposito al portatore n. 40000582765 con scadenza vincolata al 13 febbraio 1995, emesso dalla stessa Comit in pari data, per l'importo di L. 5.000.000.000, a garanzia: 1) di una linea di credito di L. 19.400.000.000, "utilizzabile per apertura di credito all'esportazione Vulkan - Brema (Germania) con scadenza agosto 1995" accordata alla società B s.p.a.;
2) di ogni altro credito già in essere o di insorgenza futura verso il debitore;
3) di tutti gli altri crediti di cui la banca fosse titolare nei confronti del terzo costituente il pegno, dei suoi coobbligati e dei suoi garanti. La somma di L. 5 miliardi rappresentava un "ulteriore finanziamento" concesso dalla Comit sul contratto Vulkan Kocks, finalizzato quindi a garantire una linea di credito già in essere a favore della B s.p.a. In data 20 febbraio 1995 il certificato di deposito bancario concesso in pegno fu sostituito con altro analogo dell'importo di L. 5.110.000.000, a sua volta sostituito alla scadenza del 14 agosto 1995 con altro di L. 5.243.000.000, e, alla scadenza di quest'ultimo certificato, in data 14 febbraio 1996, la somma di L. 5.400.257.270, ricavata dalla vendita fu "evidenziata" in un conto nominativo, assoggettato a pegno in prosecuzione del vincolo originario.
Il 7 maggio 1996 la s.p.a. B Holding Industriale venne dichiarata fallita.
Con la sentenza impugnata (del 3.12.2003) la Corte di appello di Brescia - in totale riforma di quella di primo grado emessa il 10.7.2001 dal Tribunale di Mantova, appellata dalla Comit - ha rigettato la domanda proposta dalla curatela fallimentare della s.p.a. BHI diretta a ottenere la condanna della Banca Commerciale Italiana al pagamento della somma di L. 5.462.983.966, oltre accessori;
domanda fondata sull'assunto: della nullità del pegno per insufficiente indicazione;
del credito garantito;
della non configurabilità di un pegno rotativo, per cui la somma chiesta in restituzione doveva considerarsi sottoposta al vincolo di garanzia solo alla data del 15 febbraio 1996;
dell'inefficacia del pegno, in quanto costituente atto a titolo gratuito (L. Fall., art. 64) o, comunque, revocabile ai sensi della L. Fall., art. 67;

dell'infondatezza della pretesa di compensare il saldo attivo del conto speciale con i crediti vantati dalla banca.
Ha osservato la Corte di appello - accogliendo il primo motivo di gravame - che l'insufficiente indicazione del credito garantito - correttamente rilevata dal primo Giudice - comportava la sola conseguenza della inopponibilità ai terzi della prelazione in riferimento a qualsiasi credito diverso dal fido di lire 19.400.000.000 concesso alla B s.p.a. perché l'art. 2787 c.c., comma 2, per il caso in cui il pegno di valore superiore a L.
cinquemila, non risulti da atto di data certa contenente sufficiente indicazione del credito e del bene vincolato, prevede non la sanzione della nullità del contratto, ma semplicemente quella dell'"insussistenza del diritto di prelazione, che è istituto operante nei rapporti con i terzi, relativamente al concorso nell'escussione del patrimonio del debitore". Il motivo andava accolto anche se la dichiarata nullità non aveva riverberato effetti concreti nei rapporti economici fra i contendenti, essendo dipesa da altra linea argomentativa la condanna della banca a restituire l'importo di L. 5.462.983.966.
Esclusa la denunciata extrapetizione, perché la curatela fallimentare aveva inteso impugnare, L. Fall., ex art. 64, o, in subordine cit. L. ex art. 67, l'atto costitutivo dell'unico pegno del quale la banca avesse inteso avvalersi per vedere riconosciuto il proprio diritto sulla somma portata dal conto nominativo - a nulla rilevando che la genesi del pegno dovesse essere cronologicamente collocata al 12 settembre 1994 (come sostenuto dall'appellante) ovvero al 15 febbraio 1996 (come sostenuto dal fallimento), potendo la circostanza influire soltanto sulla fondatezza dell'azione intentata - la Corte territoriale ha accolto il secondo motivo di appello con il quale era stata dedotta l'applicabilità, anche in materia fallimentare, ai fini della qualificazione come gratuito od oneroso dell'atto impugnato, del principio di cui all'art. 2901 c.c., comma 2, a tenore del quale "le prestazioni di garanzia, anche per
debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito". Dall'applicazione del detto principio discendeva la contestualità del pegno originario rispetto alla concessione del credito garantito, rappresentato dal corrispondente incremento, da L. 14.400.000.000, a L. 19.400.000.000, del finanziamento per l'esportazione concesso alla società controllata B s.p.a., posto che l'art. 2901 c.c., comma 2, fa salva l'onerosità della garanzia - qualora sia contestuale alla concessione del credito - anche quando sia prestata per debiti altrui.
Accertata, in concreto, la natura di pegno regolare della prelazione concessa - e ciò alla luce delle pattuizioni delle parti - la Corte di merito ha accolto il terzo motivo di appello con il quale si lamentava che erroneamente fosse stata esclusa l'operatività del patto di rotatività del pegno.
La Corte di Brescia in proposito ha rilevato che l'aumento del controvalore numerario dei certificati emessi in rinnovazione alle diverse scadenze risultava essere il portato dell'accreditamento degli interessi maturati alle singole scadenze. Talché non si era verificata la sostituzione di un bene di maggior valore a quello originariamente assoggettato al pegno, ciò in applicazione del principio di cui all'art. 2791 c.c., secondo cui se è data in pegno una cosa fruttifera (per tale intendendosi anche la cosa produttiva di frutti civili) il creditore, salvo patto contrario, ha la facoltà di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale. Nel caso di specie il patto contrario si era atteggiato nel senso, più favorevole al debitore, di estendere ai frutti civili il vincolo pignoratizio, anziché autorizzare il creditore a farli propri. Andava condiviso, poi, l'orientamento favorevole alla legittimità del pegno rotativo, con la conseguenza che, dovendosi collocare cronologicamente la costituzione del pegno al 12 settembre 1994, la contestualità di essa rispetto al credito garantito escludeva che potesse applicarsi la sanzione d'inefficacia L. Fall., ex art. 64, così come la revocabilità L. Fall., ex art.67, n. 3, mentre l'essere stata costituita oltre l'anno dalla
dichiarazione di fallimento escludeva la garanzia
dall'assoggettabilità alla revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2. Infine, la Corte territoriale ha accolto il quarto motivo di appello con il quale si censurava la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto illegittima la compensazione operata dalla banca della somma di L. 5.462.983.966, portata dal libretto nominativo intestato alla B Holding Industriale s.p.a. con il debito fideiussorio di questa nei confronti dell'istituto bancario. L'appellante da un lato sosteneva che il debito verso la società, compensato, non sì identificava nell'obbligazione restitutoria avente a oggetto la somma portata dal conto nominativo, bensì nel costo di acquisizione (L. 5.000.000.000) del certificato di deposito utilizzato per l'operazione del 12 settembre 1994 e, dall'altro, che il credito della banca verso la B Holding Industriale s.p.a., era stato ammesso al passivo fallimentare.
La Corte di merito, peraltro, ha diversamente qualificato il rapporto ritenendolo sussumibile nello schema giuridico del pegno di crediti, disciplinato dagli artt. 2800 e seguenti del c.c., con la previsione espressa che il creditore pignoratizio, dopo avere riscosso alla scadenza il credito sottoposto al vincolo, ne effettui il deposito in luogo stabilito d'accordo ovvero determinato dall'autorità giudiziaria e, se il credito garantito è scaduto, il creditore può ritenere del denaro ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni, restituendo il residuo al costituente. La realizzazione dell'ultimo certificato di deposito con la corrispondente acquisizione della somma di L. 5.400.257.270, aveva, quindi, integrato la riscossione del credito costituito in pegno e, essendo frattanto venuto a scadenza il credito verso la B s.p.a. con la revoca degli affidamenti comunicata il 5 novembre 1995, già prima del fallimento la Comit aveva titolo per introitare la

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