Cass. pen., sez. III, sentenza 03/10/2024, n. 46549

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3 ottobre 2024
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Massime1

Ai fini della legittimità del sequestro probatorio non è necessario che il titolare del bene sottoposto al vincolo coincida con l'indagato o con l'autore del fatto per cui si procede, essendo sufficiente la relazione tra la cosa e il reato.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 03/10/2024, n. 46549
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 46549
Data del deposito : 3 ottobre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

m en mevro 46549 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta da Sent. n. sez.2. 1300 Luca Ramacci -Presidente - Aldo Aceto CC 3/10/2024- Giovanni Liberati R.G.N. 13519/2024 - Relatore - Emanuela Gai Enrico Mengoni ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da TIM S.r.l., con sede in Trento, via Bernardino Clesio 6, in persona del legale rappresentante Giampaolo IN avverso l'ordinanza del 19 dicembre 2023 del Tribunale di Trento visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per la ricorrente l'avv. Guido Aldo Carlo Camera e l'avv. Giuliano Valer, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 19 dicembre 2023 il Tribunale di Trento, qualificato il fatto contestato come reato presupposto dell'illecito amministrativo contestato alla TIM S.r.l. ai sensi dell'art. 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell'interesse di tale società nei confronti del decreto di sequestro probatorio del 28 novembre 2023 del Pubblico ministero del Tribunale di Trento, relativo alle aree "ex Sloi" ed "ex Carbochimica" poste in territorio del Comune di Trento e costituenti il sito di interesse nazionale (S.I.N.) di Trento Nord, di proprietà della MIT S.r.l., della IMT S.r.l. e della TIM S.r.l., raggruppate nel CO di Bonifica e Sviluppo Trento Nord S.c. a r.l. Il procedimento nel quale era stato disposto tale il sequestro riguarda PA TO, EF TO, ER LL OG, NO LL OG e HE IN, nelle loro vesti di amministratori e legali rappresentanti delle società componenti il consorzio, per il reato di inquinamento ambientale di cui all'art. 452- bis, primo comma, cod. pen., commesso in Trento in data antecedente al 2023 e con effetti permanenti, e nell'ambito di questo alle suddette società MIT S.r.l., IMT S.r.l. e TIM S.r.I., è stato contestato l'illecito amministrativo di cui all'art. 25- undecies, secondo comma, lett. c), d.lgs. 231/2001. 2. Avverso tale ordinanza la S.r.l. TIM ha proposto ricorso per cassazione, mediante gli Avvocati Guido Camera e Giuliano Valer, che lo hanno affidato a cinque motivi.

2.1. In primo luogo, hanno denunciato, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 242, 245 e 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, per non essere stato considerato che il CO (rectius gli amministratori delle società che vi partecipano) non è responsabile dell'inquinamento e quindi non sussistono a suo carico gli indizi per poter disporre la misura ablativa censurata. Hanno evidenziato che nella stessa ordinanza impugnata era stato escluso che il CO e le società attualmente proprietarie dell'area contaminata fossero responsabili dell'inquinamento del sito, risalente a oltre 40 anni prima, come riconosciuto anche dallo stesso Pubblico ministero nel decreto di sequestro e anche nella informativa della polizia giudiziaria sulla base della quale era stato adottato tale provvedimento, con la conseguente erroneità della affermazione, contenuta nell'ordinanza impugnata, in ordine all'inadempimento degli obblighi previsti dall'art. 242 d.lgs. 152/2006, che gravano solo sul responsabile dell'inquinamento. Non potrebbe, dunque, configurarsi a carico degli indagati il reato di cui all'art. 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, costituente il presupposto della responsabilità amministrativa dell'ente ricorrente, giacché tale disposizione 2 riguarda il soggetto responsabile della contaminazione (si richiamano le sentenze n. 2686 del 2020 e n. 18503 del 2011), con la conseguente insussistenza dei presupposti per poter disporre il sequestro a carico della società ricorrente.

2.2. In secondo luogo, hanno denunciato, a norma dell'art. 606, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125 e 253 cod. proc. pen., a causa della mancata indicazione delle ragioni per le quali, a seguito della riqualificazione della condotta ai sensi dell'art. 257 d.lgs. 152/2006, ossia nel reato di omessa comunicazione di imminente minaccia di danno ambientale, l'intera area sottoposta a sequestro debba considerarsi cosa pertinente al reato di omessa comunicazione ritenuto configurabile dal Tribunale. La motivazione in ordine al rapporto di pertinenzialità tra il reato ritenuto configurabile e anche in ordine alle esigenze probatorie sarebbe del tutto assente, trattandosi di reato di pericolo di natura documentale, posto che la condotta incriminata era stata individuata dal Tribunale nella mancata comunicazione dei rilevamenti della contaminazione, nella mancata definizione di un metodo analitico alternativo e nel mancato svolgimento di attività di indagine, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere resa una specifica motivazione sulla finalità probatoria perseguita mediante l'apposizione del vincolo in questione (si richiama Sez. Un. Botticelli), anche tenendo conto della riqualificazione della condotta.

2.3. Con il terzo motivo hanno lamentato, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 253 e 275 cod. proc. pen., con riferimento alla valutazione di proporzione della misura ablativa, nonostante la ripetitibilità degli atti investigativi e la disponibilità della ricorrente alla piena collaborazione negli accertamenti. Hanno censurato l'affermazione contenuta nell'ordinanza impugnata secondo cui lo stato dei luoghi sarebbe soggetto a modificazioni, con la conseguente necessità di sottoporli a sequestro a fini di prova, avendo lo stesso Pubblico ministero riconosciuto la storicità della contaminazione del sito, la rinnovabilità degli accertamenti e l'assenza di un rischio di degradazione repentina dell'area da esaminare, con la conseguente mancata indicazione delle finalità probatorie sottese al mantenimento del sequestro e l'apparenza della motivazione sul punto. Hanno eccepito anche l'inammissibilità della indicazione, a seguito della riqualificazione della condotta, di una finalità probatoria diversa rispetto a quella indicata dal Pubblico ministero nel decreto di sequestro, che aveva fatto riferimento alla "genuinità della prova", mentre il Tribunale ha evidenziato la necessità di assicurare la "intangibilità al fine di compiere accertamenti, misurazioni e rilievi da parte della polizia giudiziaria".

2.4. Con il quarto motivo hanno lamentato, a norma dell'art. 606, primo comma, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 242 e 245 d.lgs. 152/2006, a causa dell'omessa considerazione del fatto che tali disposizioni non 3 rimettono in capo al proprietario estraneo alla contaminazione anche gli obblighi di bonifica, essendo questi tenuto solo agli adempimenti di carattere emergenziale, in relazione al pericolo di contaminazione o di diffusione della contaminazione o di aggravamento della situazione di contaminazione (in presenza di “contaminazioni storiche"). Hanno sottolineato che nel caso in esame le analisi erano tutte in miglioramento e non vi era alcun aggravamento o pericolo di minaccia imminente, cosicché il proprietario non era obbligato a svolgere analisi al di fuori dell'accordo di programma.

2.5. Infine, con il quinto motivo, hanno denunciato, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 157 cod. pen., 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, 275 e 324 cod. proc. pen., a causa del mancato rilievo della estinzione per prescrizione del reato come riqualificato dal Tribunale, in quanto le attività di cui era stata ascritta l'omissione alla ricorrente, anche se non responsabile dell'inquinamento, consistevano nella omessa comunicazione dei risultati dell'analisi del rischio, nella mancata definizione di un metodo analitico alternativo a quello proposto dalle autorità e nella mancata comunicazione dei risultati di una attività di indagine volta ad accertare la diffusione della contaminazione. Il reato di cui all'art. 257, primo comma, d.lgs. 152/2006 citato si consuma, infatti, nel momento in cui decorrono i termini previsti dall'art. 242 del medesimo d.lgs. 152/2006 per comunicare la potenziale minaccia alle istituzioni interessante, e poiché gli indici sintomatici di una potenziale minaccia di contaminazione erano conoscibili almeno dai primi anni 2000, quando il CO aveva avviato la trattativa tesa a ottenere un accordo con le autorità competenti per la bonifica dell'area, il reato ritenuto configurabile si sarebbe consumato trascorse 24 ore dal rilevamento della potenziale minaccia, ossia alla scadenza del termine stabilito per il proprietario non responsabile per adempiere agli obblighi previsti dall'art. 242 d.lgs. 152/2006. Nella ordinanza, peraltro, era stato dato atto che successivamente all'inadempimento del CO l'ARPA, con nota del 15 novembre 2019, ne aveva dato atto, con la conseguenza che

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