Cass. civ., SS.UU., sentenza 13/11/2012, n. 19704
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In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, l'inosservanza dell'obbligo di astensione ex art. 2, comma primo, lett. c), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, è sanzionata solo se sussiste il dolo.
L'obbligo di astensione, rilevante in sede disciplinare a norma dell'art. 2, comma primo, lett. c), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, non è limitato alle sole ipotesi previste dall'art. 51, comma primo, cod. proc. civ. e dagli artt. 36 e 37 cod. proc. pen., ma è configurabile in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato o di un suo prossimo congiunto, poiché l'art. 323 cod. pen. fonda un dovere generale di astenersi, ove sussista un conflitto, anche solo potenziale, di interessi, che possono essere anche non patrimoniali, in quanto la previsione costituisce modalità di attuazione del principio di imparzialità, cui deve ispirarsi tutta l'attività dei pubblici ufficiali a norma dell'art. 97 Cost., ed il richiamo della disposizione ai requisiti della patrimonialità e dell'ingiustizia del danno attiene non all'interesse, ma all'evento del reato. Ne consegue che, con riferimento al giudice civile, la facoltà di astenersi per gravi ragioni di convenienza deve ritenersi abrogata per incompatibilità e sostituita dal corrispondente obbligo, in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, tanto più che la diversa soluzione esporrebbe la norma di cui all'art. 51, comma secondo, cod. proc. civ. al dubbio di costituzionalità, per disparità di trattamento rispetto al giudice penale, su cui incombe l'obbligo di astenersi ai sensi dell'art. 36, comma primo, lett. h), cod. proc. pen., e a tutti i dipendenti della P.A., gravati di identico dovere per effetto dell'art. 6 del D.M. 28 novembre 2000, emanato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo presidente f.f. -
Dott. R L A - Presidente di sez. -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5302-2012 proposto da:
P.A. , elettivamente domiciliato in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato M V, per delega in atti;
- ricorrente -
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2/2012 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 12/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2012 dal Consigliere Dott. A S;
udito l'Avvocato V M;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. C R, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dr. P.A. , presidente di sezione del tribunale di Napoli è stato sottoposto a procedimento disciplinare per l'illecito di cui al R.D. n. 511 del 1946, art. 18 tipizzato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, comma 1, lett d) in relazione all'art. 323 c.p. per
aver, in violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità, trattato quale giudice monocratico del tribunale di Napoli e definito con sentenza la controversia civile tra la s.p.a. R Gestioni ed il Comune di Napoli, accogliendo la domanda della società, per la qualificazione del rapporto come di appalto di servizi, nonostante che: tra lui e l'amministratore della s.p.a. avv. R.A. vi fosse un rapporto quarantennale di amicizia e frequentazione;che la figlia fosse stata dipendente dal 2000 al 2009 della medesima società;che, come risultava dalle intercettazioni telefoniche, la qualificazione dei rapporti contrattuali come appalto di servizi fosse condizione per la partecipazione alle gare pubbliche;che dalle stesse intercettazioni emergeva la spendita della pronunzia in questione con esponenti politici ed amministrativi. Il dr. P. veniva sottoposto a procedimento disciplinare anche per l'illecito tipizzato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c, per avere, in violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità, consapevolmente omesso di astenersi dalla trattazione e definizione della controversia civile di cui al capo che precede, in presenza di rapporti risalenti di amicizia e frequentazione con l'amministratore della s.p.a., avv. R. .
La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza depositata il 12 gennaio 2012, assolveva il dr. P. dall'incolpazione di cui al capo a) e dichiarava lo stesso responsabile di quella di cui al capo b), condannandolo alla sanzione della censura.
Riteneva la sezione che era rimasta accertata sia l'amicizia da alcuni decenni del magistrato con l'avv. R. sia la frequentazione, che aveva assunto i caratteri di stretta amicizia, nonché il rapporto di dipendenza della figlia dalla s.p.a. R;che nella fattispecie sussisteva l'obbligo di astensione per interesse proprio e/o di prossimo congiunto previsto dall'art. 323 c.p. (per il quale reato il GIP del tribunale di Roma aveva disposto l'archiviazione per prescrizione, pur rilevando che emergevano elementi di reato soggettivo ed oggettivo);che tale obbligo di astensione integrava una norma di carattere generale, con la conseguenza che le ipotesi di astensione obbligatoria non si esaurivano per il giudice civile solo in quelle di cui all'art. 51 c.p.c., comma 1, ma dovevano essere integrate anche dall'ipotesi di cui all'art. 323 c.p.. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il dr. P.A. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente con il primo motivo del ricorso lamenta la nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione con l'incolpazione contestata al capo 2) della rubrica. Lamenta il ricorrente che con il secondo capo di imputazione gli era stata contestata la violazione del dovere di astensione dalla trattazione della causa civile in presenza di rapporti risalenti di amicizia e frequentazione con l'amministratore della R, parte processuale, ma non per violazione dell'obbligo di astensione per la presenza di un interesse proprio o di un congiunto.
Secondo il ricorrente ciò determinerebbe la violazione del principio della corrispondenza tra accusa e sentenza.
2.1. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato.
Va, anzitutto, premesso che nel procedimento disciplinare a carico di magistrati l'individuazione della condotta addebitata, cui deve essere correlata l'affermazione di colpevolezza, non va necessariamente operata con esclusivo riferimento a quanto specificamente indicato nel capo d'incolpazione, dovendo altresì considerarsi il complesso degli elementi aggiuntivi portati a conoscenza dell'incolpato e sui quali egli è stato posto nelle condizioni di difendersi (S.U., 23/12/2009, n. 27290). La necessaria correlazione fra l'accusa contestata e la sentenza mira a garantire il contraddittorio, portando a conoscenza del responsabile i fatti che gli vengono addebitati, e di consentirgli così un'adeguata difesa: per fatto contestato deve pertanto intendersi, in relazione alla predetta "ratio", non solo quello indicato specificamente nel capo di incolpazione ma quanto risulta da tutto il complesso degli elementi portati a conoscenza dell'incolpato, e sui quali lo stesso è stato messo in grado di difendersi (Cass. S.U. 7.2.2007, n. 2685). 2.2.Nella fattispecie il dr. P. era stato tratto a giudizio per due incolpazioni (indicate nello svolgimento del processo). In merito alla prima erano stati specificamente indicati quali fossero i rapporti amichevoli tra lui ed il R. e come gli stessi durassero da oltre quaranta anni e che la figlia del dr. P. fosse
dipendente di una società, che faceva capo al R. dal 2000. Questo tipo di rapporti personali, che nella struttura della sentenza concretizzano l'interesse proprio e della prossima congiunta, furono oggetto di contestazione al dr. P. , che ebbe modo di difendersi, con riguardo al complesso della contestazione, tant'è che, come emerge dalla sentenza, l'incolpato mirò a ridurne lo spessore e la durata. Ne consegue che non sussiste la pretesa mancanza di correlazione tra accusa e sentenza.
3. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 323 c.p. e del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c). Lamenta il ricorrente che l'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto, di cui all'art. 323 c.p. non integra un obbligo generale di astensione per il magistrato, essendo l'obbligo sussistente solo ai fini della fattispecie penale, mentre ai fini disciplinari gli unici obblighi di astensione sono solo quelli previsti dall'art. 51 c.c., comma 1, non essendo estensibile fuori dalla sede penale l'obbligo di astensione di cui all'art. 323 c.p.. 4.1. Il motivo è infondato.
Il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, lett. c) statuisce che costituisce illecito disciplinare nell'esercizio delle funzioni "la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge".
Osservano queste S.U. che correttamente la Sezione disciplinare ha ritenuto che la fattispecie disciplinare suddetta non è delimitata alle sole ipotesi tassativamente previste dall'art. 51 c.p.c., comma 1, e dagli artt. 36 e 37 c.p.p., con la conseguenza che il suo ambito
di applicazione è più ampio.
Già queste S.U. (sent. n. 11431 del 12/05/2010), sia pure con riguardo a magistrato che eserciti le funzioni di P.M., hanno statuito che è configurabile l'illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. c), (consapevole inosservanza del dovere di astensione nei casi previsti dalla legge), benché per il P.M. sia prevista solo la facoltà di astenersi, in quanto anche per questi sussiste il dovere di valutare, nell'esercizio delle sue funzioni, le ragioni di grave convenienza per non trattare cause in cui egli o suoi stretti congiunti abbiano interessi e quello di astenersi nel caso di verificata esistenza di tali ragioni, con particolare riguardo a interessi propri o personali dello stesso magistrato.
Più recentemente queste S.U. (sent. N. 5701 dell'11.4.2012) in un procedimento disciplinare a carico di un giudice dell'esecuzione civile, hanno statuito che l'obbligo legale di astensione del magistrato non può essere circoscritto alle ipotesi contemplate dall'art. 51 c.p.c., comma 1, giacché esiste nell'ordinamento almeno una norma penale di portata generale, che punisce il comportamento del pubblico ufficiale il quale "in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto" ometta di astenersi procurando a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecando ad altri un danno ingiusto (art. 323 c.p.). Secondo tale arresto delle S.U. "ai fini dell'illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c), l'obbligo di astensione del magistrato, pur non essendo configurabile per la mera esistenza di gravi ragioni di convenienza ex art. 51 c.p.c., comma 2, sussiste non soltanto nei casi indicati
specificamente dall'art. 51 c.p.c., comma 1, bensì in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato, o di un suo prossimo congiunto, a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri".