Cass. civ., sez. II, ordinanza 31/01/2019, n. 02985

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, ordinanza 31/01/2019, n. 02985
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 02985
Data del deposito : 31 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

. 15/11/2018 ORDINANZA sul ricorso 20618-2015 proposto da: MASE' GIACINTO, rappresentato e difeso dall'Avvocato F M B, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. Giudo F R in ROMA, VIA

COSSERIA

5

- ricorrente -

contro

MASE' VINCENZO, rappresentato e difeso dagli Avvocati M C e A R ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in ROMA, VIA G.

BETTOLO

17

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 136/2015 della CORTE di APPELLO di TRENTO, pubblicata il 17/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2018 dal Consigliere Dott. U B.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 21.12.2007 V M', nella veste di proprietario della p. ed. 21/2 C.C. Strembo, II parte, sita in Località Ragada, conveniva in giudizio GIACINTO MASE', quale proprietario della finitima p. ed. 21/1 C.C. Strembo, II parte. L'attore asseriva che l'accesso "alla scala sul lato sud della p. ed. 21/2 C.C. Strembo", sarebbe sempre avvenuto passando a piedi e con carriole lungo il tracciato evidenziato nella planimetria catastale allegata al suddetto atto di citazione. L'attore chiedeva, ex art. 1158 c.c., l'accertamento e la declaratoria dell'acquisto del diritto di servitù di passaggio a piedi e con carriola lungo il tracciato di cui sopra, a carico della p.ed. 21/1 C.C. Strembo e a favore della p. ed. 21/2 Strembo, II parte, per maturata usucapione ultraventennale. Chiedeva, altresì, la condanna del convenuto a rimuovere ogni impedimento all'esercizio della detta servitù di passo. Si costituiva in giudizio G M, contestando la ricostruzione dei fatti e l'insussistenza dei presupposti di fatto per l'esperimento dell'azione ex art. 1158 c.c. in quanto: a) non corrispondeva al vero l'assunto per cui l'accesso al piano rialzato della p. ed. 21/2 C.C. Strembo sarebbe avvenuto dalla scala esterna, avente un'ubicazione corrispondente a quella attuale, transitando sul fondo di proprietà di G M, dal momento che il manufatto dell'attore aveva, in passato, un accesso al piano superiore interno, per cui solo in via eccezionale si utilizzava l'accesso dall'esterno, mediante l'appoggio di una scala a pioli, la cui base era collocata sul terreno di pertinenza attorea;
b) in passato, all'interno del muro perimetrale di proprietà dell'attore, era stata realizzata una struttura muraria, su cui era posizionata una scala in legno che, a fronte dell'accentuarsi della situazione di fatiscenza dell'edificio di proprietà dell'attore, era conservata per brevissimo tempo;
c) negli anni 1999-2000 l'attore aveva eseguito lavori di ristrutturazione della fatiscente struttura edilizia e realizzato una nuova scala, la quale, anziché essere posizionata in corrispondenza della parte interna del muro, a una distanza di circa 60 cm dal confine, era ubicata quasi a ridosso del filo del muro ad ovest dell'edificio di proprietà attorea, in modo da rendere impossibile l'utilizzo della scala senza invadere il confinante terreno di proprietà del convenuto. G M contestava la sussistenza del requisito dell'apparenza della servitù e del possesso continuato, pacifico e ultraventennale per l'acquisto di un diritto reale a titolo originario per maturata usucapione. In via principale, chiedeva il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, di ordinare all'attore di astenersi dall'effettuare qualsivoglia transito sulla p.ed. 21/1 per accedere al piano rialzato della p. ed. 21/2 C.C. Strembo. Espletate le prove testimoniali e disposta C.T.U., la causa era trattenuta in decisione. Con sentenza n. 145/2014, depositata in data 3.2.2014, il Tribunale di Trento accoglieva la domanda dell'attore di accertamento dell'esistenza di diritto di servitù di passo a piedi, acquistato per usucapione, a favore della p. ed. 21/2 in P.T. 19 C.C. Strembo II, lungo il tracciato segnato in retinato sulla planimetria dd. 23.2.2012 del CTU, geom. M M, e a carico della p. ed. 21/1 in P.T. 13 C.C. Strembo II. Condannava il convenuto a rimuovere ogni oggetto che potesse impedire l'esercizio della servitù, oltre alle spese di lite e di CTU.Proponeva appello G M chiedendo, in via principale, il rigetto delle domande dell'attore e, in via riconvenzionale, di ordinare a V M di astenersi dall'effettuare qualsiasi transito sulla p. ed. 21/1 C.C. Strembo II per accedere al piano rialzato della p. ed. 21/2 C.C. Strembo II. Si costituiva in giudizio d'appello V M deducendo l'infondatezza dei motivi di gravame e chiedendone il rigetto. Con sentenza n. 136/2015, depositata in data 17.4.2015, la Corte d'Appello di Trento respingeva l'appello proposto da G M condannandolo alle spese del grado. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione G M sulla base di tre motivi, illustrati da memoria;
resiste V M con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la «Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 1601 e art. 1058 c.c.) - art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», poiché la Corte di merito, in ordine alla pretesa apparenza della servitù di passaggio pedonale, sarebbe pervenuta a conclusioni fondate su un'erronea e falsa applicazione del disposto dell'art. 1061 c.c. Infatti, è pacifico che il requisito dell'apparenza, necessario per rendere usucapibile un diritto di servitù, postula, nel rispetto del costante orientamento della Suprema Corte, la presenza di segni visibili e di opere permanenti obiettivamente destinate al relativo esercizio attestanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo tale che non si tratti di attività compiute in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere stabile (Cass. n. 1615 del 2015). In particolare, il riccorrente rileva come, con riferimento alla servitù di passaggio, sia stato ribadito che le opere permanenti vadano poste in essere per dare accesso attraverso il fondo servente, a quello dominante e, pertanto, devono manifestare un quid pluris che dimostri la specifica destinazione all'esercizio della servitù (Cass.n. 20404 del 2013). Inoltre, il requisito dell'apparenza deve esistere fin dall'inizio del ventennio necessario all'usucapione ed essere conservato per il periodo ritenuto rilevante ex art. 1058 c.c. Afferma il ricorrente che, in presenza di tali principi interpretativi, appare evidente la erronea e/o falsa applicazione dell'art. 1061 c.c. da parte della Corte di merito, la quale ha affermato la non necessità della presenza di opere sul fondo servente e, quanto alle opere insistenti sul fondo preteso dominante e ai caratteri di apparenza, ha ritenuto che le medesime sarebbero costituite "dal basamento e dalla scala su di esso appoggiata";
laddove, viceversa, il manufatto in questione, privo della scala di collegamento con il ballatoio, è un'opera neutra rispetto all'apparenza della servitù ed è del tutto inidoneo a confermare la finalizzazione all'esercizio della servitù di passaggio pedonale, in relazione alla quale non sussiste alcuna traccia del passaggio sul fondo preteso servente (come rilevato dal Giudice di secondo grado). 1.1. - Il motivo non può essere accolto. 1.2. - La Corte di merito, quanto al requisito della apparenza della servitù, necessaria ai fini del relativo acquisto per usucapione, richiama il precedente di Cass. n. 24856 del 2014, secondo cui il requisito dell'apparenza della servitù, di cui all'art. 1061 cod. civ., necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al relativo esercizio ed attestanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, anche quando tali opere insistano sul fondo dominante o su quello appartenente a terzi, da da cui emerga che le opere sono state obiettivamente poste in essere al fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù (nello stesso senso Cass.n. 7004 del 217;
Cass. n. 25355 del 2017;
Cass. n. 20404 del 2013). E chiarisce che il requisito della visibilità, unito a quello della permanenza specifica e della destinazione dell'opera, per valere ai fini dell'usucapione ventennale, presuppone, oltre all'esercizio del corrispondente possesso ventennale, anche che le opere visibili e permanenti obiettivamente destinate a tale esercizio siano esistite ed abbiano avuto tale destinazione per tutto il tempo necessario ad usucapire. Ne consegue che, per la usucapione di una servitù di passaggio, non basta provare il decorso del tempo necessario per la usucapione e l'esistenza di segni o opere, ma è necessario dimostrare che questo sin dall'inizio del ventennio aveva i requisiti della visibilità, permanenza e specifica destinazione, potendo altrimenti il requisito dell'apparenza essere insorto più di recente e non essendo, perciò, sufficiente a sorreggere il possesso ad usucapionem esercitato prima del suo venire in essere (Cass. n. 5146 de 2003;
Cass. n. 17999 del 2004). 1.3. - Orbene, ciò premesso, la Corte distrettuale dà correttamente conto della presenza di opere permanenti sul fondo dominante (non essendo necessario che le stesse insistano sul fondo servente: Cass. n. 21597 del 2007;
Cass. n. 7817 del 2006), costituite dal "basamento e dalla scala su di esso poggiata" che conduce ad un ballatoio dal quale si accede al piano superiore della baita di proprietà del Masé Vincenzo;
spiegando altresì, in merito alla rimovibilità della scala, che la circostanza non è rilevante "posto che la presenza del basamento evidenzia la struttura generale dell'opera e ne costituisce una parte ben visibile ed evidentemente funzionale, in modo non equivoco, per la struttura, all'esercizio della servitù". La motivazione non solo sussiste, ma è anche analitica, chiara, lineare e inequivoca. Né v'è alcuna illogica applicazione dell'art. 1061 c.c., in quanto la Corte di merito considera la scala di legno mera parte di un'opera costituita da basamento in calcestruzzo e scala, il tutto funzionale, in modo non equivoco, per la sua struttura, all'esercizio della servitù di passo usucapita, insistente sul fondo del ricorrente. Inoltre, rileva che il basamento (per le sue dimensioni di circa 50-60 cm di profondità e la sua forma pressoché cubica) non può che avere una funzione di pedana su cui era appoggiata, quantomeno dal 1982 [come comprovato da fotografie], la scala di legno e non già una non provata funzione di muro di contenimento. Pertanto - lungi dal palesare i vizi censurati nel motivo di ricorso - risulta corretta la conclusione, cui è pervenuta la Corte di merito, per la quale la presenza del basamento (pur se la scala non era lasciata per tutto il tempo in loco, trattandosi di baita utilizzata prevalentemente in estate) assolve alla funzione di obiettivo asservimento del fondo di proprietà dell'odierno ricorrente, dato che la posizione dello stesso ne consentiva la visibilità da parte del proprietario del fondo asservito, con esclusione della clandestinità del possesso. Osserva infatti la Corte che dalle fotografie prodotte (cui si sono riferiti anche il CTU ed i testi) il basamento esisteva quantomeno dal 1982, mentre durante i lavori di ristrutturazione, realizzati negli anni '90 da parte dell'odierno resistente, la scala era appoggiata sul muro di contenimento e il basamento era eliminato. Sicché, le opere realizzate dopo i lavori di ristrutturazione, poste in funzione della servitù, cioè la scala appoggiata al muro di contenimento, occupano la stessa superficie precedente (a filo del muro della proprietà del resistente) e, pertanto, l'accesso, anche dopo i lavori di ristrutturazione, è continuato mediante il passaggio sul fondo del ricorrente nella zona coincidente con quella su cui erano stati frapposti ostacoli al passaggio. 2. - Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l'«Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti - art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.», in quanto il giudice di secondo grado avrebbe omesso l'esame di un fatto storico, riconosciuto dal CTU, ossia che la saltuaria scaletta (precedentemente posizionata in situ, secondo lo stesso Giudice, per limitatissimi periodi) "risultava arretrata rispetto a quella attuale", realizzata poco prima dell'instaurazione del giudizio di primo grado, essendo la stessa posizionata nella parte a valle del muro che delimitava la p. ed. 21/1, arretrata di 50-60 cm, mentre quella attuale risulta posizionata sulla linea di confine. Tale fatto storico, per il ricorrente, sarebbe stato oggetto di espressa discussione tra le parti, in particolare nel procedimento d'appello (pag. 12, terzo alinea, dell'atto di citazione d'appello e secondo punto di pag. 18 dello stesso atto;
pag. 16, secondo alinea e pag. 17 della comparsa conclusionale di appello);essendo evidente la decisività del fatto stesso il quale, ove considerato, avrebbe dovuto indurre la Corte d'Appello a pervenire a conclusioni nettamente diverse da quelle risultanti dalla sentenza impugnata. Nella specie, il Giudice di secondo grado non avrebbe considerato il fatto sopradetto, tanto che la sentenza impugnata ha affermato che la scala appoggiata dagli anni '90 al muro di contenimento occupa la stessa superficie precedente (a filo del muro della proprietà di parte appellata), come desumibile dalle foto e planimetrie allegate alla CTU e, pertanto, l'accesso, anche dopo i lavori di ristrutturazione, è continuato mediante il passaggio sul fondo dell'appellante. Ciò in netto contrasto con quanto asserito dal CTU, il quale, invece, riscontrava una situazione del tutto diversa, essendo la scaletta posticcia arretrata di 50-60 cm dal filo del muro e dal confine di proprietà. 2.1. - Il motivo è inammissibile. 2.2. - L'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (nella nuova formulazione adottata dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 17 aprile 2015) consente (Cass. n. 8053 e n. 8054 del 2014) di denunciare in cassazione - oltre all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione - solo il vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). 2.3. - Nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, cod. proc. civ., i ricorrenti avrebbero, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività" (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Orbene, nel motivo in questione, della enucleazione e della configurazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter accedere all'esame del parametro di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c., non si appalesa la necessaria motivata affermazione, quantomeno con riguardo al requisito della decisività, che risulta apoditticamente dedotta in ragione della incidenza sulla decisione di un asserito preuso. Laddove, poi, lo stesso ricorrente evidenzia come la Corte di merito (senza alcuna omissione dell'esame di tale fatto) abbia esplicitamente sottolineato che "le opere attuali poste in funzione della servitù e site sul fondo dominante [...], cioè la scala appoggiata dagli anni '90 al muro di contenimento, occupano comunque la stessa superficie precedente (a filo del muro della proprietà di parte appellata) [...] e pertanto l'accesso, anche dopo i lavori di ristrutturazione [degli anni '90], è continuato mediante il passaggio il passaggio sul fondo dell'odierno appellante [Giacinto Masé] nella zona indicata in planimetria del CTU e praticamente coincidente con quella sulla quale sono stati frapposti ostacoli al passaggio" (sentenza impugnata, pag. 12). 3. - Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la «Nullità della sentenza per violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c. - art.360, n. 4 c.p.c. ed erronea e/o falsa applicazione di legge (art.2697 c.c.) - art. 360, n. 3 c.p.c.)», poiché il giudice di seconde cure avrebbe omesso l'essenziale organica e complessiva valutazione delle prove nel quadro unitario dell'indagine probatoria. L'odierno ricorrente, a supporto della richiesta di riforma della sentenza appellata, aveva precisato che i testi attorei avevano semplicemente riconosciuto la scaletta di legno che si vedeva nelle foto e avevano affermato di averla utilizzata per accedere al piano rialzato, ma non facevano alcun riferimento all'esercizio di un possesso corrispondente al diritto di servitù di passaggio pedonale a carico della p. ed. 21/1 C.C., non avendo fatto cenno a transiti sul fondo di proprietà di G M. Invece, i testi di parte convenuta affermavano che la baita di proprietà dell'odierno resistente era stata abitata solo dopo la ristrutturazione, avvenuta sette-otto anni prima e che la scaletta di legno delle foto attoree era solo provvisoria. Sulla base di tali testimonianze, l'odierno ricorrente richiedeva la riforma della sentenza di primo grado evidenziando l'insussistenza di qualsiasi prova di un possesso corrispondente alla servitù di passaggio pedonale su una determinata parte della p. ed. 21/1 C.C. Strembo. La Corte di merito avrebbe dedicato solo due laconiche righe, con una motivazione del tutto apparente, alla problematica della prova del possesso, limitandosi ad evidenziare (sentenza impugnata pag. 14) che sussiste "il possesso ex art. 1158 c.c. della servitù di passaggio di cui è causa esercitato da oltre vent'anni (teste Saorin) attraverso il fondo di parte M G". 3.1. - Il motivo è inammissibile. 3.2. - Questa Corte ha più volte sottolineato che compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile;
ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass.n. 9275 del 2018). A questa affermazione di ordine generale si coniuga il principio consolidato secondo cui l'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018;
Cass. n. 5939 del 2018;
Cass. n. 16056 del 2016;
Cass. n. 15927 del 2016). Tale affermazione, da un lato (lungi dal comportare la violazione e/o falsa applicazione dell'evocato art. 116, primo comma, c.c.), si pone in stretta coerenza con detta norma, costituendone diretta applicazione;
dall'altro lato, non essendo specificato quale difetto degli elementi di cui all'art. 132 c.p.c. si prospetti, è altrettanto inammissibile tenuto conto che per mancanza di motivazione si intende la mancanza materiale della motivazione. Laddove, poi, l'affermazione della erronea applicazione dell'art. 2697 c.c., è smentita dalle specifiche coerenti ed adeguate argomentazioni svolte dalla Corte di merito, proprio con riguardo anche al ritenuto assolvimento dell'onere della prova. Pertanto, la complessiva censura si risolve, in sostanza, nella sollecitazione di questa Corte ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, cosi mostrando il ricorrente di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata;
quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). 4. - Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi