Cass. civ., sez. V trib., sentenza 27/12/2022, n. 37844
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Testo completo
1. - Con sentenza n. 712/29/15, depositata il 23 febbraio 2015, la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato l'appello proposto dalle parti, odierne ricorrenti, avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l'impugnazione di cartelle di pagamento emesse per la riscossione della imposta di successione dovuta dai contribuenti in relazione ad avviso di liquidazione recante rettifica di valore di un'azienda oggetto di dichiarazione di successione presentata in morte di D.D..
1.1 - Il giudice del gravame ha considerato che:
- l'atto prodromico era stato ritualmente notificato, nel rispetto delle prescrizioni poste dall'art. 140 c.p.c., così che la relativa definitività, per difetto di impugnazione, aveva determinato il consolidamento del credito erariale che, ad ogni modo, rinveniva da una rettifica fondata su di un atto (perizia estimativa di un'azienda) di provenienza degli stessi contribuenti;
- nemmeno rilevava l'omessa indicazione in cartella del responsabile del procedimento atteso che una siffatta prescrizione poteva trovare applicazione (solo) alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, conv. in L. n. 31 del 2008).
2. - A.A., B.B. e C.C. ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria;l'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. - Col primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti denunciano nullità della gravata sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, deducendo, in sintesi, che, - a fronte dello spiegato motivo di appello le cui censure involgevano specifici profili della notifica dell'avviso di liquidazione con riferimento ai contenuti della relata ed alle relative modalità di ricerca dei destinatari della notifica, e di consegna dell'atto, - il giudice del gravame aveva risolto la lite con argomentazioni del tutto estranee al thema decidendum e sovrabbondanti, così pronunciando su di un apparato motivazionale meramente apparente, ed anche contraddittorio.
Il secondo motivo, sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, espone la denuncia di violazione dell'art. 112 c.p.c., dell'art. 88 c.p.c., e dell'art. 111 Cost., assumendo i ricorrenti che il giudice del gravame non aveva esaminato, tenendola in non cale, l'eccezione da essi esponenti svolta in ordine all'applicazione del principio di non contestazione, atteso che controparte si era tardivamente costituita in giudizio (con controdeduzioni depositate il 17 gennaio 2006, a fronte di udienza di trattazione fissata per il 24 marzo 2006) e che, pertanto, ne era conseguita la preclusione processuale a contestare l'asserzione di essi esponenti in ordine all'omessa notifica dell'atto presupposto (avviso di liquidazione).
Col terzo motivo, anch'esso formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 112 c.p.c., con riferimento all'eccezione di decadenza riproposta quale motivo di appello per tardiva notifica delle cartelle di pagamento (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17).
Il quarto motivo, sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, reca la denuncia di violazione dell'art. 112 c.p.c. (questa volta) in relazione all'esaminata questione di nullità delle cartelle per omessa indicazione del responsabile del procedimento, avendo il giudice del gravame (così) pronunciato ultra petita a fronte di questione mai posta da essi esponenti.
2. - Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento e va senz'altro disatteso.
2.1 - Come ripetutamente statuito dalla Corte, difatti, deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232;v., altresì, Cass., 23 maggio 2019, n. 13977;Cass., 7 aprile 2017, n. 9105;Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667;Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232;Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
2.2 - E' ben vero che, - come deducono i ricorrenti, - la pronuncia impugnata espone sovrabbondanze motivazionali ma, ciò non di meno, - con riferimento alla specifica questione involgente la notifica dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione, - il giudice del gravame ha chiaramente esplicitato la ratio decidendi postavi a fondamento, prendendo specifica posizione sugli (e riscontrando l'effettività degli) "adempimenti... essenziali per la costituzione della fattispecie notificatoria" (ex art. 140 c.p.c.), e pur precisando l'ambito, ed i limiti, della fede privilegiata coperta dalle indicazioni riportate in relata di notifica.
3. - Del pari destituito di fondamento è il secondo motivo di ricorso.
3.1 - Come pianamente emerge dalla pronuncia impugnata, il giudice del gravame ha posto a fondamento della decisione le emergenze dei documenti prodotti a riscontro della notificazione dell'atto presupposto, così implicitamente disattendendo l'evocata rilevanza del principio di non contestazione la cui applicazione, peraltro, gli stessi ricorrenti prospettano contro il dato normativo che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, consente il deposito di documenti "fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione".
La Corte, difatti, ha statuito che il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello è configurabile allorchè manchi completamente l'esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d'appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda o con l'eccezione di parte, nel qual caso può parlarsi di statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (v., tra le tante, Cass., 11 gennaio 2022, n. 531;Cass., 13 agosto 2018, n. 20718;Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191;Cass., 14 gennaio 2015, n. 452;Cass., 25 settembre 2012, n. 16254;Cass., 17 luglio 2007, n. 15882;Cass., 19 maggio 2006, n. 11756).
3.2 - Va, poi, rimarcato che se il principio di non contestazione, di cui all'art. 115 c.p.c., comma 1, trova applicazione anche nel processo tributario, ciò non di meno, attesa l'indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l'esistenza (Cass., 18 maggio 2018, n. 12287;Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196;v., altresì, Cass., 30 giugno 2016, n. 13483;Cass., 18 giugno 2014, n. 13834);laddove la mancata presa di posizione dell'Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione, nè determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati (v. Cass., 13 marzo 2019, n. 7127;Cass., 18 maggio 2018, n. 12287;Cass., 30 giugno 2016, n. 13483;Cass., 12 maggio 2016, n. 9732;Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196;Cass., 18 giugno 2014, n. 13834;Cass., 3 aprile 2006, n. 7789).
4. - Anche il terzo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
4.1 - Occorre premettere che, secondo un consolidato orientamento interpretativo, la Corte può procedere alla correzione della motivazione della gravata sentenza (cui non è di ostacolo il denunciato error in procedendo;v., ex plurimis, Cass., 1 marzo 2019, n. 6145;Cass., 31 ottobre 2018, n. 27837;Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731;Cass., 25 novembre 2011, n. 24914;Cass., 3 marzo 2011, n. 5139;Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313;Cass., 28 luglio 2005, n. 15810;Cass., 23 aprile 2001, n. 5962), purchè la correzione (solo in diritto) non implichi accertamenti e valutazioni di fatto (v., ex plurimis, Cass., 6 settembre 2017, n. 20806;Cass., 25 ottobre 2013, n. 24165;Cass., 18 marzo 2005, n. 5954;Cass., 16 maggio 1998, n. 4939).
4.2 - La Corte, con consolidato orientamento interpretativo, ha statuito che una volta divenuto definitivo, per mancata impugnazione, l'avviso di rettifica e liquidazione dell'imposta di registro, ai fini della riscossione del credito opera unicamente il termine decennale di prescrizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, non trovando applicazione il termine di decadenza contemplato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, in quanto l'imposta di registro non è ricompresa tra i tributi ai quali fa riferimento il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 23 (che ha esteso le disposizioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1, quanto all'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, e art. 25, comma 1, quanto ai termini di decadenza, solo all'IVA;v. Cass., 10 marzo 2021, n. 6606;Cass., 11 maggio 2018, n. 11555;Cass., 30 giugno 2016, n. 13418;Cass., 24 settembre 2014, n. 20153;Cass., 9 luglio 2014, n. 15619;Cass., 6 giugno 2014, n. 12748;Cass., 2 dicembre 2013, n. 27028);e si è, in particolare, rimarcato che la disposizione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17 (ora art. 25), ha trovato applicazione (ratione temporis), quanto alla riscossione dell'imposta di registro, fino al 1 luglio 1999 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 46 del 1999), a seguito della modifica del sistema di riscossione coattiva introdotto con il D.P.R. n. 43 del 1988 (il cui art. 67, in effetti, espressamente contemplava l'imposta di registro), laddove, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 23, detta disposizione è applicabile solo alla riscossione delle imposte sui redditi e dell'IVA.
4.3 - A del tutto omologhe conclusioni la Corte è, poi, pervenuta con riferimento all'imposta sulle successioni, essendosi rilevato che il sistema di riscossione mediante iscrizione a ruolo, nel cui ambito devono essere osservati i termini di decadenza di cui del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, comma 3, ratione temporis vigente, si applica, dopo il 1 luglio 1999, alle sole imposte dirette, atteso che l'unico fondamento normativo della sua estensione alle imposte indirette era costituito dal titolo III del D.P.R. n. 43 del 1988, che è stato tuttavia abrogato dal D.Lgs. n. 113 del 1999, art. 68, con la decorrenza sopra indicata.
Pertanto, si è rilevato, in caso di imposta di successione la notifica della cartella di pagamento, che assolve alla sola funzione di mezzo di riscossione, non è soggetta a termini di decadenza, senza che ciò contrasti con l'esigenza, costituzionalmente inderogabile, di non lasciare troppo a lungo esposto il contribuente all'azione esecutiva del fisco, posto che detta esigenza rileva nei soli casi in cui la liquidazione dell'imposta debba avvenire esclusivamente a mezzo della cartella, ma non anche quando ciò avvenga mediante l'apposito avviso e sia l'attività di liquidazione ad essere soggetta a termini di decadenza, come stabilito, in materia, dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 27, che prevede un termine di decadenza biennale per la notifica dell'avviso di liquidazione, e dal successivo art. 41, che prevede la soggezione del credito da riscuotere, dopo la sua liquidazione, all'ordinaria prescrizione decennale (v. Cass., 6 novembre 2020, n. 24892;Cass., 21 giugno 2016, n. 12754;Cass., 4 febbraio 2015, n. 1974).
5. - Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Per come proposta, difatti, la censura non esplicita l'interesse a ricorrere di parte ricorrente avverso una pronuncia il cui contenuto dispositivo, quand'anche rimosso l'esame dell'eccezione di nullità in tesi non dedotta, ciò non di meno rimarrebbe connotato dal rigetto dell'azionata pretesa.
Posto, difatti, che l'esame di detta questione non ha avuto riflessi nemmeno sul piano della disciplina delle spese processuali (che la Commissione tributaria regionale ha integralmente compensato), - nè è suscettibile di arrecare alle parti un qualche pregiudizio, diverso ed ulteriore rispetto a quello che (legittimamente) si correla al rigetto dell'impugnazione della cartella di pagamento (per accertata legittimità della riscossione dell'imposta di successione), - secondo un consolidato orientamento della Corte il principio posto dall'art. 100 c.p.c. - alla cui stregua per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, - trova applicazione anche al giudizio di impugnazione, in cui l'interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall'utilità giuridica che dall'eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte (v., ex plurimis, Cass., 11 dicembre 2020, n. 28307;Cass., 18 febbraio 2020, n. 3991;Cass. Sez. U., 19 maggio 2008, n. 12637).
6. - Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono in solido la soccombenza di parti ricorrenti nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).