Cass. pen., sez. V, sentenza 07/02/2022, n. 04272
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C I, nato a Salerno il 16/10/1975 avverso la sentenza del 16/11/2017 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale P F, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame;
uditi i difensori del ricorrente, avv.ti C M e A G, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte - Sez. 1, n. 7643 del 2015 - della sentenza del 10 febbraio 2014 della Corte di appello di Salerno, ha parzialmente riformato la sentenza del 26 novembre 2012 del Tribunale di Salerno che aveva dichiarato la penale responsabilità di V V e I C per i delitti di concorso in tentato omicidio aggravato ai sensi degli artt. 577, nn. 3 e 4, cod. pen. e 7 legge n. 203 del 1991 (capo A) e di ricettazione, detenzione e porto abusivi di arma da sparo (capo B) e, applicate le circostanze attenuanti equivalenti alle aggravanti diverse da quella di cui al citato art. 7 e ritenuta la continuazione tra i reati, li aveva condannati alla pena di giustizia, oltre che alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'interdizione legale per la durata della pena, con esclusione della sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale.
2. Secondo l'accertamento operato dal Tribunale, il 5 febbraio 2001, intorno alle ore 13, G C, mentre si trovava all'interno del suo negozio ortofrutticolo, nel centro storico di Salerno, era stato avvicinato da un giovane, armato di pistola, che aveva tentato di sparargli. Nel corso delle indagini la vittima aveva riconosciuto in Francesco S il giovane che, nei giorni antecedenti all'agguato, si era recato presso il suo esercizio commerciale. Il giorno dopo era stata eseguita una perquisizione presso l'abitazione del S, dove questi viveva insieme a V V, all'esito della quale erano state sequestrate due armi giocattolo, una di colore nero e una cromata, sprovviste di tappo rosso. Dopo il sequestro, il C aveva individuato nella pistola giocattolo cromata quella con cui l'attentatore si era presentato presso il suo esercizio commerciale. Venivano acquisite le dichiarazioni dei collaboranti Ciro Ferrara, Francesco S, Ciro D S e Walter C, che collocavano l'episodio delittuoso nell'ambiente camorristico collegato alla consorteria criminale nella quale operavano il C e il V. Si rilevava, in particolare, che le dichiarazioni rese dal collaborante Francesco S costituivano una chiamata in correità pienamente attendibile ed estrinsecamente riscontrata, mentre le dichiarazioni rese dagli altri collaboranti costituivano chiamate in reità, anch'esse attendibili e riscontrate. Queste convergenti dichiarazioni, secondo il giudice di primo grado, consentivano di ricostruire la dinamica dell'agguato, individuando in Ivan Cannmarota il mandante ed in V V e Francesco S gli esecutori, che si erano recati presso l'esercizio commerciale del C a bordo di un motociclo condotto dal V, che fungeva anche da palo, dal quale il S era sceso esplodendo all'indirizzo della vittima alcuni colpi di pistola, che non erano andati a segno perché l'arma utilizzata dal S si era inceppata. Tali propalazioni, inoltre, avevano permesso di accertare che la pistola utilizzata dal S per eseguire l'agguato non era una pistola giocattolo modificata - al contrario di quanto dichiarato dalla vittima nell'immediatezza dei fatti - ma un'altra arma, come riferito dallo stesso S, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia.Era stato possibile individuare la causale del tentato omicidio. Il C, ritenendo che la vittima fosse un confidente di polizia e avesse segnalato al personale della Squadra Mobile di Salerno i suoi interessi nel settore del traffico di sostanze stupefacenti, aveva organizzato una spedizione punitiva nei suoi confronti.
3. Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno i due imputati avevano proposto impugnazione e la Corte di appello di Salerno, con la sentenza del 10 febbraio 2014, aveva escluso l'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991 e aveva ridotto la pena ad anni sette e mesi due di reclusione.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno hanno proposto ricorso i due imputati e la Corte di cassazione, con la sentenza sopra citata, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata quanto ai delitti di cui al capo B), perché estinti per prescrizione, e ha annullato la stessa sentenza anche in relazione al delitto di cui al capo A) con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli. La Corte di cassazione ha rilevato che solo le dichiarazioni del S integravano una chiamata in correità diretta, mentre la chiamata del Ferrara costituiva una chiamata in reità de relato priva di autonomia, in quanto egli aveva riferito di aver appreso dal S quanto da lui dichiarato;
le dichiarazioni del D S erano divergenti perché egli, contrariamente a quanto sostenuto dal S, aveva asserito che la finalità dell'agguato era solo quella di ferire il C alle gambe;
infine, le dichiarazioni del C erano troppo generiche;
non poteva, quindi, pervenirsi all'affermazione della penale responsabilità degli imputati sulla base del riscontro incrociato delle dichiarazioni dei vari collaboranti. Ha, pertanto, annullato la sentenza di secondo grado in relazione all'affermazione di penale responsabilità per il delitto di tentato omicidio ritenendo la motivazione carente e contraddittoria.
5. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 16 novembre 2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno quanto all'affermazione della penale responsabilità degli imputati per il reato di cui al capo A) e, esclusa l'aggravante di cui al citato art. 7, ha determinato la pena principale in anni sette di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
6. Avverso quest'ultima sentenza ha proposto ricorso I C, a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l'annullamento ed articolando quattro motivi dei quali i primi tre, precisa il ricorrente, devono intendersi come parti di un unico motivo.
6.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen. e la omissione o manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. Sebbene la sentenza qui impugnata abbia riconosciuto che la Corte di cassazione aveva ritenuto opportuna una nuova valutazione del materiale dichiarativo proveniente dai collaboratori di giustizia, la Corte territoriale ha del tutto omesso di rivalutare le dichiarazioni dei collaboratori diversi dal S e si è basata esclusivamente sulle dichiarazioni di quest'ultimo, omettendo di prendere in considerazione le altre. Peraltro, le dichiarazioni del S sono state utilizzate per la decisione senza alcuna previa valutazione circa la credibilità del dichiarante e l'attendibilità delle sue dichiarazioni. Tale valutazione doveva, invece, precedere la disamina dei riscontri (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145) e nel caso di specie era imprescindibile, anche perché sollecitata negli atti di appello — i cui motivi sono sintetizzati nel ricorso per cassazione — e anche dalla Corte di cassazione a pagina 9 della sentenza di annullamento, che aveva richiamato il precedente di legittimità sopra citato e che aveva accolto i motivi di ricorso del C con i quali si attaccava la valutazione sul punto operata dalla Corte di appello di Salerno. Evidenzia il ricorrente che il giudice del rinvio, quando l'annullamento sia stato pronunciato per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, deve procedere ad un nuovo esame dei fatti con gli stessi poteri che spettavano al primo giudice di merito,
udita la relazione svolta dal consigliere M R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale P F, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame;
uditi i difensori del ricorrente, avv.ti C M e A G, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte - Sez. 1, n. 7643 del 2015 - della sentenza del 10 febbraio 2014 della Corte di appello di Salerno, ha parzialmente riformato la sentenza del 26 novembre 2012 del Tribunale di Salerno che aveva dichiarato la penale responsabilità di V V e I C per i delitti di concorso in tentato omicidio aggravato ai sensi degli artt. 577, nn. 3 e 4, cod. pen. e 7 legge n. 203 del 1991 (capo A) e di ricettazione, detenzione e porto abusivi di arma da sparo (capo B) e, applicate le circostanze attenuanti equivalenti alle aggravanti diverse da quella di cui al citato art. 7 e ritenuta la continuazione tra i reati, li aveva condannati alla pena di giustizia, oltre che alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'interdizione legale per la durata della pena, con esclusione della sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale.
2. Secondo l'accertamento operato dal Tribunale, il 5 febbraio 2001, intorno alle ore 13, G C, mentre si trovava all'interno del suo negozio ortofrutticolo, nel centro storico di Salerno, era stato avvicinato da un giovane, armato di pistola, che aveva tentato di sparargli. Nel corso delle indagini la vittima aveva riconosciuto in Francesco S il giovane che, nei giorni antecedenti all'agguato, si era recato presso il suo esercizio commerciale. Il giorno dopo era stata eseguita una perquisizione presso l'abitazione del S, dove questi viveva insieme a V V, all'esito della quale erano state sequestrate due armi giocattolo, una di colore nero e una cromata, sprovviste di tappo rosso. Dopo il sequestro, il C aveva individuato nella pistola giocattolo cromata quella con cui l'attentatore si era presentato presso il suo esercizio commerciale. Venivano acquisite le dichiarazioni dei collaboranti Ciro Ferrara, Francesco S, Ciro D S e Walter C, che collocavano l'episodio delittuoso nell'ambiente camorristico collegato alla consorteria criminale nella quale operavano il C e il V. Si rilevava, in particolare, che le dichiarazioni rese dal collaborante Francesco S costituivano una chiamata in correità pienamente attendibile ed estrinsecamente riscontrata, mentre le dichiarazioni rese dagli altri collaboranti costituivano chiamate in reità, anch'esse attendibili e riscontrate. Queste convergenti dichiarazioni, secondo il giudice di primo grado, consentivano di ricostruire la dinamica dell'agguato, individuando in Ivan Cannmarota il mandante ed in V V e Francesco S gli esecutori, che si erano recati presso l'esercizio commerciale del C a bordo di un motociclo condotto dal V, che fungeva anche da palo, dal quale il S era sceso esplodendo all'indirizzo della vittima alcuni colpi di pistola, che non erano andati a segno perché l'arma utilizzata dal S si era inceppata. Tali propalazioni, inoltre, avevano permesso di accertare che la pistola utilizzata dal S per eseguire l'agguato non era una pistola giocattolo modificata - al contrario di quanto dichiarato dalla vittima nell'immediatezza dei fatti - ma un'altra arma, come riferito dallo stesso S, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia.Era stato possibile individuare la causale del tentato omicidio. Il C, ritenendo che la vittima fosse un confidente di polizia e avesse segnalato al personale della Squadra Mobile di Salerno i suoi interessi nel settore del traffico di sostanze stupefacenti, aveva organizzato una spedizione punitiva nei suoi confronti.
3. Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno i due imputati avevano proposto impugnazione e la Corte di appello di Salerno, con la sentenza del 10 febbraio 2014, aveva escluso l'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991 e aveva ridotto la pena ad anni sette e mesi due di reclusione.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno hanno proposto ricorso i due imputati e la Corte di cassazione, con la sentenza sopra citata, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata quanto ai delitti di cui al capo B), perché estinti per prescrizione, e ha annullato la stessa sentenza anche in relazione al delitto di cui al capo A) con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli. La Corte di cassazione ha rilevato che solo le dichiarazioni del S integravano una chiamata in correità diretta, mentre la chiamata del Ferrara costituiva una chiamata in reità de relato priva di autonomia, in quanto egli aveva riferito di aver appreso dal S quanto da lui dichiarato;
le dichiarazioni del D S erano divergenti perché egli, contrariamente a quanto sostenuto dal S, aveva asserito che la finalità dell'agguato era solo quella di ferire il C alle gambe;
infine, le dichiarazioni del C erano troppo generiche;
non poteva, quindi, pervenirsi all'affermazione della penale responsabilità degli imputati sulla base del riscontro incrociato delle dichiarazioni dei vari collaboranti. Ha, pertanto, annullato la sentenza di secondo grado in relazione all'affermazione di penale responsabilità per il delitto di tentato omicidio ritenendo la motivazione carente e contraddittoria.
5. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 16 novembre 2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno quanto all'affermazione della penale responsabilità degli imputati per il reato di cui al capo A) e, esclusa l'aggravante di cui al citato art. 7, ha determinato la pena principale in anni sette di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
6. Avverso quest'ultima sentenza ha proposto ricorso I C, a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l'annullamento ed articolando quattro motivi dei quali i primi tre, precisa il ricorrente, devono intendersi come parti di un unico motivo.
6.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen. e la omissione o manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. Sebbene la sentenza qui impugnata abbia riconosciuto che la Corte di cassazione aveva ritenuto opportuna una nuova valutazione del materiale dichiarativo proveniente dai collaboratori di giustizia, la Corte territoriale ha del tutto omesso di rivalutare le dichiarazioni dei collaboratori diversi dal S e si è basata esclusivamente sulle dichiarazioni di quest'ultimo, omettendo di prendere in considerazione le altre. Peraltro, le dichiarazioni del S sono state utilizzate per la decisione senza alcuna previa valutazione circa la credibilità del dichiarante e l'attendibilità delle sue dichiarazioni. Tale valutazione doveva, invece, precedere la disamina dei riscontri (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145) e nel caso di specie era imprescindibile, anche perché sollecitata negli atti di appello — i cui motivi sono sintetizzati nel ricorso per cassazione — e anche dalla Corte di cassazione a pagina 9 della sentenza di annullamento, che aveva richiamato il precedente di legittimità sopra citato e che aveva accolto i motivi di ricorso del C con i quali si attaccava la valutazione sul punto operata dalla Corte di appello di Salerno. Evidenzia il ricorrente che il giudice del rinvio, quando l'annullamento sia stato pronunciato per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, deve procedere ad un nuovo esame dei fatti con gli stessi poteri che spettavano al primo giudice di merito,
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