Cass. civ., sez. I, sentenza 16/10/2013, n. 23540
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Le azioni proprie della società, a norma dell'art. 2357 ter, secondo comma, secondo periodo, cod. civ., nel testo introdotto dall'art. 10 del d.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30, ed anteriore alla modifica apportata dall'art. 1, comma 3, del d.lgs. 29 novembre 2010, n. 224, vanno incluse nella base su cui calcolare i "quorum" costitutivi o deliberativi, esclusivamente allorché tali "quorum" si configurino come quote del capitale sociale, per cui, in caso di assemblea ordinaria in seconda convocazione, la maggioranza assoluta per deliberare deve essere calcolata sul solo ammontare delle azioni rappresentate dai soci partecipanti all'assemblea, senza tener conto delle azioni proprie di cui sia titolare la società.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. D M - Consigliere -
Dott. C P - Consigliere -
Dott. B G - Consigliere -
Dott. D C C - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S SIMONPIETRO &C. s.a.p.a. in persona del Presidente del Consiglio degli accomandatari, S S, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall'avv. I G e elett.te dom.ta presso lo studio del predetto in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 82;
- ricorrente -
contro
S S PTRO, rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del controricorso, dagli avv.ti prof. B M, prof. A N ed E L M, ed elett.te dom.to presso il loro studio in Roma, Via XXIV Maggio n. 43;
- controricorrente -
e contro
S FRANCESCO SAVERIO;SA.PAR. s.r.l.;S A;
S COSTRUTTORI s.p.a.;
- intimati -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 3558/2008, depositata l'11 settembre 2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30 aprile 2013 dal Consigliere dott. C D C;
udito per la ricorrente l'avv. G I;
udito per il controricorrente gli avv.ti prof. Mario BUSSOLETTI ed Ermanno LA MARCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per la declaratoria di cessazione della materia del contendere o, in subordine, l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 30 novembre 2001 la Salini Simonpietro &C. s.a.p.a. convenne davanti al Tribunale di Roma la Salini Costruttori s.p.a., della quale era socia, deducendo che l'assemblea ordinaria della società convenuta, riunita in seconda convocazione il 5 settembre 2001, aveva approvato la proposta di essa ricorrente di distribuire tra i soci riserve per L. 10.000.000.000, che era stata invece illegittimamente dichiarata respinta dal presidente dell'assemblea per mancato raggiungimento della maggioranza necessaria. Chiese pertanto accertarsi che la proposta era stata accolta e che la proclamazione del rigetto della medesima era illegittima, o, in subordine, che detta proclamazione fosse annullata ove ritenuta atto autonomo.
La Salini Costruttori s.p.a. resistette e alle sue conclusioni avverse alla domanda si associò, intervenendo nel giudizio, l'azionista sig. S P S, il quale chiese anche, per il caso di accoglimento della domanda attorea, che la delibera in questione fosse dichiarata invalida per non essere stata la relativa proposta preceduta dall'esame delle situazioni patrimoniali od economiche della società.
A tale giudizio venne poi riunito altro giudizio introdotto contro la Salini Costruttori s.p.a. dagli azionisti SA.PAR. s.r.l. e sig.ri Francesco Saverio e Alessandro Salini per l'annullamento della Delib. assembleare 11 gennaio 2002, con cui era stata approvata la distribuzione di riserve per Euro 4.981.390,60, giudizio nel quale era intervenuta anche la Salini Simonpietro &C. s.a.p.a. deducendo che, se fosse stata accolta la sua domanda relativa alla Delib. 5 settembre 2001, l'impugnazione de qua sarebbe divenuta inammissibile. Il Tribunale respinse tutte le domande degli attori nei due giudizi riuniti e dichiarò non esservi luogo a provvedere su quella proposta in via subordinata dal sig. S P S intervenendo nel primo di essi. La Corte d'appello di Roma ha poi respinto tutti i gravami proposti avverso la sentenza del Tribunale. In particolare per quanto ancora rileva, la corte ha respinto l'appello principale della S SIMONPIETRO &C. s.a.p.a. avverso la statuizione di rigetto della sua domanda relativa alla Delib. del 5 settembre 2001, osservando che la proposta di delibera aveva ricevuto il voto favorevole di soci che rappresentavano il 47 % del capitale sociale e il voto contrario di soci che rappresentavano il 43 % del medesimo, sicché, considerata la presenza dell'ulteriore 10 % delle azioni, in possesso della stessa società partecipata, non era stata raggiunta la necessaria maggioranza assoluta, in applicazione dell'art. 2357 ter c.c., comma 2, secondo periodo. (nel testo vigente all'epoca della del quale per le azioni proprie in possesso della società "il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per la deliberazione dell'assemblea"), il cui chiaro tenore testuale impediva di affermare che le azioni proprie fossero da computare nella base di calcolo dei soli quorum assembleari riferiti al "capitale sociale" e non anche di quelli riferiti al "capitale rappresentato in assemblea", considerato anche che soltanto con la modifica del testo dell'art. 2370 c.c. introdotta dal D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 era stato specificato che l'intervento in assemblea è riservato ai soli azionisti aventi diritto al voto. La Corte ha conseguentemente dichiarato assorbite, fra l'altro, le censure di merito subordinatamente rivolte alla medesima Delib. 5 settembre 2001 da S P S intervenendo, come si è visto, nel relativo giudizio di primo grado. La Salini Simonpietro &C. s.a.p.a. ha proposto ricorso per cassazione per quattro motivi, cui ha resistito con controricorso il solo sig. S S P. Entrambe le parti costituite hanno presentato anche memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con i primi tre motivi di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, sostenendo:
- con il primo motivo, che le azioni appartenenti alla stessa società partecipata non debbono essere computate ai fini dei quorum assembleari costitutivo e deliberativo allorché ne' l'uno ne' l'altro siano previsti, come avviene appunto per l'assemblea ordinaria in seconda convocazione, la quale "delibera qualunque sia la parte di capitale rappresentata in assemblea" (art. 2369 c.c., comma 3);
- con il secondo motivo, che ai fini della maggioranza di cui all'art. 2369 c.c., comma 3 non andavano computate le azioni proprie della società;
- con il terzo, che anche prima della modifica del testo dell'art.2370 c.c. introdotta dal D.Lgs. n. 310 del 2004 le azioni proprie
della società non potevano "intervenire" all'assemblea della medesima, la quale non diviene socio di se stessa per effetto del possesso delle proprie azioni.
2. - Con il quarto motivo di ricorso si denuncia insufficienza e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte d'appello tenuto conto anche delle azioni proprie della società nel determinare la base su cui computare la maggioranza prevista dall'art. 2369 c.c., comma 3, pur riconoscendo che dette azioni sono prive del diritto di voto e nonostante la titolarità di azioni proprie non renda la società socia di se stessa;e per non aver considerato che in tal modo finiva col dare prevalenza alla volontà della minoranza assembleare del 43 % rispetto alla maggioranza del 47 %, posto anche che le azioni proprie delle società devono considerarsi di spettanza dei soci, seppure indirettamente, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione. 3. - Come si vede, tutti i motivi di ricorso riguardano il capo di sentenza attinente alla Delib. assembleare 5 settembre 2001;
conseguentemente il capo relativo al rigetto dell'impugnazione della successiva Delib. 11 gennaio 2012 è passato in giudicato. Da ciò il P.M. ha concluso che si deve trarre la conseguenza della cessazione della materia del contendere rispetto al primo dei due capi predetti, essendo ormai non più discutibile la legittimità della distribuzione delle riserve oggetto di quel capo, grazie al giudicato favorevole sulla seconda delibera avente il medesimo contenuto della prima per come preteso dalla stessa ricorrente.
3.1. - La conclusione tratta dal P.M. non può essere condivisa, posto che la Delib. 5 settembre 2001 aveva ad oggetto la distribuzione di riserve per un importo superiore a quello stabilito con la successiva Delib. 11 gennaio 2002 (L. 10.000.000.000 a fronte di Euro 4.981.390,60, pari a L. 9.645.317.177,06, distribuiti con la seconda Delib.).
4. - Passando all'esame dei primi tre motivi di ricorso, che dev'essere unitario considerata la loro evidente connessione, va anzitutto disattesa l'eccezione d'inammissibilità dei motivi stessi sollevata dal controricorrente sul rilievo della violazione del principio di autosufficienza del ricorso, nonché della errata formulazione delle censure e dei cinque quesiti articolati a conclusione della unitaria illustrazione dei motivi stessi, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., comma 1, (nella specie applicabile ratione temporis risalendo il deposito della sentenza impugnata a data anteriore a quella dell'entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n.69, che l'ha abrogato). Al netto, invero, della evidente ridondanza e
ripetitività dei molteplici quesiti (riflesso della ridondanza e ripetitività dei rispettivi motivi di ricorso, il secondo e il terzo dei quali aventi ad oggetto non già autonome questioni, bensì meri argomenti relativi a quella posta con il primo motivo), la questione giuridica posta dalla ricorrente è ben chiara e non v'è necessità di alcuna ulteriore indicazione o trascrizione di passi di atti di causa. Tale questione è se la maggioranza assoluta necessaria per deliberare all'assemblea ordinaria delle società per azioni in seconda convocazione debba calcolarsi sul solo ammontare delle azioni rappresentate dai soci partecipanti all'assemblea stessa oppure debbano aggiungersi a queste le azioni proprie di cui sia titolare la società.
4.1. - Su tale questione - posta ovviamente con riguardo alla disciplina vigente alla data della delibera per cui è causa (5 settembre 2001) - si registra diversità di posizioni sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito, mentre questa Corte non ha avuto sinora occasione di pronunciarsi.
Ad avviso del Collegio la maggioranza va calcolata sulle sole azioni rappresentate dai soci partecipanti all'assemblea;dunque la complessiva censura articolata con i primi tre motivi di ricorso è fondata.
L'art. 2357 ter c.c., comma 2, secondo periodo, nel testo qui applicabile introdotto dal D.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30 e che si trascrive nuovamente per comodità, stabilisce, come si è visto: "Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le Delib. dell'assemblea". Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, il dato testuale depone nel senso che le azioni proprie della società vanno incluse nella base su cui calcolare i quorum costitutivi o deliberativi esclusivamente allorché questi si configurino quali quote del capitale sociale, posto che per "capitale" si intende propriamente appunto il capitale sociale;il che sicuramente non si verifica per l'assemblea ordinaria in seconda convocazione, per la quale non è previsto un particolare quorum costitutivo, deliberando essa "qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci intervenuti" (art. 2369 c.c., comma 3), mentre il quorum deliberativo non è espresso in termini di quota
del capitale sociale. È infatti previsto (dal richiamato art. 2368 c.c., comma 1, secondo periodo, e la previsione va evidentemente
estesa alla seconda convocazione, in mancanza di previsioni diverse sul punto nell'art. 2369) che l'assemblea deliberi a "maggioranza assoluta", ed è chiaro che tale maggioranza va calcolata non sul capitale sociale, bensì sulla parte di esso rappresentata dai soci presenti in assemblea: diversamente si verificherebbe - com'è stato esattamente rilevato in dottrina - il paradosso di un quorum costitutivo (in prima convocazione) più basso del quorum deliberativo, essendo il primo pari alla "metà" del capitale e il secondo alla "maggioranza" (ossia la metà più uno) del medesimo. Alla indicata interpretazione della lettera dell'art. 2357 ter c.c., comma 2, secondo periodo, sostenuta da una parte della dottrina, il
controricorrente obietta, nella memoria presentata ai sensi dell'art.378 c.p.c., che in realtà nel testo richiamato dell'art. 2357 ter c.c., comma 2 il riferimento al "capitale" è ellittico proprio per
non escludere che possa trattarsi, oltre che del "capitale sociale", anche del "capitale rappresentato in assemblea".
Va però replicato che il significato proprio del termine "capitale" è quello di capitale sociale ed è una evidente forzatura comprendere in esso anche il riferimento a parte soltanto di esso, quale quella rappresentata in assemblea;ne' è comunque possibile qualificare le azioni proprie della società come azioni rappresentate o presenti in assemblea (sul che, del resto, dichiara di concordare, nel controricorso, lo stesso controricorrente), per la fondamentale ragione (pur'essa evidenziata in dottrina) che non già le azioni, bensì i soci che le detengono compongono l'assemblea (ancorché con diritto di voto proporzionale alle azioni possedute), mentre la società, nonostante detenga proprie azioni, non può, per definizione, essere socia di se stessa, ne' parte di un proprio organo interno.
Le conclusioni sopra raggiunte trovano poi conferma alla luce della ratio del più volte richiamato art. 2357 ter c.c., comma 2, secondo periodo.
È vero, infatti, che l'estensione della base di calcolo dei quorum assembleari alle azioni proprie della società, introdotta, come si è detto, dal D.P.R. n. 30 del 1986, ha lo scopo di evitare vantaggi per gli amministratori e i soci di maggioranza relativa, dato che quanto minore è la base di calcolo della maggioranza, tanto più agevole è il controllo dell'assemblea, per il quale sarà sufficiente un minor numero di azioni;questo scopo, però, non viene perseguito ad ogni costo dal legislatore del 1986, essendo prevalente rispetto ad esso il fine di evitare situazioni di stallo, per l'impossibilità di formare una maggioranza, rispetto a decisioni dalle quali dipende la stessa sopravvivenza della società, quali l'approvazione del bilancio e la nomina delle cariche sociali, di competenza appunto dell'assemblea ordinaria. Per questa ragione la maggioranza assoluta con cui l'assemblea ordinaria delibera, sia in prima che in seconda convocazione, è riferita al capitale rappresentato in assemlea e non all'intero capitale sociale. Il controricorrente obietta che l'argomento della c.d. facilità deliberativa è in realtà estraneo al tema in esame, riguardando piuttosto il tema della neutralizzazione dell'assenteismo dei soci, e comunque prova troppo, dato che l'assemblea ordinaria ha anche competenze ulteriori rispetto all'approvazione dei bilanci e alla nomina delle cariche sociali.
Può rispondersi che proprio il caso in esame dimostra come situazioni di stallo e di impossibilità di formare una maggioranza si possano verificare anche a prescindere dall'assenteismo dei soci, e che l'ampiezza delle competenze dell'assemblea ordinaria non toglie che comunque esse comprendono, fra le altre, quelle, vitali per la società, di cui si è detto.
Il controricorrente richiama infine, nella memoria, la recente riformulazione, ad opera del D.Lgs. 29 novembre 2010, n. 224, dell'art. 2357 ter c.c., comma 2, secondo periodo, che ora recita:
"Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le Delib. dell'assemblea". Tale riformulazione, con la soppressione del riferimento al "capitale" e l'introduzione del riferimento alle "maggioranze", eliminerebbe, secondo il controricorrente, ogni possibile dubbio sulla necessità del computo delle azioni proprie della società nella base di calcolo di qualsiasi maggioranza assembleare e non farebbe che confermare quanto già ricavabile dalla formulazione precedente. Ad avviso del Collegio, invece, quale che sia la corretta interpretazione della nuova formulazione della norma, non è possibile riferire tale interpretazione anche alla ben diversa formulazione precedente, in mancanza di chiare indicazioni in tal senso.
5. - Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. Con esso, come si è visto, si denuncia vizio di motivazione. Com'è noto, però, tale tipo di vizio è previsto dall'art. 360 c.p.c., n.