Cass. civ., sez. II, sentenza 23/01/2018, n. 01621

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 23/01/2018, n. 01621
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 01621
Data del deposito : 23 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sul ricorso 10350-2015 proposto da: BANCA IMI S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, C A, M M, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL CONSOLATO, 6, presso lo studio dell'avvocato A G, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato M S;

- ricorrenti -

contro

CONSOB - COMMISSIONE NAZIONALE PER LA SOCIETÀ E LA BORSA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la propria sede VIA

GIOVANNI BATTISTA MARTINI

3, rappresentata e difesa dagli avvocati SALVATORE PROVIDENTI, E C e G R;

- controricorrente -

nonchè

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO;

- intimato -

avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositato il 14/10/2014, R.G.n. 448/2014, Cron.n. 3945/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. L O;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G S che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avvocato M S, difensore della ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato E C, difensore del controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1 Con decreto 14.10.2014 la Corte d'Appello di Milano ha respinto il ricorso in opposizione proposto dalla Banca I.M.I. spa e dai suoi esponenti aziendali dott.ri Antonio Colella e Massimo Mazzarello contro la delibera Consob n. 17612 del 29.12.2010 con cui agli ultimi due era stata applicata la sanzione di C. 50.000 per ciascuno per violazione del DLGS n. 58/1998 art. 95 comma 1 lett. a) e 5 comma 4 del Regolamento adottato con delibera Consob 11971/1999 (testo vigente ratione temporis) mentre alla Banca, come soggetto responsabile in solido era stato ingiunto, ai sensi dell'art. 195 comma 9 DLGS n. 58/1998, il pagamento della sanzione di C. 100.000,00. La contestazione e il conseguente trattamento sanzionatorio si riferivano ad un illecito commesso in occasione dell'offerta di sottoscrizione e vendita di azioni della Omnia Network spa svoltasi tra il 12 e il 22.2.2007 nel corso della quale non erano stati rappresentati, nel prospetto informativo, i rischi derivanti dalla criticità sussistenti nel Sistema di Controllo di gestione (SCG) dell'emittente società Omnia Network spa. Per giungere a tale conclusione, la Corte milanese, per quanto ancora interessa in questa sede: - ha disatteso la doglianza con cui si deduceva l'illegittimità del provvedimento emesso all'esito di un procedimento protrattosi oltre i 360 giorni prescritti dalla Delibera Consob n. 12697 del 2000 attuativa dell'art. 2 I. 241/1990;
- ha analizzato sia il panorama normativo in tema di quotazione in borsa e predisposizione dell'offerta pubblica di vendita e sottoscrizione delle azioni, sia la documentazione in atti ed ha ritenuto che, per la peculiare natura del controllo demandato al responsabile del collocamento autore della attestazione di conformità del prospetto informativo, i ricorrenti non potessero ritenersi esenti da negligenza, contrariamente a quanto da essi sostenuto, perché la Banca, prima di rilasciare l'attestato, avrebbe dovuto verificare in concreto l'avvenuta eliminazione dei fattori di rischio emersi in occasione dei controlli svolti dalla apposita società di revisione;
- ha considerato il Colella e il Mazzarello destinatari della norma sanzionatoria disattendendo le argomentazioni difensive tendenti a dimostrare che essi, al pari della Banca, non potevano identificarsi come responsabili del collocamento. 2 Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione sia la Banca che i predetti esponenti aziendali sulla base di due censure precedute da una richiesta di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. Resiste con controricorso la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - CONSOB. Le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Come accennato in narrativa, il ricorso pone innanzitutto un problema di legittimità costituzionale. La norma sospettata è l'art. 195 commi 4,5,6,7 del Dlgs n. 58/1998 (T.U.F.) per contrasto con l'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo in relazione agli artt. 117 comma 1 della Costituzione, con l'art. 3 della Costituzione in relazione all'art. 6 del Dlgs n. 150/2011, nonché per manifesta irragionevolezza della disciplina speciale. Attraverso una quadruplice articolazione argomentativa, i ricorrenti sottolineano: a) la natura penale delle sanzioni Consob e quindi l'applicabilità dell'art. 6 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, soffermandosi in particolare sulla pronuncia della

CEDU

4.3.414 (Grande Stevens e altri/Italia);
richiamano in proposito anche le pronunce della Corte Costituzionale sulle sanzioni amministrative qualificate come penali dalla Corte Europea e traggono la conclusione che il giudice adito in sede di opposizione deve sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge italiana contrastante con l'art. 6 della Convenzione rispetto all'art. 117 della Costituzione;b) l'incostituzionalità del procedimento in camera di consiglio previsto per l'opposizione davanti alla Corte d'Appello perché non garantisce la parità di armi tra accusa e difesa, né la piena tutela del diritto al contraddittorio e alla prova;
c) la disparità di trattamento e quindi la violazione del principio di uguaglianza che si verifica nel procedimento camerale in unico grado davanti alla Corte d'Appello di cui all'art. 195 TUF rispetto alla opposizione disciplinata dall'art. 6 del DLgs n. 150/2011, procedimento a cognizione piena ed esauriente e caratterizzato dalla predeterminazione delle forme processuali e dei poteri delle parti e del giudice;
d) la carenza di garanzie che presenta il rito camerale in unico grado e al riguardo, per sostenere la non manifesta infondatezza della questione, richiamano le precedenti ordinanze di rimessione delle Corti di Appello di Genova e Firenze che legittimerebbero, in ogni caso, la sospensione del presente procedimento in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale. Ritiene il Collegio che la richiesta dei ricorrenti non possa trovare accoglimento sotto nessuno dei profili evidenziati perché manifestamente infondata ed irrilevante per le ragioni appresso indicate. a -a) Premesso che la sentenza CEDU intervenuta sul caso Grande Stevens è stata resa nell'ambito di una vicenda riguardante le sanzioni irrogate dalla CONSOB ai sensi dell'art. 187 ter TUF, in un caso di "manipolazione del mercato" (vicenda, quindi, ben diversa rispetto a quella oggetto del presente giudizio), rileva il Collegio che per giurisprudenza costante, le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB ai sensi dell'art. 190 del d.lgs. n. 58 del 1998 (cd. TUF) non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle inflitte ai sensi dell'art. 187-ter del TUF per manipolazione del mercato, sicché non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall'art. 6 CEDU, in particolare quanto alla violazione del "ne bis in idem" tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti (v. Sez. 2, Sentenza n. 8855 del 05/04/2017 Rv. 643735;
cfr. Cass. Sez. 1, 30/06/2016, n. 13433;
Cass. Sez. 1, 02/03/2016, n. 4114;
Cass. Sez. 2, 24/02/2016, n. 3656, tutte in rapporto a Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia). Tale principio - che oggi va senz'altro ribadito - si applica a maggior ragione nel caso in esame, relativo ad una sanzione pecuniaria irrogata "ai sensi dell'art. 191 comma 2 del Dlgs 24 febbraio 1988 n. 58" (lo dichiarano gli stessi ricorrenti a pag. 3) e quindi addirittura più favorevole rispetto a quella prevista dall'art. 190. La norma di diritto interno applicata nel caso di specie è dunque norma sostanziale contemplante un mero illecito amministrativo. Donde, in mancanza di espressa disposizione di legge, resta immune dai riflessi di principi dettati in materia di norme penali sostanziali, posto che un concetto della "natura penale" di una disposizione di diritto interno sarebbe esso in stridente relazione di incompatibilità col sistema costituzionale italiano, in cui la nozione di illecito penale è astretta dal criterio di legalità formale (art. 25 cost.). In altre parole, i principi convenzionali declinati dalla citata sentenza Grande Stevens vanno considerati nell'ottica del giusto processo, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dall'ordinamento interno. Ed è questo che vale a escludere la rilevanza della questione di legittimità costituzionale involta dallo strumento di cui all'art. 117 cost. (v. Cass. Sez. 4114/2016 cit. in motivazione). b-b) Quanto alle critiche sul rito camerale, è sufficiente osservare che davanti alla Corte d'Appello il procedimento è stato trattato in udienza pubblica e lo si ricava non solo dal provvedimento impugnato ma anche dalla copia del verbale di udienza che la Consob ha allegato al controricorso.c-c — d-d) Sulla competenza della Corte d'Appello a decidere in unico grado, la Corte Costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle disposizioni che prevedono un modulo processuale non improntato al doppio grado di giurisdizione di merito, ha sempre "negato l'esistenza nel nostro ordinamento del suddetto principio, che il legislatore ordinario non é pertanto tenuto ad osservare in ogni caso" (v. Corte Cost. n. 78/1984 in materia di espropriazione;
v. altresì n. 52/1984;
395/1988;
80/1988). Sui rapporti col rito previsto dal Dlgs n. 150/2011 art. 6, sulle violazioni del principio del contraddittorio, e di difesa, la questione si rivela irrilevante perché non è dato assolutamente conoscere quale attività difensiva i ricorrenti avrebbero in concreto inteso svolgere sia in sede amministrativa che giurisdizionale e non hanno invece potuto svolgere: il decreto impugnato non affronta il problema e il ricorso si rivela completamente silente su tale circostanza, costituente un imprescindibile presupposto ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale oggi sollevata. Ciò induce inevitabilmente questa Corte a ritenere che nel giudizio di opposizione nessun dubbio di legittimità costituzionale sia mai stato neppure adombrato, benché al momento della proposizione del ricorso davanti alla Corte d'Appello di Milano (10.6.2014) il caso Grande Stevens, costituente uno dei perni su cui si basa la richiesta in esame, fosse stato già deciso e la relativa pronuncia pubblicata (4.3.2014). Quanto, infine, alla richiesta subordinata di sospensione del procedimento (v. pag. 32 ricorso) in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulle questioni rimesse dalle Corti di Genova e Firenze con riferimento al rito camerale, va osservato che con recente ordinanza n. 158/2017 la Corte Costituzionale - preso atto delle modifiche all'art. 195 TUF apportate ad opera del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 72 (per quanto interessa, previsione dell'udienza pubblica ai sensi dell'art. 5 comma 5, norma applicabile anche ai giudizi pendenti in virtù di disposizione transitoria contenuta nell'art. 6 comma 8) - ha disposto la restituzione degli atti ai giudici a quibus affinché valutino le conseguenze di tali modifiche nei giudizi principali, specie ai fini della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate. Nel caso in esame la Corte di Milano ha provveduto in pubblica udienza, come già esposto.
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