Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/07/2004, n. 13882

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Massime1

Nei confronti dei dirigenti, che sono esclusi dalla disciplina legale delle limitazioni dell'orario di lavoro, un diritto a compenso per lavoro straordinario può sorgere o nel caso in cui la normativa collettiva (o la prassi aziendale o il contratto individuale) delimiti anche per essi un orario normale di lavoro, che risulti nel caso concreto superato, ovvero, allorquando non sussista tale delimitazione, nel caso in cui la durata della prestazione lavorativa ecceda i limiti della ragionevolezza in rapporto alla tutela, costituzionalmente garantita, del diritto alla salute, dovendosi ritenere che, perché sia configurabile il carattere gravoso e usurante della prestazione non è necessario che essa debba portare alla rovina fisico - psichica del lavoratore. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di merito, che aveva negato la configurabilità del lavoro straordinario da parte di un dirigente di azienda di credito, asserendo che l'art. 29 del Contratto Collettivo Naz. Lav. dei dirigenti delle aziende di credito prevede un orario flessibile, laddove esso, invece, stabilisce che di massima il loro orario di lavoro è quello normale degli altri dipendenti e solo se le funzioni ed i compiti lo richiedano, può svolgersi con criteri di flessibilità temporale ed, inoltre, aveva apoditticamente affermato che la protrazione continuativa e quotidiana di un'ora e quarantacinque minuti oltre il termine ordinario del lavoro non costituiva attività usurante).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/07/2004, n. 13882
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13882
Data del deposito : 23 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R E - Presidente -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. F C - Consigliere -
Dott. B B - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COCOZZA GENEROSO, rappresentato e difeso dall'avv. G R e con lo stesso elettivamente domiciliato in Roma al viale Mazzini 132 (presso lo studio dell'avv. S J), giusta procura a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
BANCA POPOLARE DI NOVARA soc. coop. r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. F C e con lo stesso elettivamente domiciliata in Roma via Pierluigi da Palestrina 63 (presso lo studio dell'avv. M C), giusta procura in calce al controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza del Tribunale di Benevento-Sezione Lavoro n. 9/2001 del 16 gennaio 2001 (resa nel giudizio di appello avente il n. di r.g. 392/99).
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del marzo 2004 dal Consigliere Dott. B B;

Udito l'avv. G R;

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE E A, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. al Pretore-Giudice del Lavoro di Benevento G C conveniva in giudizio la Banca Sannitica s.p.a. - alle cui dipendenze aveva prestato la propria attività lavorativa dal 14 aprile 1974 al 31 dicembre 1993 - esponendo che aveva effettuato prestazioni di lavoro straordinario non retribuite e che gli era stato corrisposto il trattamento di fine rapporto (t.f.r.) senza che venissero calcolati la retribuzione spettante per il lavoro straordinario e il premio di rendimento conseguito negli ultimi due anni di servizio. Il ricorrente richiedeva, quindi, all'adito Pretore il riconoscimento della retribuzione dovuta per il lavoro straordinario effettivamente prestato e il pagamento delle differenze tra t.f.r. dovuto e quello corrisposto.
Si costituiva in giudizio la Banca convenuta che impugnava integralmente la domanda attorca e ne chiedeva il rigetto con ogni relativa conseguenza.
L'adito Giudice del lavoro rigettava il ricorso e - su impugnativa del C e costituitasi in giudizio la soc. coop. r.l. Banca Popolare di Novara (incorporante per fusione la s.p.a. Banca Sannitica) - il Tribunale di Benevento (quale Giudice del lavoro di secondo grado) respingeva l'appello e compensava tra le parti le spese del grado.
Per quello che rileva in questa sede il Giudice di appello ha i rimarcato che: a) "non è in discussione il fatto che l'appellante svolgesse la sua normale attività lavorativa giornaliera oltre il normale orario di lavoro fino alle ore diciotto";
b) "ai dirigenti delle aziende di credito si applica sulla base dell'art. 29 del c.c.n.l. un orario flessibile, che comprende anche il normale e
ordinario svolgimento di prestazioni straordinarie non retribuite";

c) "l'unico limite è quello la 'ragionevolezza', (sicché) il limite della prestazione straordinaria non deve superare tale predetto limite poiché altrimenti si avrà un'usura delle energie psico- fisiche del dirigente che deve essere retribuita o comunque compensata";
d) "nel caso di specie ciò non è avvenuto ovvero non è stato provato, (per cui) non si ravvisa nell'ora e quarantacinque minuti di orario lavorativo oltre il termine ordinario nessun'attività usurante";
e) "per quanto attiene all'aspetto della riliquidazione del t.f.r. per non aver in esso ricompresso il premio di produzione o di rendimento del 1993 da liquidare entro il 31 maggio 1994, non vi è prova di calcoli errati come effettuati dal datore di lavoro non essendo a tale scopo sufficiente una relazione tecnica di parte".
Per la cassazione di tale sentenza G C propone ricorso affidato a tre motivi e sostenuto da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. L'intimata soc. coop. r.l. Banca Popolare di Novara, ut supra, resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente (denunciando "violazione degli artt. 1 del r.d.l. n. 692/1923 e 29 del ccnl dei dirigenti delle aziende di credito, nonché degli standards massimi di durata") rileva che "il Tribunale di Benevento - che avrebbe dovuto accertare se, nella specie, si fossero effettivamente verificate le circostanze indicate dalla giurisprudenza per la corresponsione del compenso per il lavoro straordinario ai funzionari direttivi (e, cioè, quando la contrattazione collettiva delimiti l'orario normale di lavoro anche per il personale direttivo e tale orario venga superato e ove la dilata della prestazione lavorativa valichi comunque il limite della ragionevolezza) - ha erroneamente operato tale accertamento solo con riferimento alla denunziata violazione del limite di ragionevolezza dell'orario di lavoro, ritenendo insussistente la denunziata violazione, mentre nella controversia de qua ricorrevano entrambi i presupposti per il riconoscimento del diritto al pagamento del lavoro straordinario" e censura, quindi, la sentenza impugnata "per avere il Giudice di appello, con motivazione incongrua e illogica, disatteso le richieste del C sull'assunto che lo stravolgimento dell'orario di lavoro giustificabile con la flessibilità introdotta all'art. 29 del c.c.n.l. non avrebbe comportato la violazione del limite ragionevole
della durata dell'orario di lavoro: ciò in assenza di una prova del denunziato superamento dei limiti con conseguente lesione del proprio primario interesse alla tutela della salute e della integrità psico- fisica".
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente - denunciando "vizi di motivazione circa un punto decisivo della controversia nella parte in cui ritiene non superato il limite di ragionevolezza" - specifica che "la valutazione operata dal Tribunale circa l'assimilabilità, o meno, alla categoria di "attività usurante" dell'attività svolta dal ricorrente oltre l'orario normale, presenta l'insanabile contraddizione cui cade la sentenza impugnata: infatti se, da un lato, dà per accertato il fatto descritto dal ricorrente in mancanza di specifica contestazione della controparte e se il ricorrente ha esattamente precisato (nel descrivere il fatto costitutivo del preteso diritto) in cosa consistesse e come fosse impiegato il lasso di tempo durante il quale si protraeva la sua permanenza sul luogo di lavoro oltre il tempo normale, proprio non si comprende come possa poi la sentenza giungere a rilevare l'omessa precisazione delle modalità;
e, soprattutto, come possa, poi, affermare, pur sul dichiarato presupposto dell'omessa precisazione di quelle modalità, che la prestazione lavorativa era "quasi per intero assorbita dallo svolgimento di operazioni da effettuare verso le diciotto con successiva chiusura della sede".
Con il terzo motivo il ricorrente (denunciando "violazione degli art. 112 cod. proc. civ. e 2702 cod. civ.") addebita al Tribunale di
Benevento di avere deciso - sul "capo" concernente la richiesta di liquidazione del t.f.r. per mancata inclusione in esso del premio di rendimento - "in violazione dell'obbligo di pronunziare sulla domanda e, contestualmente, in violazione dell'obbligo di valutazione, a fini probatori, della scrittura proveniente dalla Banca e denominata "prospetto di liquidazione del t.f.r.".
2/a. I primi due motivi di ricorso - esaminabili congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi - si appalesano fondati. Al riguardo si rileva, in linea generale, che nei confronti del personale direttivo - che è escluso dalla disciplina legale delle limitazioni dell'orario di lavoro - il diritto al compenso per lavoro subordinano può sorgere o nel caso in cui la normativa collettiva (o la prassi aziendale o il contratto individuale) delimiti anche per essi un orario normale di lavoro e quando venga in concreto superato ovvero - o meglio, in ogni caso - quando la durata della prestazione fornita seda i limiti della ragionevolezza in rapporto anche alla tutela, costituzionalmente garantita, del diritto alla salute (cfr. Cass. n. 9^50/2003, Cass. n. 12301/2003). Il cennato orientamento giurisprudenziale è conseguente alla normativa sulle limitazioni d'orario per i lavoratori dipendenti ex artt. 1 del r.d.l. n. 692/1923 (convertito in legge n. 473/1925) e 3 del r.d.l. n. 1955/1923 - che esclude dal campo di applicazione di dette norme il personale direttivo delle aziende - ed alla decisione della Corte Costituzionale n. 101/1975 a norma della quale "un limite quantitativo globale, anche se non stabilito dalla legge o dal contratto, sussiste pure nei confronti del personale direttivo, in rapporto alla necessaria tutela della salute e dell'integrità psico- fisica, e detto limite va individuato in relazione alle obiettive esigenze e caratteristiche dell'attività richiesta alle diverse categorie di dirigenti e funzionari: spetta quindi al giudice nelle singole fattispecie esercitare un controllo sulla ragionevolezza delle prestazioni di lavoro pretese dall'imprenditore". 2/b. Nella specie, il Tribunale di Benevento - con riferimento al fatto incontestato che il C (con qualifica rientrante nell'ambito del personale direttivo dell'azienda bancaria di appartenenza) avesse tratto quotidianamente l'orario di lavoro di un'ora e quarantacinque minuti -, per respingere la richiesta giudiziale di pagamento del cennato lavoro straordinario, si è limitato ad affermare (come si è dinanzi constatato) che "ai dirigenti delle aziende di credito si applica sulla base dell'art. 29 del c.c.n.l. un orario flessibile che comprende anche il normale e
ordinario svolgimento di prestazioni straordinarie retribuite" e che "in relazione all'unico limite individuato dalla Cassazione nella "ragionevolezza", non si ravvisa nell'ora e 45 minuti orario lavorativo oltre il termine ordinario nessun'attività usurante". Per contrastare tali affermazioni il ricorrente ha rilevato che: a) l'art. 29 del contratto collettivo dei dirigenti delle aziende di credito applicabile nella specie - sanciva, al primo comma, che "la prestazione lavorativa del funzionario si effettua, di massima, in correlazione temporale con l'orario normale applicabile nell'unità produttiva in cui lo stesso è addetto" e, al successivo comma, che "tuttavia nel caso che funzioni o i compiti affidati lo richiedano, detta prestazione può essere anche svolta con criteri di flessibilità temporale", sicché - a parere del ricorrente - "normalmente" la prestazione lavorativa del dirigente bancario non può essere svolta con criteri di flessibilità temporale;
b) la protrazione quotidiana e continua di un'ora e quarantacinque minuti da parte del dirigente rispetto all'orario normale osservato nell'unità produttiva dagli altri dipendenti costituisce carattere usurante della cennata prestazione e non può non essere convenientemente valutata al fine della violazione del limite ragionevole della durata dell'orario di lavoro.
2/c. Entrambi i cennati rilievi si ritengono fondati in quanto effettivamente il Giudice di appello:
a/1) non ha adeguatamente considerato il contenuto della normativa collettiva applicabile al dedotto rapporto di lavoro non attribuendo la dovuta rilevanza all'art. 29 cit. e, in particolare, ha statuito apoditticamente che l'art. 29 stabiliva un orario flessibile", quando invece tale disposizione ha fissato l'orario di lavoro del personale direttivo bancario in correlazione con l'orario normale degli altri dipendenti "di massima" e riferendosi a "criteri di flessibilità temporale nel caso che le funzioni o i compiti lo richiedano": per cui, per una corretta decisione della controversia, il Tribunale di Benevento avrebbe dovuto collegare, in base a compatibili criteri logico-giuridici congruamente motivati, siffatta normativa - che sanciva un normale ("di massima") orario di lavoro anche per i dirigenti e la mera eventualità ("nel caso che") di discostarsene - con il fatto pacifico della prestazione quotidiana e continuativa di un'ora e quarantacinque minuti oltre l'orario normale da parte del funzionario in questione;

b/1) il limite di "ragionevolezza" della durata delle prestazioni lavorative del dirigente pretese dall'imprenditore - indicato dalla Corte Costituzionale per sancire sostanzialmente la durata massima della prestazione giornaliera anche per tale categoria di lavoratori ed affidato alla concreta determinazione da parte del giudice in una funzione suppletiva-integrativa per la valutazione sulla gravosità della protrazione dell'orario di lavoro con conseguente fissazione di un limite massimo (Corte Cost. n. 101/1975, cit.) - è stato inteso in vario modo dalla giurisprudenza e, in sede di legittimità, si è ritenuto che il giudizio "di merito" su tale limite restasse incensurabile se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi (donde l'eventualità di divisioni in materia apparentemente difformi in relazione alla adeguatezza, o meno, delle motivazioni a sostegno delle sentenze impugnate dalle parti contrapposte). Al riguardo si rileva che il contenuto normativo desumibile dalla decisione della Consulta sul "limite di ragionevolezza" può essere fatto rientrare nell'ambito delle c.d. "norme elastiche" e di quelle (ad esse connesse ma con le stesse non confondibili) rientranti nella nozione di "clausola generale", cioè delle norme il cui contenuto, appunto, elastico richiede giudizi di valore in sede applicativa, in quanto la gran parte delle espressioni giuridiche contenute in norme di legge sono dotate di una certa genericità la quale necessita, inevitabilmente, di un'opera di specificazione da parte del giudice che è chiamato a darvi applicazione.
In relazione a ciò deve precisarsi che l'applicazione delle disposizioni formulate in virtù dell'utilizzo di concetti giuridici indeterminati non coinvolge un mero processo di identificazione dei caratteri del caso singolo con gli elementi della fattispecie legale astratta e richiede, invece, da parte del giudice l'esercizio di un notevole grado di discrezionalità al fine di individuare nella specifica fattispecie concreta le ragioni che ne consentano la riconduzione alle nozioni usate dalla norma. Entro siffatta valutazione il giudice, oltre a risolvere la specifica controversia, partecipa in tal modo alla formazione del concetto (e, cioè, alla sua progressiva definizione in relazione al valore semantico del termine), con la precisazione che il significato adottato non può prescindere dalle convenzioni semantiche sussistenti all'interno di una data comunità in una certa epoca storica e, sotto concorrente profilo, dagli "attuali" principi generali (specie di rango costituzionale) propri dell'ordinamento positivo. Applicando tali canoni interpretativi per precisare il contenuto del "limite di ragionevolezza" in aderenza, (o, recte, in adempimento) a quanto statuito normativamente dalla Corte Costituzionale - secondo un limite quantitativo globale ancorché non statuito dalla legge in numero massimo di ore di lavoro esiste pur sempre anche per il personale direttivo in rapporto alla necessaria tutela della salute e l'integrità fisico-psichica garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori ed al diritto per lo stesso personale direttivo di ricevere una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato in conformità al principio enunciato dall'art. 36 Cost. - si deve evitare di cadere nell'ipotesi paventata in dottrina di "spiegare il contenuto di una clausola generale per mezzo di un'altra clausola generale" e tenere conto che il controllo della "ragionevolezza" affidato al giudice deve rifarsi a criteri obiettivi riferiti alla gravosità della prestazione dell'orario di lavoro con conseguente individuazione del limite massimo della prestazione lavorativa del personale direttivo tenuto conto del mutato contesto sociale e ordinamentale alla stregua di quanto indicato in dottrina (sia pure in relazione alla diversa questione della precisazione della clausola della "buona fede") che la clausola generale deve abilitare il giudice a concedere spazi ed effettività, più che a valori etici e morali collocati fuori del "territorio positivo" e alla mera discrezionalità soggettiva del singolo giudicante, ai valori sui quali si fonda il sistema giuridico e per tale ragione vantano un titolo poziore per influenzare ed orientare l'adempimento dell'obbligazione.
Per quanto concerne l'esclusione di un limite di orario per il personale direttivo sancita dalla summenzionata normativa del "1923" (definita in dottrina "un pezzo di storia della dottrina giuslavoristica italiana"), sostanzialmente modificata dalla Corte Costituzionale mediante il controllo giudiziale sulla ragionevolezza della durata della prestazione lavorativa in ordine al concetto di "orario normale di lavoro" la nuova disciplina di cui all'art. 13 della legge 196/1997 ed al d. lgs. n. 66/2003 - peraltro non
direttamente applicabile alla fattispecie - ha tardivamente attuato la direttiva n. 93/104 CE (sulla quale Corte Giust. 9 marzo 2000 nella causa n. 386/98), la valutazione del criterio generale della "ragionevolezza" deve avvenire tenendo anche presente la distinzione tra dirigente "apicale" id est, del dirigente che ha un potere decisionale e rappresentativo idoneo ad influenzare l'andamento o la vita dell'azienda tanto nel suo interno quanto nei rapporti con i terzi, il che ne fa un vero e proprio alter ego l'imprenditore e dirigente "meramente convenzionale" o "pseudo-dirigente" (id est, del c.d. dirigente rientrante nel "personale direttivo" caratterizzato dalla "media" e "bassa dirigenza" rappresentato dal dipendente in grado di offrire prestazioni lavorative di elevata competenza e responsabilità, anche con preposizione gerarchica ad una direzione" o ad un "ramo" o ad "un servizio" dell'azienda tale però da non influenzare in modo significativamente decisivo l'intero andamento aziendale (cfr. Cass. n. 12751/1999, Cass. n. 5526/2003). 2/d -. Tanto considerato e precisato, il criterio di ragionevolezza deve essere individuato alla stregua dei seguenti principi: "per un lavoratore rientrante nella categoria del personale direttivo l'essere costretto a restare sul luogo di lavoro oltre l'orario normale fissato per gli altri dipendenti costituisce carattere gravoso ed usurante della prestazione, pure se il lavoratore di livello dirigenziale sia costretto a restare anche in attesa senza dovere svolgere materialmente alcuna attività. Di conseguenza la protrazione continuativa e quotidiana rispetto al normale orario di lavoro della prestazione da parte del dirigente costituisce a tutti gli effetti lavoro retribuitole come straordinario sempre che la cennata protrazione sia stata richiesta o autorizzata specificamente dal datore di lavoro" (cfr., già, Cass. 18 gennaio 1987, n. 117, con la precisazione che "il carattere particolarmente gravoso e usurante non deve essere inteso nel senso che l'attività prestata dal lavoratore debba essere tale da portare, prima o poi, alla rovina fisico-psichica del lavoratore stesso, è sufficiente che essa sia complessivamente più gravosa rispetto a quella normalmente prestata dal personale direttivo dell'azienda").
2/e -. È, pertanto, incorso in decisivi errori il Tribunale di Benevento che, sia nell'applicazione della norma del contratto collettivo di lavoro sia nella determinazione del criterio di "ragionevolezza", non si è attenuto ai cennati principi. Ritenuto, pertanto che il controllo di legittimità della Corte di Cassazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. non si esaurisce in una verifica di correttezza dell'attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata percettiva della norma ma è esteso alla sussunzione del fatto nell'ipotesi normativa (Cass. Sez. Un. N. 5/2001) e che, comunque, saetta al Giudice di legittimità il controllo della adeguatezza e della logicità della motivazione del giudice di merito, si ribadisce che il Tribunale di Benevento non ha tenuto conto dei principi summenzionati e non ha dato una adeguata motivazione del proprio convincimento in ordine alle acquisizioni istruttorie (da valutarsi in periodo aderente alle reali risultanze processuali e non, invece, del tutto impropriamente come è avvenuto nell'ambito della sentenza impugnata) utili al fine della esatta determinazione dell'orario di lavoro del ricorrente appartenente al personale direttivo che ha protratto quotidianamente e continuativamente la propria prestazione lavorativa di un'ora e quarantacinque minuti rispetto al normale orario fissato per gli altri dipendenti dell'unità produttiva di appartenenza.

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