Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/11/2003, n. 17973
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Oggetto SEZIONI UNITE CIVILI Ricusasime del 1 7 9 73 /0 3 Composta dag Ill.m Iudice Dott. R C - Primo Presidente f.f. R.G.N. 25083/02 Cron. 35836 Dott. Vittorio Presidente di sezione- DUVA Dott. Eo Consigliere RAVAGNANI Rep. 4743 Dott. E L Rel. Consigliere Ud. 25/09/03 Dott. F S Consigliere Consigliere Dott. G NNO Dott. F M C Consigliere - Consigliere Dott. M R M - Dott. Stefanomaria EVANGELISTA 1 Consigliere ha pronunciato la seguente S EN TE N ZA sul ricorso proposto da: TIBURTINA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del ROMANA rappresentante pro-tempore, elettivamente legale domiciliata in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 14, presso lo studio dell'avvocato C M B, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso; - ricorrente 2003 719 contro -1- SOCIETA' CENTRALE ACQUISIZIONI IMMOBILIARE S.R.L., in --- persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTI PARIOLI 12, presso lo studio dell'avvocato G I, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso; controricorrente avverso l'ordinanza relativa al giudizio 88982/99 del Tribunale di ROMA, depositata il 23/05/02; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/03 dal Consigliere Dott. Ernesto LUPO; uditi gli Avvocati C M B, G IANNOTTA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE che ha concluso in via Costituzione, in relazione principale questione di Costituzione dell'art. 53 all'art. 24 e 111 della c.p.c. nella parte in cui esclude la ricorribilità avanti la Corte di cassazione, in via subordinata ammissibilità del ricorso. -2- Svolgimento del processo. Con ricorso del 7 gennaio 2002 la società Romana Tiburtina Immobiliare a r.l., in persona dell'amministratore unico Giuseppe Zeppieri, ha ricusato il dott. Giovanni Deodato, presidente del Collegio giudicante della III Sezione civile del Tribunale di Roma, investito di azione di impugnativa di delibere adottate dall'assemblea dei soci della società C.A.I (Centrale Acquisizioni Immobiliari) a r.l.. La parte ricorrente ha dedotto la configurabilità, in capo al detto magistrato, delle cause di incompatibilità previste dall'art.51, n.1, 3 e 4, c.p.c., sollevando anche questioni di legittimità costituzionale degli artt. 51 e 52 c.p.c.. Con ordinanza del 23 maggio 2002 il Collegio delle ricusazioni del Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso, condannando ricorrente alla pena pecuniaria di Euro 10,33. y b Avverso detta ordinanza la società Romana Tiburtina Immobiliare ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, a cui la società C.A.I. (Centrale Acquisizioni Immobiliari) ha resistito con controricorso. Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni unite in quanto presenta questione di massima di particolare importanza, concernente l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che ha deciso sull'istanza di ricusazione, finora costantemente negata dalla giurisprudenza della Cassazione. Motivi della decisione. 1.- Con il primo motivo la società ricorrente censura la condanna alla pena pecuniaria, deducendo la violazione degli artt. 51-54 c.p.c., in relazione all'art.360 n.3 c.p.c. ed all'art.111 Cost., nonché il “difetto assoluto di motivazione su punti decisivi della controversia". Preliminarmente, a 1 sostegno dell'ammissibilità del motivo di ricorso, la ricorrente invoca la sentenza di questa Corte n.5162 del 1984, secondo cui la non impugnabilità dell'ordinanza che ha deciso sulla ricusazione (prevista dall'art.53 c.p.c.) non ne investe il capo con cui la parte istante è condannata al pagamento della pena pecuniaria, trattandosi di statuizione che, incidendo su diritti soggettivi del soccombente, assume natura squisitamente decisoria e legittima quindi il soggetto passivo, non tutelato da altri mezzi di reazione, alla proposizione del ricorso ex art.111 Cost.. Nel merito, la ricorrente ritiene che la condanna alla pena pecuniaria non sia stata giustificata dalla ordinanza impugnata, come sarebbe stato necessario a seguito della illegittimità costituzionale dell'art.54, terzo comma, c.p.c., dichiarata dalla sentenza della Corte costituzionale n.78 del 2002. y a c Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando "violazione e falsa applicazione degli artt.111 Cost., 52, 53 c.p.c. in relazione all'art.360 n.3 c.p.c.", censura la pronunzia di inammissibilità dell'istanza, da lei proposta, di essere sentita dal Collegio che ha deciso sul ricorso per ricusazione. La ricorrente rileva che il procedimento di ricusazione, lungi dall'assumere natura amministrativa, a tutti gli effetti costituisce un processo vertente su un diritto soggettivo perfetto, quale è il fondamentale diritto all'imparzialità del giudice, garantito alle parti della controversia principale dall'art.111 Cost.. Secondo questa disposizione costituzionale, “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti", che pertanto va sempre assicurato, sia pure nelle forme più adeguate alle particolarità strutturali del procedimento di ricusazione, in cui già l'art.53 c.p.c. prevede una fase istruttoria, anche se deformalizzata. 2 Con il terzo motivo la società ricorrente, denunziando la "violazione degli artt.30-bis, 34, 51, 52, 53, 54, 56, 112 c.p.c. e dell'art.5 della legge 13 aprile 1988 n.117, in relazione agli artt.360 n.3 c.p.c. e 111 Cost.", nonché "difetto assoluto di motivazione su punti decisivi della controversia", impugna il merito della decisione del Tribunale, là dove ha escluso la sussistenza delle cause di ricusazione dedotte dal ricorrente. Preliminarmente la ricorrente si sofferma sulla ammissibilità della censura. Essa ritiene che l'orientamento tradizionale delle sezioni semplici della Corte sulla non ricorribilità, ai sensi dell'art. 111 Cost., della ordinanza emanata sul ricorso per revocazione, non sia più sostenibile alla luce del nuovo testo del citato art. 111 e delle enunciazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n.78 del 2002. Nel nuovo contesto costituzionale, y L l'aspirazione delle parti ad essere giudicate da un giudice terzo si osserva - è destinata ad assumere la consistenza del diritto soggettivo assoluto;ed anzi, di diritto primario, fondamentale ed insopprimibile della persona, di dignità pari se non superiore a quello del diritto al giudice naturale precostituito per legge e a tutti gli altri inalienabili diritti correlati alla difesa e all'azione in causa, onde l'incompatibilità dell'organo giudicante non può più essere considerata sub specie del mero profilo amministrativo afferente all'organizzazione del servizio giudiziario. Consegue che l'ordinanza che decide sul ricorso per revocazione costituisce un provvedimento decisorio, essendo conclusivo di un procedimento contenzioso autonomo vertente su diritti soggettivi fondamentali, e definitivo, perché, per espressa previsione legislativa, non impugnabile, onde contro detta ordinanza deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione straordinario ed immediato. Questa conclusione trova conforto, sul piano sistematico, nella disciplina del 3 corrispondente istituto in materia penale, che prevede (art.41 c.p.p.) la ricorribilità per cassazione dell'ordinanza sulla ricusazione, non essendo consentita una diversa intensità della tutela del diritto al giudice terzo ed imparziale a seconda dell'oggetto del contendere, atteso che come è stato osservato in dottrina terzietà ed imparzialità "colgono l'essenza del - giudice, la vera differenza tra giudice e non giudice", consacrano cioè un principio coessenziale alla funzione giurisdizionale complessivamente intesa (e qualunque sia la materia sulla quale essa si eserciti). Nel merito, la ricorrente critica ampiamente l'ordinanza impugnata che ha ritenuto insussistenti le dedotte cause di ricusazione, eccependo, in via subordinata, l'incostituzionalità dell'art.51, n.4, e dell'art.52 c.p.c., in relazione agli artt.3, 24 e 111 Cost.. y b 2.- Pregiudiziale è l'esame della ammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso l'ordinanza che, a norma dell'art. 54 c.p.c., ha rigettato la ricusazione, condannando il ricorrente la società ricorrente al pagamento della pena pecuniaria prevista dal detto articolo. Dal punto di vista logico è prioritario l'esame della ricorribilità in toto della ordinanza impugnata, rispetto alla proponibilità del ricorso per cassazione avverso la sola parte di essa con cui la ricorrente è stato. condannata a pagare la pena pecuniaria. Va perciò rovesciato l'ordine con cui la ricorrente ha esposto i motivi del ricorso, impugnando, con il primo motivo, la sola condanna alla pena pecuniaria e, con il terzo motivo, il rigetto della ricusazione. 3. L'art.53, secondo comma, c.p.c. dichiara espressamente non impugnabile l'ordinanza che decide sul ricorso per ricusazione (qualunque sia il suo contenuto: inammissibilità, rigetto o accoglimento del ricorso). 4 La proponibilità del ricorso per cassazione straordinario, ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. (nel testo risultante dalle modifiche ad esso apportate dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n.2), viene prospettata in quanto si attribuisce all'ordinanza che, come nel caso di specie, ha rigettato la ricusazione, la natura sostanziale di sentenza. Secondo un costante orientamento di questa Corte (a partire dalla sentenza delle Sezioni unite 30 luglio 1953 n.2593), che ha interpretato il termine "sentenza" usato dal citato art. 111 Cost. in senso sostanzialista, vi si comprendono anche i provvedimenti giurisdizionali che hanno forma diversa dalla sentenza, se essi presentano ambedue i seguenti requisiti: la decisorietà, nel senso che essi risolvono una controversia su un diritto soggettivo o su uno status, e la definitività, nel senso che l'ordinamento non y u b prevede rimedi diversi contro il provvedimento decisorio, che così è idoneo a pregiudicare irrimediabilmente quel diritto o quello status (in tal senso v., di recente, Sez. un. 15 luglio 2003 n.11026). 3.1. Per quanto attiene al contenuto decisorio dell'ordinanza che, come quella qui impugnata, rigetti il ricorso per ricusazione, esso è stato affermato dalle più recenti pronunzie di questa Corte (Sez.I, 26 marzo 2002 n.4297, le cui ampie argomentazioni sono state pienamente recepite da Sez.III, 27 luglio 2002 n.11131). Queste sentenze hanno osservato che, a seguito della menzionata modifica dell'art. 111 Cost., che ha sancito in modo espresso il principio dell'imparzialità del giudice, adeguando il sistema processuale al fondamentale principio dell'art.6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, l'esigenza di fare decidere la controversia da un giudice imparziale non amministrativa relativacostituisce più soltanto una questione 5 all'organizzazione degli uffici giudiziari, che dà luogo ad un procedimento incidentale definito con un provvedimento di natura ordinatoria (come era stato affermato dalla precedente giurisprudenza di questa Corte), bensì rappresenta un diritto soggettivo della parte processuale, non solo pieno ed assoluto, ma anche fondamentale ed insopprimibile, in quanto riconosciuto dalla Costituzione e dalla indicata Convenzione europea, con riferimento a qualunque tipo di processo. La Corte costituzionale, con la sentenza 21 marzo 2002 n.78, emanata proprio in tema di ricusazione del giudice, ha, in piena sintonia, affermato che il secondo comma del nuovo testo dell'art. 111 Cost. ha espressamente sancito il "diritto ad un giudizio equo ed imparziale, implicito nel nucleo essenziale del diritto alla tutela giudiziaria di cui y b all'art.24 della Costituzione". E l'istanza di ricusazione del giudice è, secondo la Corte, "diretta appunto a far valere concretamente quel diritto". Non può, perciò, più condividersi il precedente e risalente orientamento seguito dalle Sezioni semplici di questa Corte, secondo cui l'ordinanza resa sull'istanza di ricusazione configura un provvedimento privo di portata decisoria su posizioni di diritto soggettivo, essendo esso diretto, in via ordinatoria e strumentale, ed in esito ad un procedimento di tipo sostanzialmente amministrativo, ad assicurare il soddisfacimento di interessi di ordine generale relativi all'imparzialità del giudice ed al corretto esercizio dell'attività giudiziaria (v., tra le altre, Cass.24 luglio 1964 n.2028; 2 marzo 1977 n.867;19 ottobre 1977 n.4472;22 gennaio 1979 n.483;22 novembre 1979 n.6102;19 febbraio 1981 n.1031;26 marzo 1981 n.1761;18 febbraio 1982 n.1017;2 marzo 1983 n.187;14 febbraio 1984 n.1113;17 luglio 1985 n.4219;24 gennaio 1986 n.461;21 gennaio 1987 n.519;6 luglio 6 1988 n.4432;16 maggio 1990 n.4273;6 agosto 1990 n.7921;28 marzo 1996 n.2857;3 marzo 1998 n.2330;16 maggio 1998 n.4924;10 gennaio 2000 n.155;27 giugno 2000 n.8729;1° febbraio 2002 n. 1285). L'imparzialità del giudice non è soltanto un interesse generale dell'amministrazione della giustizia, ma è anche, se non soprattutto, un diritto soggettivo della parte, poiché "ogni persona ha diritto ad...un tribunale indipendente e imparziale" (art.6 della citata Convenzione europea dei diritti dell'uomo) ed “ogni processo si svolge...davanti a un giudice terzo e imparziale" (art.111, secondo comma, Cost.). 3.2.- L'ordinanza che rigetta l'istanza di ricusazione, se ha natura decisoria, non può, però, considerarsi un provvedimento definitivo, perché il suo contenuto può essere riesaminato nel corso dello stesso processo in cui l'ordinanza è stata emanata, onde non può dirsi che essa abbia l'effetto di pregiudicare irrimediabilmente e definitivamente il diritto della parte ad un giudice imparziale. Questa Corte ha da tempo affermato che l'ordinanza di rigetto dell'istanza di ricusazione confluisce nella sentenza che definisce il grado di giudizio in cui detta ordinanza è stata emessa, con la conseguenza che l'eventuale vizio causato dall'incompatibilità del giudice invano ricusato diviene motivo di nullità dell'attività spiegata dal giudice stesso e quindi di gravame della sentenza da lui emessa, e questa impugnazione rende possibile il controllo sul provvedimento che ha negato la sussistenza dell'addotta causa di ricusazione, il quale è pertanto riesaminabile nell'ulteriore corso del processo, a seguito dell'iniziativa della parte che ha proposto l'istanza di ricusazione (Cass. 22 febbraio 1993 n.2176;10 gennaio 2000 n. 155;27 giugno 2000 n.8729;28 marzo 2002 n.4486;oltre 7 alle due citate sentenze n.4297 e 11131 del 2002, che hanno attribuito natura decisoria alla ordinanza di rigetto della ricusazione, ma ne hanno escluso la definitività). Detto orientamento interpretativo è stato ricordato anche dalla citata sentenza della Corte costituzionale n.78/2002, secondo cui "l'eventuale violazione del diritto ad un giudizio imparziale, derivante da una erronea decisione negativa sulla ricusazione, può trovare rimedio....nel controllo sulla pronuncia resa col concorso del giudice ricusato". In altri termini, la non impugnabilità ex se della ordinanza che decide sul diritto ad un giudice imparziale, negandolo, non esclude che essa venga investita dall'impugnazione proposta contro la sentenza che conclude il M giudizio. Si sostiene che tale mezzo di riesame posticipato non sia idoneo a tutelare il diritto ad un giudice imparziale, che non è circoscrivibile al grado di appello, ma che deve estendersi a "tutte le fasi processuali ex lege previste per una determinata tipologia di controversie". Ed invero il giudice di appello che ravvisi la causa di ricusazione esclusa nel giudizio di primo grado non può rimettere la causa al primo giudice, non ricorrendo alcuno dei casi tassativi previsti dagli artt.353-354 c.p.c., ma “deve trattenere la causa e deciderla comunque nel merito, con la conseguenza che il diritto al giudice imparziale può in tale caso realizzarsi soltanto nel secondo grado di giudizio, in palese violazione dell'art.6 della citata Convenzione internazionale". In ordine a tale obiezione deve innanzitutto osservarsi, su un piano generale, che la ritenuta inidoneità del mezzo giuridico previsto per il riesame del provvedimento decisorio non equivale ad una assenza di rimedi 8 che lo renda definitivo, e cioè non riesaminabile con altro mezzo giuridico, onde sia necessario consentirne l'impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione. Con riferimento specifico allo strumento dell'appello con cui la parte che ha proposto invano l'istanza di ricusazione deduca la nullità della sentenza di primo grado resa dal (o con il concorso del) iudex suspectus, si rileva che la doglianza di inidoneità di tale mezzo di impugnazione a tutelare il diritto all'imparzialità del giudice diventa rilevante solo nel momento in cui, essendosi in presenza di una sentenza nulla perché emanata da un giudice che si trovi una delle situazioni previste nel primo comma dell'art.51 c.p.c., quella tutela è destinata ad operare nel y b caso concreto. E' in tale momento che, a seguito della ravvisata nullità della sentenza di primo grado, si potrà porre il problema della rimessione o meno della causa al primo giudice e della possibilità o meno di applicare gli artt.353-354 c.p.c., mediante una loro interpretazione conforme all'art.111, secondo comma, Cost. ovvero attraverso una questione di costituzionalità degli stessi articoli del codice di rito. Se ci si pone sul piano della idoneità del mezzo di tutela costituito dalla possibilità di chiedere al giudice di appello un riesame in ordine alla (esclusa) sussistenza della causa di ricusazione del giudice che ha emanato la sentenza appellata, è più attuale e pertinente al presente giudizio l'osservazione che il ricorso straordinario per cassazione (che, secondo ha ricorrente, dovrebbe essere proponibile avverso l'ordinanza che ha rigettato il ricorso per ricusazione del giudice di primo grado) consentirebbe esclusivamente un controllo formale di legalità della detta ordinanza, poiché tale ricorso straordinario è limitato alla deduzione del vizio di violazione di legge (secondo la giurisprudenza di questa Corte, pacifica dopo Sez un. 16 9 maggio 1992 n.5888). Non sarebbe, quindi, possibile una nuova verifica sulla sussistenza o meno della addotta causa di ricusazione, verifica che è oggi consentita nel giudizio di appello, e che verrebbe invece preclusa dalla pronunzia della Cassazione che abbia a rigettare il ricorso proposto dal ricusante, pronunzia che renderebbe non più contestabile nel seguito del presente giudizio il rigetto dell'istanza di ricusazione, sancendo in modo definitivo l'insussistenza dei suoi presupposti, pur senza compiere una verifica di merito e finanche un controllo sulla presenza, nella motivazione dell'ordinanza di rigetto, dei vizi previsti dall'art.360 n.5 c.p.c.. Quindi, l'accoglimento della tesi sull'ammissibilità del presente ricorso straordinario per cassazione non renderebbe più "adeguata e y b satisfattiva" (per usare le parole del ricorso) la tutela invocata per il diritto all'imparzialità del giudice. 3.3. La ricorrente, nella memoria, solleva, nell'ipotesi di ritenuta inammissibilità del ricorso per cassazione da lui proposto, la questione di illegittimità costituzionale dell'art.53, secondo comma, c.p.c. (nella parte in cui prevede la non impugnabilità dell'ordinanza che decide sulla ricusazione) per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., osservando che la detta non impugnabilità "è, in primo luogo, irragionevolmente discriminatoria rispetto al diverso regime previsto nell'ambito del processo penale (in cui l'ordinanza sulla ricusazione è ricorribile in cassazione ex art.41 c.p.p.);e, in secondo luogo, gravemente lesiva dei diritti fondamentali delle parti al giusto processo e quindi alla imparzialità del giudice garantita durante lo svolgimento di tutte le fasi del giudizio stabilite dalla legge e dei principi, parimenti fondamentali, di garanzia ed effettività della tutela giurisdizionale". 10 La prospettata questione di legittimità costituzionale, di cui è indubbia la rilevanza nel presente giudizio, appare, però, manifestamente infondata. La più volte citata sentenza della Corte cost. n.78/2002 ha affermato, in linea generale, che la legge ordinaria è tenuta a comporre "l'interesse a garantire l'imparzialità del giudizio con i concorrenti interessi ad assicurare la speditezza dei processi (la cui ragionevole durata è oggetto, oltre che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo ed imparziale, come oggi espressamente risulta dal dettato dell'art. 111, secondo comma, Cost.) e la salvaguardia delle esigenze organizzative dell'apparato giudiziario". La proponibilità immediata del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza di rigetto della ricusazione, con il conseguente protrarsi dell'effetto sospensivo del giudizio di merito disposto dall'ultimo comma dell'art.52 c.p.c. (senza le limitazioni previste nel processo penale dall'art.37, comma 2, e dall'art. 42, comma 2, c.p.p.), avrebbe il risultato pratico di rendere più lento il processo, determinandone il blocco per effetto dell'iniziativa unilaterale di una sola parte, senza che l'accertata infondatezza del suo ricorso per ricusazione abbia per la parte stessa una qualsiasi conseguenza negativa (stante anche l'irrisorietà della pena pecuniaria prevista dall'art.54 c.p.c.). E' vero che, come ha osservato il Procuratore generale in udienza, la pronunzia della Cassazione avrebbe l'effetto utile di chiudere immediatamente ogni contestazione sulla addotta esistenza della causa di ricusazione;ma tale intervento della Corte di legittimità, oltre a non soddisfare l'interesse del ricorrente ad una tutela effettiva (per le ragioni già esposte alla fine del § 2.2), comporterebbe un 11 allungamento certo dei tempi del processo, e cioè un risultato che stimolerebbe un uso distorto dell'istituto, a danno del diritto ad una ragionevole durata del processo. La ricorrente non ha ignorato tale aspetto del problema, osservando che i ricorsi per ricusazione ammontano ad un numero molto limitato (nel 2002, 385 ricorsi sull'intero territorio nazionale) e che, comunque, "adducere incomoda non est argumentum". Ma è facile rilevare, per il primo aspetto, che l'attuale numero di istanze di ricusazione sarebbe destinato ad incrementarsi se esse potessero determinare una sospensione ben più lunga di quella attuale;per il secondo aspetto, la possibilità per una parte di allungare la durata del processo senza subire alcuna rilevante y C conseguenza nel caso in cui tale allungamento si riveli del tutto ingiustificato non si può considerare un mero inconveniente pratico, ma costituisce una violazione del diritto di tutte le parti ad una durata ragionevole del processo. Tale diritto, derivante anche esso dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, non costituisce soltanto un dovere per il legislatore (secondo la espressa previsione dello stesso secondo comma del nuovo testo dell'art. 111 Cost., ove è previsto lo svolgimento del processo davanti ad un giudice imparziale), ma deve essere assicurato anche dall'interprete mediante la scelta di soluzioni ermeneutiche che non siano idonee a determinare un uso strumentale e rallentante delle garanzie processuali. Per quanto concerne, infine, il confronto con il codice di procedura penale, che consente il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che ha deciso sulla ricusazione (art.41, comma 1, per quanto attiene alla decisione di inammissibilità, e, per le decisioni di diverso contenuto, comma 3, che 12 rinvia all'art. 127 c.p.p.), è sufficiente qui richiamare l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n.78/2002, secondo cui "il principio costituzionale di eguaglianza non comporta il divieto di regolamentazioni diverse dei diversi tipi di processo" in ordine al procedimento sulla ricusazione. Secondo la citata sentenza, occorre tenere conto del ""fatto che nell'ambito del processo penale...sono sistematicamente in gioco beni costituzionalmente più 'sensibili', e maggiore può essere la preoccupazione di attestare in modo più evidentemente visibile l'imparzialità dei giudicanti". "A diversi processi – continua la Corte cost. possono corrispondere, in base a scelte discrezionali del legislatore, discipline differenziate anche degli stessi ち istituti, purché non siano lesi principi costituzionali, come quello di imparzialità, che debbono reggere tutti i giudizi”. Non può, quindi, affermarsi che sia ingiustificata la scelta del codice di rito civile di non impugnabilità della decisione sulla ricusazione per il solo fatto che la ricorribilità per cassazione della stessa decisione è invece prevista nel codice di rito penale, ove però il ricorso per ricusazione non ha effetti automaticamente sospensivi sul processo di merito (art.41, comma 2, e art.37, comma 2, c.p.p.), a differenza della rigida previsione dell'art.52, ultimo comma, c.p.c.). Il vero è che, come ha osservato la citata sentenza della Corte cost., in ordine al procedimento sulla ricusazione sono "costituzionalmente ammissibili diverse scelte" del legislatore, "purché rispettose del principio di imparzialità”. E, nell'attuale disciplina del processo civile, tale principio deve ritenersi sufficientemente garantito dalla possibilità per la parte, che abbia vista rigettata la propria istanza di ricusazione, di chiedere al giudice 13 di appello un riesame di tale pronunzia di rigetto impugnando la sentenza conclusiva resa dal giudice invano ricusato. Gli eventuali aspetti per cui tale riesame venga ritenuto non idoneo a tutelare in modo completo il diritto della parte ad un giudice imparziale (aspetti su cui, come si è detto, a ricorrente si è soffermata ampiamente) non assumono rilevanza in questo momento processuale, onde il dubbio di loro conformità alla Costituzione si presenta privo del requisito della rilevanza. 4.- Una volta esclusa la ricorribilità in toto dell'ordinanza qui impugnata, occorre decidere se il ricorso per cassazione sia ammissibile contro la sola parte di essa che contiene la condanna della ricorrente al 5 pagamento della pena pecuniaria prevista nell'art.54, terzo comma, c.p.c., secondo la tesi sostenuta nel primo motivo di ricorso. La ricorrente, a sostegno del proprio assunto, ha fatto richiamo alla sentenza della Sez. I di questa Corte 15 ottobre 1984 n.5162, che ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione avverso la pronunzia di condanna del ricusante alle spese, contenuto nel provvedimento che aveva rigettato il ricorso per revocazione. Tale pronunzia di condanna è stata ritenuta dalla citata sentenza della Corte un provvedimento avente natura decisoria e contro il quale non erano dati altri mezzi di reazione al fine di evitare, a carico della parte ricusante, “il consolidamento di una situazione patrimoniale non altrimenti rimuovibile" (in precedenza era stata esclusa l'impugnabilità autonoma della condanna alle spese causate dal procedimento di ricusazione da Sez.III, 22 novembre 1979 n.6102;Sez.II, 19 febbraio 1981 n.1031;Sez.I, 18 febbraio 1982 n.1017;ed anche successivamente non si rinvengono pronunzie che hanno ritenuto ricorribile la condanna alle spese;per quanto attiene alla pena pecuniaria, la 14 ricorribilità della relativa condanna è stata espressamente esclusa da Sez.I, 2 marzo 1983 n.187;Sez.III, 3 marzo 1998 n.2330;Sez.I, 10 gennaio 2000 n.155;Sez.I, 1° febbraio 2002 n.1285). Per comprendere bene il precedente invocato dalla ricorrente, occorre tenere presente la fattispecie da esso decisa. La condanna del ricusante al pagamento delle spese era stata pronunziata dal giudice del merito (che aveva respinto la ricusazione) a favore di un soggetto estraneo al giudizio di merito e che era intervenuto nel solo procedimento incidentale di ricusazione. L'estraneità al giudizio di merito del soggetto beneficiario della condanna rendeva impossibile l'applicazione dell'orientamento ち tradizionale che considerava la condanna alle spese (non diversamente da quella alla pena pecuniaria) un provvedimento accessorio al rigetto della ricusazione e quindi inscindibile da esso ai fini dell'impugnazione. Il ricusante condannato alle spese a favore dell'intervenuto nel solo procedimento di ricusazione (e non anche in quello di merito) non aveva più la possibilità di censurare la propria condanna unitamente alla sentenza di merito, che non concerneva il soggetto intervenuto. Questa particolare caratteristica della fattispecie concreta ha reso la condanna alle spese un provvedimento che la citata sentenza n.5162/84 ha considerato "anomalo", tale quindi da giustificare, secondo la stessa Corte, il discostarsi dall'orientamento tradizionale e costante di questa giurisprudenza, sulla non ricorribilità della condanna alle spese (ed alla pena pecuniaria). Tale anomalia non sussiste nel caso qui giudicato (concernente, come si è detto, la condanna alla pena pecuniaria, e non anche alle spese del procedimento di ricusazione). Le censure che qui la ricorrente ha proposto contro la detta condanna potranno essere dedotte nel corso del giudizio di 15 merito, in via consequenziale rispetto alla richiesta di riesame del rigetto della ricusazione o anche in via autonoma rispetto a quest'ultima statuizione, tenuto conto che la Corte cost., con la sentenza n.78/2002, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.54, terzo comma, c.p.c., nella parte in cui ricollegava automaticamente la condanna alla pena pecuniaria alla inammissibilità o al rigetto della ricusazione (il detto automatismo è oggi venuto meno e può quindi aversi una decisione negativa sull'istanza di ricusazione, a cui però non faccia seguito l'applicazione della pena pecuniaria per l'insussistenza dei presupposti della detta sanzione). Anche la condanna alla pena pecuniaria inflitta alla società ricorrente, pertanto, non costituisce un provvedimento definitivo, avverso cui sia ammissibile il ricorso straordinario per cassazione. 5. In conclusione, il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile, in quanto proposto contro un'ordinanza che, nell'intero suo contenuto, pure avendo natura decisoria, non ha carattere definitivo. La complessità e la parziale novità (in relazione al nuovo testo dell'art. 111 Cost.) delle questioni poste dal ricorso costituiscono giusti motivi di compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.