Cass. civ., sez. II, sentenza 29/09/2004, n. 19600

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Ai sensi dell'art. 1538 cod. civ. nella vendita a corpo - a differenza di quella a misura disciplinata dall'art. 1537 cod. civ. - il prezzo pattuito è determinato con riguardo all'immobile nella sua entità globale indipendentemente dalle effettive dimensioni, salvo che la sua misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo a quella indicata in contratto, sicché l'estensione del fondo, ancorché sia stata dalle parti indicata in contratto, assume rilevanza soltanto ai fini della identificazione del bene effettivamente venduto, che va compiuta attraverso l'intepretazione secondo i canoni legali della volontà negoziale.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 29/09/2004, n. 19600
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19600
Data del deposito : 29 settembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S M - Presidente -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. D J R - Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. M V - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CANDELORI PAOLO, DALLA LIBERA CANDELORI ANNA MARIA, elettivamente domiciliati in

ROMA VLE MAZZINI

11, presso lo studio dell'avvocato R T, che li difende unitamente all'avvocato C B, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


contro
C G, titolare omonima impresa edile, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA F CONFALONIERI

5, presso lo studio dell'avvocato A M, che lo difende unitamente all'avvocato N O, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 993/00 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 24/05/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/05/04 dal Consigliere Dott. V M;

udito l'Avvocato R T, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito l'Avvocato E C, con delega dell'Avvocato A M, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO

Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 6.12.1986 Paolo C ed Anna Maria Dalla Libera convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona Giuseppe Cona chiedeva pronunciarsi sentenza ex art. 2932 c.c. sostitutiva dell'obbligo di contrarre assunto dalle parti con preliminare registrato il 7.11.1986 avente ad oggetto un appartamento in corso di costruzione sito in Peschiera del GARDA ed identificato secondo planimetria allegata al contratto e sottoscritta dalle parti. Gli attori rilevavano che, realizzata l'opera e consegnato l'immobile ai promissari acquirenti, il Cona si era rifiutato di trasferire la proprietà del bene avendo arbitrariamente preteso dagli il pagamento di una ulteriore somma di lire 8.000.000 a titolo di interessi di mora e di spese, ritenendo non ricomprese nell'oggetto della promessa di vendita un piccolo vano murato ed intercluso adiacente ai locali taverna e garage facente parte del mappale 414/C, nonostante che la menzionata planimetria prevedesse che la superficie dei locali seminterrati si estendesse fino al confine di proprietà e che il contratto si configurasse come una vendita a corpo.
Si costituiva in giudizio il convenuto eccependo che le parti di immobile specificatamente indicate dai promissari acquirenti non avevano costituito oggetto del contratto preliminare;
chiedeva quindi il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna in solido del C e della Dalla Libera al pagamento a vario titolo della somma di lire 17.593.602.
Il Tribunale con sentenza del 13.6.1994, dato atto che sulla maggior parte delle domande era intervenuta conciliazione tra le parti, accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c. limitatamente ai subalterni n. 3 - 8 - 9 e 15 del mappale 653 partita 1048 foglio 10 sezione unica del catasto di Peschiera del Garda con le relative quote di proprietà sui beni comuni, rigettava la domanda di risarcimento danni proposta dal C e dalla Dalla Libera e compensava integralmente le spese di giudizio.
A seguito del gravame da parte del C e della Dalla Libera cui resisteva il Cona che proponeva appello incidentale, la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 24.5.2000 rigettava l'impugnazione e condannava gli appellanti principali al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.
Il giudice di appello affermava che accertare se la porzione del piano seminterrato adibita a magazzino, contrassegnata catastalmente al mappale 833 sub 10, fosse stata ricompresa o meno nell'oggetto del preliminare stipulato tra le parti era un problema da risolvere secondo le regole ermeneutiche proprie dei contratti da stipularsi in forma scritta "ad substantiam";
orbene il menzionato contratto preliminare evidenziava chiaramente la volontà dei contraenti di configurare come oggetto del medesimo esclusivamente quelle porzioni di immobile di cui alla planimetria allegata e specificamente evidenziate mediante colorazione e sottoscrizione, come peraltro concordemente ammesso in corso di giudizio, tra le quali non rientrava la porzione adibita a magazzino, in quanto progettata solo in un momento successivo alla stipulazione del preliminare con la variante planimetrica del 28.10.1984;
pertanto le parti, nel fare riferimento alla planimetria allegata quale elemento identificativo dell'oggetto del preliminare, non potevano aver raggiunto uno specifico consenso su qualcosa che all'epoca della planimetria non era ancora esistente.
La Corte territoriale disattendeva l'ulteriore argomentazione degli appellanti principali secondo cui, trattandosi nella specie di vendita a corpo, il vano magazzino, posto sul medesimo piano di calpestio della adiacente porzione dell'immobile adibita a taverna - garage e coperta dal medesimo lastrico - terrazza, doveva essere considerato corpo unico con tale torzione e, quindi, oggetto incontestabile del preliminare;
infatti secondo la giurisprudenza di legittimità nel caso di vendita di un immobile a corpo invece che a misura, l'irrilevanza dell'estensione del bene valeva soltanto in riferimento alla determinazione del prezzo, e non in ordine alla identificazione del bene effettivamente venduto.
Per la cassazione di tale sentenza il C e la Dalla Libera hanno proposto un ricorso basato su cinque motivi cui il Cona ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti, deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla individuazione dell'oggetto del contratto stipulato tra le parti censurano la sentenza impugnata perché, pur avendo correttamente affermato che l'oggetto di un preliminare di compravendita deve essere accertato sulla base della interpretazione della relativa scrittura che lo riproduce e della eventuale planimetria ad essa allegata, si è discostata da tale criterio ermeneutico spostando l'indagine sull'epoca di progettazione del locale per cui è causa, quest'ultimo del tutto ultroneo qualora, come nella specie, l'oggetto del contratto corrispondeva con l'intera superficie estesa sino al confine;
in proposito era quindi irrilevante che una frazione del locale promesso in vendita fosse stato successivamente scorporato catastalmente.
I ricorrenti, rilevata altresì la contraddittorietà dell'assunto del giudice di appello in ordine alla superfluità della questione delle autenticità delle sottoscrizioni apposte sulla planimetria rispetto alla precedente affermazione secondo cui costituivano oggetto di pattuizione esclusivamente le porzioni di immobile oggetto di sottoscrizione, assumono che non è stato adeguatamente motivato il mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio, ne' è stata considerata la documentazione fotografica che provava che il locale in contestazione era stato ricavato sul medesimo piano di calpestio della terrazza - garage e risultava coperto dalla medesima terrazza;
infine la sentenza impugnata non ha tenuto conto del fatto che il Cona poteva accedere nel locale in questione soltanto attraverso la proprietà di terzi.
La censura è infondata.
Il giudice di appello, procedendo alla indagine circa l'individuazione dell'oggetto del preliminare stipulato tra le parti, ha fatto riferimento alle "porzioni di immobile sottoscritte", tra le quali non figurava la porzione adibita a magazzino di cui al subalterno 10, avuto riguardo al decisivo rilievo che tale porzione risultava progettata soltanto successivamente alla stipulazione del preliminare con la variante planimetrica del 28.10.1984 secondo gli accertamenti svolti dal consulente tecnico d'ufficio;
pertanto, ha aggiunto la Corte territoriale, il riferimento dei contraenti alla planimetria allegata quale elemento identificativo dell'oggetto del contratto non poteva comportare l'accordo negoziale su un bene che all'epoca di redazione della planimetria stessa non era ancora esistente.
A tal punto la sentenza impugnata ha evidenziato altresì le ragioni che rendevano superflua una nuova consulenza tecnica d'ufficio tendente a verificare la collocazione e le dimensioni del vano magazzino per cui è causa, considerato che esso, per quanto ora esposto, non era compreso nell'oggetto del contratto, e che per altro verso era emerso (in particolare tramite la deposizione del teste P, direttore dei lavori e progettista dell'intero edificio di cui fa parte l'immobile acquistato dal C e dalla Dalla Libera) che il piano scantinato di proprietà degli attuali ricorrenti era stato realizzato esattamente secondo le misure indicate nella planimetria originaria allegata al preliminare. La Corte territoriale, inoltre, ha escluso, sulla base del preliminare e della planimetria allegata, che il locale taverna - garage si estendesse fino al confine, e che quindi comprendesse il vano magazzino ricavato a ridosso del confine stesso. Rilevato che il giudice di appello ha individuato l'oggetto del contratto stipulato tra le parti sulla base di una indagine ermeneutica sorretta da motivazione congrua e priva di vizi logici, deve osservarsi, con riferimento ai profili di censura sollevati dagli attuali ricorrenti, che la ritenuta esclusione del locale in contestazione dall'oggetto delle pattuizioni contrattuali è stata argomentata dalla sentenza impugnata non già, come sostenuto in questa sede dal C e Dalla Libera, sulla base di una sua autonoma individuazione catastale, bensì alla luce del rilievo che, come si è esposto in precedenza, tale vano era stato progettato successivamente alla stipula del preliminare, cosicché ogni riferimento in proposito alla planimetria allegata al contratto era irrilevante;
infine deve aggiungersi che correttamente la Corte territoriale, all'esito della indagine effettuata nei termini sopra enunciati, ha ritenuto superfluo ogni ulteriore accertamento. Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1538 c.c. nonché omessa motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che nella fattispecie, avendo le parti stipulato una vendita a corpo, il vano in contestazione (subalterno 10), posto sullo stesso piano di calpestio della porzione di immobile adibita a taverna - garage (subalterni 8 e 9) e coperto dal medesimo lastrico - terrazza, doveva essere ritenuto corpo unico con tale porzione, e quindi oggetto del preliminare;
rilevano l'esigenza di superare l'orientamento espresso da questa Corte in due risalenti pronunce richiamate dal giudice di Appello (Cass. 3352/1973 e Cass. 3042/1987) secondo le quali, nell'ipotesi di vendita a corpo, l'irrilevanza dell'estensione del bene riguarderebbe la determinazione del prezzo, ma non inciderebbe in ordine alla identificazione del bene effettivamente venduto, e menzionano a sostegno del proprio assunto le sentenze di questa Corte 15.1.1986 n. 180 e 23.4.1997 n. 3503, sottolineando in particolare che secondo quest'ultima pronuncia la vendita a corpo è caratterizzata dalla determinazione e delimitazione del bene in modo che esso resti identificato indipendentemente dalla misura. La censura è infondata.
Il giudice di appello ha ritenuto che la clausola contrattuale che regola la vendita a corpo ai sensi dell'art. 1538 c.c. attiene esclusivamente alla determinazione del prezzo e non anche alla identificazione del bene oggetto di compravendita. Tale convincimento deve essere condiviso.
La vendita a corpo è caratterizzata dal riferimento all'immobile che ne costituisce l'oggetto considerato nella sua entità globale, cosicché il prezzo è stabilito con riguardo a quest'ultima indipendentemente dalle sue effettive dimensioni, salvo che la sua misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo a quella indicata nel contratto;
in altri termini costituisce vendita a corpo e non a misura quella in cui il prezzo pattuito non abbia alcuna stretta relazione con l'estensione del fondo, ancorché essa sia stata indicata tra le parti nel contratto soltanto ai fini di una migliore identificazione del bene (Cass. 18.4.1998 n. 3985). Pertanto da tali premesse deve conseguentemente ritenersi che l'art. 1538 c.c. è finalizzato soltanto a disciplinare la determinazione
del prezzo e la sua eventuale rettifica qualora sussista uno scarto superiore o inferiore di un ventesimo tra la misura reale dell'immobile e quella contrattualmente indicata;
se quindi la norma ora citata si limita a disporre che nelle vendite di immobili a corpo deve tenersi conto della superficie soltanto ai fini della eventuale diminuzione o integrazione del prezzo, è legittimo concludere che in tale ipotesi il giudice non è vincolato da specifici canoni di interpretazione o da prestabilite regole di giudizio quando si tratti di accertare ad altri fini l'effettiva estensione del bene oggetto di compravendita.
Si ritiene quindi di dover aderire all'orientamento prevalente espresso da questa Corte e ribadito anche recentemente secondo cui nella vendita - a corpo ex art. 1538 c.c. l'irrilevanza dell'estensione del fondo vale soltanto in relazione alla determinazione del prezzo ex art. 1537 c.c., e non ai fini della identificazione del bene effettivamente venduto (Cass.

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