Cass. civ., sez. III, sentenza 28/07/2004, n. 14240

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La prescrizione è interrotta, da parte del titolare del diritto, dall'atto con il quale si inizia un giudizio, dalla domanda proposta nel corso del giudizio o da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore, essendo l'effetto interruttivo il risultato dell'esplicita dichiarazione, rivolta dal titolare del diritto al debitore, di volersene avvalere. Ne consegue che la chiamata in causa di un terzo, che trova la sua ragione nella comunanza di causa e svolge il fine di produrre un'utile sentenza, senza necessariamente contenere una domanda rivolta nei confronti del chiamato, possiede efficacia interruttiva della prescrizione nel solo caso in cui, soddisfacendo i requisiti imposti dall'art. 2943 cod. civ., contenga un'esplicita, precisa domanda, con un "petitum" e una "causa petendi", rivolta dal titolare del diritto nei confronti del debitore; diversamente, essa attua esigenze meramente processuali.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 28/07/2004, n. 14240
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14240
Data del deposito : 28 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N G - Presidente -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. P G B - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D'A FCESCO, elettivamente domiciliato in

ROMA

Via Oslavia 40, presso STUDIO BIANCHI PAROLA, difeso dall'avvocato P C, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
L'IMMOBILIARE s.r.l., quale incorporante della GRIMALDI SFL, (già s.p.a.), in persona del presidente del C. di A., S G, con sede in Torino, elettivamente domiciliato in

ROMA

Via Modena 50, presso lo studio dall'avvocato S A, che lo difende con procura speciale del Dott. Notaio Zito in Milano 13/1/2003, Rep. n. 52.113;



- controricorrente -


e contro
LAFERGOLA VITANTONIO, DE LIDDO ELISA;



- intimati -


avverso la sentenza n. 260/00 della Corte d'Appello Bari, sezione seconda civile emessa il 18/2/2000, depositata il 22/03/00;
RG. 305/1996;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/05/04 dal Consigliere Dott. A S;

udito l'Avvocato S A;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Federico SORRENTINO che ha concluso per l'inammissibilità e in subordine rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il D'Aniello agì in giudizio per la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un immobile stipulato, attraverso l'intermediazione della Grimaldi s.p.a., con i promettenti venditori L e D L, nonché per la restituzione della somme versata a questi ultimi (a titolo di caparra confirmatoria) ed alla società (a titolo di provvigione). L'attore sosteneva di avere appreso per caso, prima della stipula del definitivo, che l'immobile in oggetto era gravato da trascrizione pregiudizievole;
di averlo contestato alle controparti, le quali, nel corso di trattative per bonaria composizione della vicenda, avevano venduto bene a terzi;
di aver promosso un primo, analogo giudizio nei confronti di tal F (mandatario dei promettenti venditori) e della Grimaldi;
causa, questa, nella quale fu ordinata la chiamata del L e del D L e che fu poi cancellata dal ruolo, siccome l'atto di integrazione del contraddittorio era stato notificato al solo L;
circostanze tutte che avevano reso necessaria l'instaurazione del giudizio del quale oggi si discute. Le domande furono tutte respinte dal Tribunale di Bari La Corte d'Appello della stessa città confermò la prima sentenza, dichiarando prescritta l'azione proposta nei confronti dei coniugi L e D L e rigettando nel merito la domanda rivolta nei confronti della Grimaldi, per non avere la società contravvenuto agli obblighi impostile dall'art. 1759 c.c.. Il D'Aniello propone ora ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Bari, svolgendo quattro motivi. Risponde con controricorso la sola Immobiliare s.r.l., quale incorporante della Grimaldi s.r.l. (già s.p.a.).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Nel corso del giudizio di merito il D'Aniello ha sostenuto che la prescrizione dell'azione proposta nei confronti dei menzionati coniugi era stata interrotta quando lui, nel maggio 1986, aveva provveduto a far notificare al L l'atto di chiamata in causa in quel primo giudizio del quale s'è detto;
che questo ateo aveva prodotto l'interruzione della prescrizione anche nei confronti della D L, quale condebitrice solidale;
che il successivo atto di citazione era stato notificato ad entrambi i coniugi convenuti nel luglio 1990, con l'effetto di evitare la prescrizione. La sentenza impugnata ha respinto questa tesi, sostenendo che l'interruzione della prescrizione presuppone una "domanda" proposta in giudizio, mentre, nella specie, la chiamata in causa rivolta nel primo giudizio ai L - D L non conteneva altro che l'invito a costituirsi, con la dichiarazione che: "in relazione al loro contegno processuale, l'istante si riserva di controdedurre e formulare le sue conclusioni nei loro confronti. Salvezze illimitate". La mancanza di una concreta domanda non conferiva, dunque, all'atto efficacia interruttiva della prescrizione. 1.1 - Con il primo motivo (violazione artt. 2943 e 2945 c.c. - vizi della motivazione) il ricorrente ribadisce la tesi che la chiamata in causa notificata al L ebbe efficacia interruttiva della prescrizione e ciò deriverebbe dal principio secondo cui, al di là, del contenuto specifico dell'atto, questo può ritenersi obiettivamente idoneo ad interrompere la prescrizione non solo quando risulti espressamente l'intento del creditore di ottenere la prestazione, ma anche quando tale intento non possa essere assolutamente escluso. A sostegno di quest'argomento il ricorrente invoca una pronuncia di questa Corte di legittimità (Cass. 14 febbraio 2000, n. 1642), la quale, in tema di contratto di assicurazione, ha affermato che l'avviso di sinistro dato all'assicuratore, ai sensi dell'art. 1913 c.c, costituisce anche manifestazione della volontà dell'assicurato di esercitare il diritto all'indennità e consiste dunque in un atto di costituzione in mora idoneo ad interrompere la prescrizione, salvo che il tenore specifico dell'avviso di sinistro sia tale da far escludere che con esso l'assicurato abbia inteso far valere anche la propria pretesa. Il motivo è infondato e va respinto. Il principio sopra trascritto è inapplicabile alla fattispecie in esame perché esso trova il suo fondamento nella peculiarità della natura e della funzione dell'avviso in questione. La sentenza di legittimità citata dal ricorrente spiega, infatti, in motivazione, che (l'avviso svolge la funzione di mettere l'assicuratore in grado di accertare tempestivamente le cause del sinistro e l'entità del danno prima che possano disperdersi le eventuali prove e che tale funzione non esclude,) peraltro, che l'atto scritto con cui l'assicurato dà notizia all'assicuratore del verificarsi dell'evento coperto da garanzia consista anche in un atto di costituzione in mora idoneo ad interrompere la prescrizione. Se è vero, infatti, che l'avviso di sinistro costituisce un onere per l'assicurato, potendo incidere sul diritto all'indennità (art. 1915 c.c.), è pur vero che l'assicurato comunica l'evento all'assicuratore proprio al fine di ottenere l'indennità e che, nella normalità dei casi, l'atto in questione è espressione inequivoca dell'assicuratore.
Alla fattispecie in esame va, invece, applicato il principio generale dettato dall'art. 2943 c.c., a norma del quale la prescrizione è interrotta, da parte del titolare del diritto, dall'atto con il quale si inizia un giudizio, dalla domanda proposta nel corso del giudizio o da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore. Ed a tal proposito bisogna porre in evidenza (come correttamente ha fatto il giudice d'appello) che l'effetto interruttivo in questione è il risultato dell'esplicita dichiarazione, rivolta dal titolare del diritto al debitore, di volersene avvalere;
preponendo, dunque, nei suoi confronti non una mera chiamata ad intervenire nel giudizio, bensì la precisa domandata corredata dai requisiti del petitum e della causa petendi.
La chiamata in causa trova, infatti, la sua ragione nella comunanza di causa e svolge il fine di produrre un'utile sentenza, senza necessariamente contenere una domanda rivolta nei confronti del chiamato. Di conseguenza, la chiamata possiede efficacia interruttiva della prescrizione nel solo caso in cui - soddisfacendo i requisiti imposti dall'art. 2943 c.c. - contenga un'esplicita domanda rivolta dal titolare del diritto nei confronti del debitore;
diversamente, essa attua esigenze meramente processuali.
Nella specie, l'efficacia interruttiva è stata esattamente esclusa dal giudice del merito sulla considerazione che il D'Aniello con la chiamata in causa, lungi dal proporre una precisa domanda nei confronti della L (l'unico al quale l'atto fu notificato) della D L, si limitò, a seguito dell'ordine del giudice, ad invitarli a partecipare al giudizio, con esplicita riserva di controdedurre e formulare istanze nei loro confronti in relazione al loro contegno processuale.
1.2 - Con il secondo motivo il ricorrente - nel dolersi del difetto di motivazione e della violazione degli artt. 1387 e segg., 1704 e segg., 2943, 2945 c.p.c. - sostiene che già l'atto introduttivo del primo giudizio rivolto nei confronti del summenzionato F (mandatario con rappresentanza dei promettenti venditori) aveva efficacia interruttiva, siccome la rappresentanza può avere ad oggetto qualsiasi atto giuridico lecito, in quanto ciò che rileva è che gli effetti siano imputabili a persone diverse dall'autore dell'atto e che nell'esercizio del suo potere il rappresentante possa non solo fare comunicazioni, diffide, pagamenti, atti processuali, ma anche ricevere tali atti in nome del rappresentante. Aggiunge il ricorrente il potere di rappresentanza processuale si presume conferito al procuratore speciale di chi non ha residenza o domicilio in Italia, limitatamente alle controversie che abbiano ad oggetto gli affari previsti nella procura. Conclude, infine, che la procura notarile concessa al F concedeva al rappresentante pieni poteri, con la possibilità, dunque, di usare qualsiasi mezzo idoneo al raggiungimento dello scopo.
Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto nuovi temi di contestazione che postulino indagini accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (Cass. 27 agosto 200(3, n. 12571).
Nella specie, l'efficacia interruttiva dell'originario atto notificato al procuratore è questione del tutto nuova (in appello il D'Aniello aveva sostenuto che tale efficacia era da attribuirsi alla chiamata in causa del L), che, postulando l'accertamento di fatto relativo ai poteri del rappresentante, è preclusa nel giudizio di legittimità.
2. - Il terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione artt. 1759, 1175, 1176 c.c. - carenza motivazione) riguarda il comportamento della società mediatrice Grimaldi e si sostiene che i compiti da essa assenti nel caso (predisposizione della proposta irrevocabile d'acquisto - esecuzione delle ispezioni ipotecarie - predisposizione ed assistenza alla stipula del contratto preliminare - indicazione e scelta del notaio) furono tali da ingenerare nel ricorrente il totale ed incolpevole affidamento circa la diligenza e la professionalità dell'operatore immobiliare;
che, in particolare, risulta provato che il mediatore non solo avviva attestato l'inesistenza di oneri pregiudizievoli, ma si era anche assunto l'obbligo di verificare la condizione dell'immobile;
che l'interpretazione data dalla Corte d'appello all'art. 1759 c.c. contrasta con quella della S.C.;
che non rileva la consapevolezza o meno della falsità di quanto dichiarato, ma il fatto stesso di aver reso una dichiarazione non rispondente al vero senza prima controllarne l'esattezza.
Il motivo è infondato e va respinto. In tema di mediazione, la più recente giurisprudenza di questa Corte regolatrice è pervenuta alla conclusione che l'art. 1759, comma primo, c.c. (che impone al mediatore l'obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note circa la valutazione e sicurezza dell'affare che possano influire sulla sua conclusione) deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché con la disciplina dettata dalla legge n. 39 del 1989 (che ha posto in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza, condizionando all'iscrizione stessa la spettanza del compenso) . Con la conseguenza che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione (che si dipana in ambito contrattuale), specifiche indagini di natura tecnico giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le visure catastali ed ipotecarie) al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell'affare non note, è pur tuttavia tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche in informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Pertanto, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l'ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente (Cass. 24 ottobre 2003, n. 16009;
15 maggio 2001, n. 6714
). Nella specie, la sentenza impugnata esclude che si sia verificata violazione dei doveri di cui all'art. 1759 c.c. nei sensi ora descritti. Essa, infatti, nega che la Grimaldi abbia omesso di comunicare al D'Aniello, pur essendone a conoscenza prima della sottoscrizione del preliminare, la sussistenza di una trascrizione pregiudizievole. Afferma, piuttosto, che la dichiarazione contenuta nel preliminare, circa l'inesistenza di siffatte trascrizioni, va riferita alla parte e non al mediatore;
così come dalla frase contenuta nella proposta irrevocabile d'acquisto sottoscritta dal D'Aniello (secondo cui l'immobile al momento dell'atto pubblico di trasferimento avrebbe dovuto essere libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli) non può dedursi la conoscenza da parte della Grimaldi di tali situazioni. Ma soprattutto, la sentenza esclude (diversamente da quanto è affermato nel ricorso) che in un atto d'acquisto dell'immobile, trasmesso da tal notaio Cerasi alla Grimaldi prima della stipula del preliminare, fosse menzionata quella trascrizione pregiudizievole e che il D'Aniello avesse mai dato incarico alla società di indagare circa la situazione nella quale l'immobile si trovasse.
Si tratta, dunque, di accertamenti di fatto e di i valutazioni di merito, le quali, siccome espresse con motivazione congrua e logica, non sono censurabili in questa sede.

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