Cass. civ., sez. VI, ordinanza 12/02/2015, n. 2784
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In caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 348 ter, terzo comma, cod. proc. civ., si applicano le disposizioni di cui agli artt. 329 e 346 del medesimo codice, sicché la parte deve fornire l'indicazione che la questione sollevata in sede di legittimità era stata devoluta, sia pure nella forma propria dei motivi di appello, al giudice del gravame, dichiarato inammissibile ex art. 348 bis, cod. proc. civ. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per non aver il ricorrente indicato come e dove la questione posta con il motivo fosse stata prospettata dinanzi al giudice che aveva pronunciato la sentenza, dovendosi, per l'effetto, considerare preclusa la sua proposizione in appello, trattandosi di questione nuova).
Sul provvedimento
Testo completo
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F M - Presidente -
Dott. F R - rel. Consigliere -
Dott. D S F - Consigliere -
Dott. B G L - Consigliere -
Dott. C F M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MMAMMARELLA REMO MRME53T28C632H elettivamente domiciliato in Roma, V.le Delle Milizie 9, presso lo studio dell'avv. M G, rappresentato e difeso dall'avv. Di P P A giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MAMMARELLA CLAUDIA FRANCESCA;
- intimata -
avverso il provvedimento n. 182/2012 del TRIBUNALE di CHIETI, SEZIONE DISTACCATA di ORTONA, depositata l'11/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2014 dal Consigliere Relatore Dott. R F. FTTO E DIRITTO
Ritenuto quanto segue:
1. M R, a seguito di declaratoria dell'inammissibilità del relativo appello, disposta dalla Corte d'Appello di L'Aquila con ordinanza ai sensi dell'art. 34-bis c.p.c. del 7 dicembre 2013, ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., comma 3 avverso la sentenza del Tribunale di Chieti, Sezione Distaccata di Ortona, dell'11 ottobre 2012, con la quale era stata rigettata con gravame di spese l'opposizione da lui proposta con citazione del 16 ottobre 2008 avverso il precetto intimatole dalla figlia Mammarella Claudia Francesca per l'importo di Euro 4.386,00 (oltre interessi per Euro 228,79 e spese per Euro 585,42) a titolo di assegno di mantenimento dal novembre 2003 al gennaio 2008, dovuto sulla base di titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza n. 671 del 1996 del Tribunale di Chieti, dichiarativa della separazione consensuale fra esso ricorrente e la moglie Petini Maria. 2. Al ricorso non v'è stata resistenza dell'intimata. 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento di cui all'art. 380-bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione all'avvocato della parte ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell'odierna adunanza.
4. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato quanto segue:
1. Nella relazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. sono state svolte le seguenti testuali considerazioni:
"... 3. Il ricorso può essere deciso con il procedimento di cui all'art. 380-bis c.p.c., in quanto appare manifestamente inammissibile.
Queste le ragioni.
4. Con il primo motivo di ricorso si denuncia "violazione e falsa applicazione di norma di diritto, art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all'art. 155 quinquies c.c. con cui il figlio maggiorenne può ottenere il diritto al mantenimento ma solo nel caso di sua non indipendenza non autosufficienza economica. Omesso esame, art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all'art. 112 c.p.c. di fatto decisivo del
giudizio ed oggetto di discussione.
Vi si sostiene che la sentenza di primo grado impugnata in questa sede non una sola parola afferma sul fatto della indipendenza economica della figlia precettante, in violazione della detta norma di diritto.
Si soggiunge, quindi, che tanto avrebbe dovuto essere delibato dato che, se il Tribunale Collegiale di Chieti nel procedimento ex art. 710 c.p.c. ha dichiarato la caducazione delle condizioni, indi non
più modificabili, della sentenza di separazione concordata per avvenuto decesso della coniuge e la necessità che ogni rapporto economico tra padre e figlio si definisca con ordinario procedimento di cognizione, proprio in tale procedimento di opposizione al precetto era necessario delibare sulla sussistenza del diritto legittimante la figlia ad ottenere il mantenimento. Si continua, quindi, sostenendo che: la svolta motivazione, nel precedente provvedimento, ne omette ogni esame, dato che il primo Giudice afferma tale diritto ... atteso che la figlia è portatrice di un proprio interesse diverso da quello della madre e tutelabile autonomamente. Ma invero la sentenza di separazione è accordo tra padre e coniuge, cui la figlia è stata estranea ex art. 1372 cod. civ., accordo che no si trasferisce automaticamente in capo ad essa,
che infatti non è minore e che gode di reddito proprio, essendo autosufficiente da anni, unica dinamica in tal senso essendo solo a seguito della disposizione giudiziale ai sensi dell'art. 155 quinquies cod. civ. alla quale e non ostante sia stata convenuta
proprio in quel proc. ex art. 710 c.p.c. tale figlia si è invece opposta impedendo al giudice d'analizzare e pronunciarsi sul di lei diritto al mantenimento (che le sarebbe stato negato per indipendenza economica). Quindi andava verificata l'efficacia di quel titolo esecutivo, in favore della figlia, e se la stessa abbia diritto all'assegno, proprio in codesto procedimento ordinario di cognizione, opposizione all'esecuzione, in cui il padre ha contestato appunto il diritto della parte a procedere all'esecuzione forzata in relazione ad un titolo che è in toto inefficace a favore della stessa procedente, che è, infatti, autosufficiente".
4.1. Ora, ne' dalle espressioni riportate ne' dal prosieguo dell'illustrazione del motivo si evince alcunché che evidenzi che la questione prospettata con il motivo di ricorso - in disparte la ambiguità della sua intestazione, là dove per un verso si sostiene la violazione diretta della norma dell'art. 155-quinquies c.c. come se il Tribunale se ne fosse occupato, per altro verso in modo del tutto contraddittorio si denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. (fra l'altro impropriamente evocando l'art. 360 c.p.c. nuovo testo, n. 5), che all'evidenza suppone invece che non se ne sia occupato - fosse stata oggetto di esercizio del diritto di impugnazione con l'appello.
Tale indicazione e la correlata dimostrazione erano necessarie, in quanto è stato già affermato dalla Corte (ordd. nn. 8940, 8941, 8942 e 8943 del 2014), il principio di diritto secondo cui l'impugnazione della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 348- tre c.p.c., comma 3 è soggetta al controllo della Corte di cassazione sia sotto il profilo dell'art. 329 c.p.c. in relazione all'appello a suo tempo esercitato, sia sotto quello dell'eventuale abbandono con lo stesso appello di questioni per difetto di riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c.. In tali ordinanze (si vedano in particolare i paragrafi 3.2.-3.5. della relazione condivisa dal Collegio nell'ordinanza n. 8940) si spiegano ampiamente le ragioni per cui, nell'ambito del requisito di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3 e comunque in funzione della ammissibilità dell'impugnazione, il ricorrente contro la sentenza di primo grado deve fornire l'indicazione che la questione posta con il motivo di ricorso per cassazione contro di essa era stata devoluta, sebbene nella forma propria dei motivi di appello, al giudice dell'appello dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 34-bis. Ciò, perché con il ricorso contro la sentenza di primo grado non possono farsi valere motivi che propongano questioni rimaste oggetto di acquiescenza con l'appello avverso di essa.
L'onere del ricorrente contro la sentenza di primo grado di evidenziare che la questione proposta con il motivo di ricorso per cassazione era stata fatta valere con l'appello, inerendo all'attività di articolazione del motivo di ricorso e, dunque, alla "domanda" proposta alla Corte di cassazione non è, d'altro canto, che assolvibile dallo stesso ricorrente, non potendo pretendersi che la Corte ricerchi d'ufficio se esso sia stato assolto. Il motivo è, pertanto, inammissibile.