Cass. civ., sez. VI, ordinanza 03/09/2020, n. 18333

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. VI, ordinanza 03/09/2020, n. 18333
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18333
Data del deposito : 3 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente ORDINANZA sul ricorso 28632-2018 proposto da: A C, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE -

ANGELICO

38, presso lo studio dell'avvocato V S, rappresentato e difeso dall'avvocato A L V;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO VERGINE SRL IN LIQUIDAZIONE;

- intimato -

avverso il decreto n. 4072/2017 del TRIBUNALE di PRATO, depositato il 09/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. C P. Rilevato che:

1. A C, premesso di aver lavorato alle dipendenze della società VERGINE srl in bonis e di non aver percepito alcune mensilità di retribuzione e il il TFR, ha chiesto di essere ammesso al passivo del Fallimento della società datoriale per la somma di euro 21.483,12, in via privilegiata;

2. il giudice delegato ha ammesso allo stato passivo il credito nei limiti di euro 6.334,21;

3. col ricorso in opposizione il lavoratore ha chiesto di essere ammesso al passivo per la somma di euro 17.150,45;
la curatela si è costituita e, in base alla documentazione prodotta in quella sede dal ricorrente, ha concluso per l'ammissione al passivo della somma di euro 15.945,88;

4. il Tribunale di Prato, con decreto del 9.8.2018, ha ammesso il credito al passivo nell'importo di euro 15.945,88, in via privilegiata;

5. il Tribunale ha dato atto che la differenza tra l'importo del credito vantato dal lavoratore e quello riconosciuto dalla curatela riguardasse i contributi previdenziali nella quota a carico del lavoratore;

6. ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 23426 del 2016, secondo cui "Il lavoratore non può chiedere al datore di lavoro il pagamento in proprio favore dei contributi non versati, salvo che per la quota a suo carico, la quale, infatti, a titolo di sanzione, grava definitivamente sul datore di lavoro inadempiente quale componente della relativa obbligazione retributiva. Ne consegue che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore dev'essere ammesso al passivo, per le retribuzioni non corrisposte, con collocazione privilegiata a norma dell'art. 2751 bis, n. 1, c.c., al netto della quota contributiva gravante sul datore e al lordo di quella gravante sul lavoratore medesimo";
ha affermato come tale orientamento fosse condivisibile in relazione ad imprenditori in bonis ma non potesse applicarsi in caso di procedura Ric. 2018 n. 28632 sez. ML - ud. 06-07-2020 -2- fallimentare in quanto "la sanzione non verrebbe più posta a carico dell'imprenditore, ma dei creditori (con il privilegio successivo a quello del lavoratore o chirografari) i quali vedrebbero insinuato due volte, e pure in via privilegiata, il medesimo credito: una volta da parte del lavoratore e una volta da parte dell'ente di previdenza";
ha aggiunto che, dato il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali di cui all'art. 2116 c.c., nessun pregiudizio deriverebbe al lavoratore dalla mancata ammissione al passivo della quota di contributi al medesimo riferibili;
laddove, seguendo l'indirizzo dei giudici di legittimità, sarebbe invece pregiudicato l'ente previdenziale il cui credito è assistito dal privilegio dell'art. 2753 c.c. rispetto a quello previsto dall'art. 2751 bis, comma 1 c.c. per i crediti del lavoratore;
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi