Cass. civ., sez. III, sentenza 02/07/2021, n. 18808
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Testo completo
to la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 11194/2018 R.G. proposto da G P, in proprio e quale titolare dell'impresa individuale Mario P di G P, rappresentata e difesa dall'Avv. S B, con domicilio eletto in Roma, Piazza Ugo da Como n. 9, presso lo studio dell'Avv. A B;
- ricorrente -
contro
Comune di Busto Arsizio, rappresentata e difesa dall'Avv. C C, con domicilio eletto in Roma, via Civitavecchia, n. 7, presso lo studio dell'Avv. L G T;
2,D2A controricorrente - avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano, n. 476/2018 depositata il 29 gennaio 2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio 2021 dal Consigliere E I;
lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale C M, formulate ai sensi e con le modalità previste dall'art. 23, comma 8 -bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali si chiede «il rigetto del primo motivo di ricorso proposto da G P e ... la declaratoria di inammissibilità, ed in subordine ... il rigetto, degli altri motivi di ricorso».
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 2592 del 1994 della Corte d'Appello penale di Milano, divenuta definitiva, G P venne dichiarata responsabile del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di turbata libertà degli incanti, truffa e corruzione (reati fine dichiarati prescritti) e condannata, in solido con terzi, al risarcimento dei danni in favore del Comune di Busto Arsizio, da liquidarsi in sede civile. In forza di tale sentenza il Comune iscrisse ipoteca su diverse unità immobiliari di proprietà della predetta. Ne scaturirono tre giudizi civili, instaurati in tempi diversi, tra il 2013 e il 2014, davanti al Tribunale di Busto Arsizio. Il primo e il terzo vennero promossi dalla P e furono diretti, rispettivamente, per quanto ancora in questa sede interessa: — (il primo) all'accertamento della illegittimità dell'iscrizione Ci ipotecaria per essere il credito risarcitorio già prescritto al momento in cui essa venne eseguita (domanda cui il Comune oppose l'esistenza di atto interruttivo);
— (il terzo) parimenti all'accertamento della illegittimità dell'iscrizione ipotecaria perché relativa a credito da considerarsi già a quel momento prescritto (in ragione dell'inidoneità della raccomandata del 23/3/2005 a produrre effetti interruttivi della prescrizione, poiché inviata da soggetto all'epoca privo di laurea) e, comunque, estinto, ai sensi dell'art. 1301 cod. civ., per effetto della remissione operata nei confronti di altro condebitore in solido, in subordine chiedendosi la detrazione dal credito risarcitorio, per effetto di tale remissione, delle quote di entrambi o almeno di uno solo degli altri condebitori e la conseguente riduzione delle ipoteche (a tale domanda il comune resistette, eccependone, tra l'altro, l'inammissibilità per abuso del processo). Il secondo giudizio, in ordine di tempo, venne invece promosso dal Comune di Busto Arsizio per la condanna della P al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dell'accertato delitto, quello non patrimoniale in particolare derivante da dedotto danno all'immagine. Costituendosi in tale giudizio, G P eccepì, tra l'altro, l'intervenuta prescrizione del vantato credito risarcitorio — in quanto la lettera del 23/3/2005 (quella stessa menzionata anche nel terzo giudizio) era stata sottoscritta dal Direttore generale e non dal Sindaco o da Dirigenti del competente settore — e il concorso del fatto colposo del danneggiato.
2. Riuniti i giudizi il Tribunale pronunciò in data 9/8/2016 sentenza parziale con la quale, per quanto ancora qui interessa: condannò G P al risarcimento dei danni subiti dal Comune, liquidati in C 207.190,45 oltre interessi e rivalutazione, al netto della riduzione operata, ex art. 1227, comma primo, cod. civ. per il riconosciuto concorso della RA. nella causazione del danno;
rigettò la domanda di cancellazione delle ipoteche (avendo ritenuto inammissibili le domande in tal senso formulate dalla P nel terzo dei giudizi riuniti, in quanto proposte solo per aggirare le decadenze verificatesi nei primi due giudizi);
ordinò la rimessione della causa sul ruolo per valutare se il valore dei beni ipotecati dal comune superasse di un terzo l'importo del credito. Quindi, all'esito di tale incombente, il Tribunale rese sentenza definitiva in data 26/7/2017 — non impugnata e passata in giudicato — con la quale rigettò le residue domande, onerando la P delle spese tutte di lite.
3. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Milano ha rigettato il gravame interposto dalla P avverso la sentenza parziale, confermando la valutazione di inammissibilità delle domande formulate nel terzo giudizio e rigettando i motivi (terzo e quinto) con i quali, rispettivamente, si contestava l'esistenza di un danno risarcibile quale conseguenza del reato associativo e si chiedeva la riduzione della percentuale di danno posta a carico dell'appellante (pari al 70%) in rapporto a quella residua riconosciuta, ex art. 1227 cod. civ., a carico di funzionari dello stesso Comune (tali G e M). In parziale accoglimento di quello incidentale ha invece riconosciuto in capo al comune anche la sussistenza di un danno non patrimoniale da lesione del diritto all'immagine, condannando conseguentemente la predetta al pagamento, a titolo di risarcimento, dell'ulteriore importo di C 30.000, oltre interessi e rivalutazione.
3.1. Con riferimento al primo tema di lite ha in particolare osservato che la ritenuta inammissibilità trovava giustificazione nella «identità tra le prime due e la terza causa. Medesimo il petitum, consistente nella richiesta di cancellazione delle iscritte ipoteche;
medesima altresì la causa petendi». Hanno infatti rilevato i giudici d'appello che — causa petendi essendo nella specie rappresentata «sin dalla prima causa, e poi nella comparsa di costituzione nella seconda», dalla dedotta estinzione del credito risarcitorio — non sono state formulate modifiche tempestive nei termini di cui all'art. 183 c.p.c.;
diversi sono bensì i fatti materiali addotti a sostegno dell'affermazione di estinzione (l'inesistenza di atto interruttivo, ovvero la sua inidoneità, od ancora, la remissione del debito a condebitore solidale) ma essi non valgono ad «immutare la conclusione che il fatto giuridico dedotto è sempre il medesimo». Da qui la conclusione che «l'unica domanda, di accertamento dell'estinzione del credito dell'Amministrazione comunale, sia stata inammissibilmente frammentata in una pluralità di iniziative processuali». Hanno in tal senso ritenuto di poter trarre argomenti dal consolidato principio secondo cui il giudicato sostanziale copre non soltanto l'esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito, precedenti e non dedotti. Altro argomento hanno reputato di poter trarre dal principio affermato — nel «contiguo tema della modificabilità della domanda nei termini di cui all'art. 183 c.p.c.» (così in sentenza) — da Cass. Sez. U 15/6/2015, n. 12310, avendo questa evidenziato come l'ammissibilità della modifica determini una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, e limiti l'eventualità di contrasto tra giudicati.
3.2. Con riferimento al secondo tema (sussistenza di danno risarcibile in conseguenza del reato associativo) — premesso «in via generale» che, ai fini del risarcimento del danno morale, non è necessario che il fatto reato sia effettivamente esistente in tutti i suoi elementi penalmente rilevanti o che sia punibile, ma soltanto che quel fatto possa astrattamente configurarsi come illecito penale con la conseguenza che il risarcimento può essere accordato anche nel caso di estinzione per prescrizione del reato — ha osservato che il Comune ha riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione del soggetto attivo del reato, con la conseguenza che, ove un reato si inquadri nel piano criminoso di una associazione per delinquere, la vittima del reato fine ha titolo per il risarcimento sia per il reato fine che per quello associativo, avendo la giurisprudenza penale di questa Corte in particolare chiarito, al riguardo, che «distinguere fra danno diretto (derivante dal solo reato fine) e danno indiretto (derivante dal reato cui si chiede il risarcimento sia collegato, sulla base di un nesso di derivazione associativo) non appare corretto proprio perché si finirebbe per non considerare l'effetto moltiplicatore (in termini di gravità del reato) e, pertanto, diretto che deriva dalla circostanza che quel reato fine è stato commesso nell'ambito di un'associazione. Il danno, quindi, proprio perché i due reati risultano collegati ... non può che derivare - in modo diretto - da entrambi (Cass. pen. Sez. 2, Sentenza n. 4380 del 13/01/2015, dep. 30/1/2015, Rv. 262371;
id. Sez. 6, Sentenza n. 7259 del 4/11/2004, dep. 24/2/2005, Rv. 231210)».
3.3. Quanto alla richiesta di una diversa commisurazione percentuale del debito risarcitorio ha rilevato che, dalla lettura della sentenza penale, emergeva che G P era capo e promotore dell'associazione criminale finalizzata alla corruzione e turbativa d'asta, ed era sotto il profilo sostanziale la maggiore beneficiaria delle pratiche illecite instaurate, con la conseguenza che corretta doveva ritenersi una ripartizione che tenesse conto della specificità e centralità del suo ruolo nell'ambito dei reato associativo.
3.4. Quanto infine al riconosciuto danno non patrimoniale da lesione del diritto all'immagine ha rilevato che «la condotta penalmente rilevante, tenuta dall'amministratore di una persona giuridica nell'esercizio delle proprie funzioni, è di per
- ricorrente -
contro
Comune di Busto Arsizio, rappresentata e difesa dall'Avv. C C, con domicilio eletto in Roma, via Civitavecchia, n. 7, presso lo studio dell'Avv. L G T;
2,D2A controricorrente - avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano, n. 476/2018 depositata il 29 gennaio 2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio 2021 dal Consigliere E I;
lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale C M, formulate ai sensi e con le modalità previste dall'art. 23, comma 8 -bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali si chiede «il rigetto del primo motivo di ricorso proposto da G P e ... la declaratoria di inammissibilità, ed in subordine ... il rigetto, degli altri motivi di ricorso».
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 2592 del 1994 della Corte d'Appello penale di Milano, divenuta definitiva, G P venne dichiarata responsabile del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di turbata libertà degli incanti, truffa e corruzione (reati fine dichiarati prescritti) e condannata, in solido con terzi, al risarcimento dei danni in favore del Comune di Busto Arsizio, da liquidarsi in sede civile. In forza di tale sentenza il Comune iscrisse ipoteca su diverse unità immobiliari di proprietà della predetta. Ne scaturirono tre giudizi civili, instaurati in tempi diversi, tra il 2013 e il 2014, davanti al Tribunale di Busto Arsizio. Il primo e il terzo vennero promossi dalla P e furono diretti, rispettivamente, per quanto ancora in questa sede interessa: — (il primo) all'accertamento della illegittimità dell'iscrizione Ci ipotecaria per essere il credito risarcitorio già prescritto al momento in cui essa venne eseguita (domanda cui il Comune oppose l'esistenza di atto interruttivo);
— (il terzo) parimenti all'accertamento della illegittimità dell'iscrizione ipotecaria perché relativa a credito da considerarsi già a quel momento prescritto (in ragione dell'inidoneità della raccomandata del 23/3/2005 a produrre effetti interruttivi della prescrizione, poiché inviata da soggetto all'epoca privo di laurea) e, comunque, estinto, ai sensi dell'art. 1301 cod. civ., per effetto della remissione operata nei confronti di altro condebitore in solido, in subordine chiedendosi la detrazione dal credito risarcitorio, per effetto di tale remissione, delle quote di entrambi o almeno di uno solo degli altri condebitori e la conseguente riduzione delle ipoteche (a tale domanda il comune resistette, eccependone, tra l'altro, l'inammissibilità per abuso del processo). Il secondo giudizio, in ordine di tempo, venne invece promosso dal Comune di Busto Arsizio per la condanna della P al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dell'accertato delitto, quello non patrimoniale in particolare derivante da dedotto danno all'immagine. Costituendosi in tale giudizio, G P eccepì, tra l'altro, l'intervenuta prescrizione del vantato credito risarcitorio — in quanto la lettera del 23/3/2005 (quella stessa menzionata anche nel terzo giudizio) era stata sottoscritta dal Direttore generale e non dal Sindaco o da Dirigenti del competente settore — e il concorso del fatto colposo del danneggiato.
2. Riuniti i giudizi il Tribunale pronunciò in data 9/8/2016 sentenza parziale con la quale, per quanto ancora qui interessa: condannò G P al risarcimento dei danni subiti dal Comune, liquidati in C 207.190,45 oltre interessi e rivalutazione, al netto della riduzione operata, ex art. 1227, comma primo, cod. civ. per il riconosciuto concorso della RA. nella causazione del danno;
rigettò la domanda di cancellazione delle ipoteche (avendo ritenuto inammissibili le domande in tal senso formulate dalla P nel terzo dei giudizi riuniti, in quanto proposte solo per aggirare le decadenze verificatesi nei primi due giudizi);
ordinò la rimessione della causa sul ruolo per valutare se il valore dei beni ipotecati dal comune superasse di un terzo l'importo del credito. Quindi, all'esito di tale incombente, il Tribunale rese sentenza definitiva in data 26/7/2017 — non impugnata e passata in giudicato — con la quale rigettò le residue domande, onerando la P delle spese tutte di lite.
3. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Milano ha rigettato il gravame interposto dalla P avverso la sentenza parziale, confermando la valutazione di inammissibilità delle domande formulate nel terzo giudizio e rigettando i motivi (terzo e quinto) con i quali, rispettivamente, si contestava l'esistenza di un danno risarcibile quale conseguenza del reato associativo e si chiedeva la riduzione della percentuale di danno posta a carico dell'appellante (pari al 70%) in rapporto a quella residua riconosciuta, ex art. 1227 cod. civ., a carico di funzionari dello stesso Comune (tali G e M). In parziale accoglimento di quello incidentale ha invece riconosciuto in capo al comune anche la sussistenza di un danno non patrimoniale da lesione del diritto all'immagine, condannando conseguentemente la predetta al pagamento, a titolo di risarcimento, dell'ulteriore importo di C 30.000, oltre interessi e rivalutazione.
3.1. Con riferimento al primo tema di lite ha in particolare osservato che la ritenuta inammissibilità trovava giustificazione nella «identità tra le prime due e la terza causa. Medesimo il petitum, consistente nella richiesta di cancellazione delle iscritte ipoteche;
medesima altresì la causa petendi». Hanno infatti rilevato i giudici d'appello che — causa petendi essendo nella specie rappresentata «sin dalla prima causa, e poi nella comparsa di costituzione nella seconda», dalla dedotta estinzione del credito risarcitorio — non sono state formulate modifiche tempestive nei termini di cui all'art. 183 c.p.c.;
diversi sono bensì i fatti materiali addotti a sostegno dell'affermazione di estinzione (l'inesistenza di atto interruttivo, ovvero la sua inidoneità, od ancora, la remissione del debito a condebitore solidale) ma essi non valgono ad «immutare la conclusione che il fatto giuridico dedotto è sempre il medesimo». Da qui la conclusione che «l'unica domanda, di accertamento dell'estinzione del credito dell'Amministrazione comunale, sia stata inammissibilmente frammentata in una pluralità di iniziative processuali». Hanno in tal senso ritenuto di poter trarre argomenti dal consolidato principio secondo cui il giudicato sostanziale copre non soltanto l'esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito, precedenti e non dedotti. Altro argomento hanno reputato di poter trarre dal principio affermato — nel «contiguo tema della modificabilità della domanda nei termini di cui all'art. 183 c.p.c.» (così in sentenza) — da Cass. Sez. U 15/6/2015, n. 12310, avendo questa evidenziato come l'ammissibilità della modifica determini una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, e limiti l'eventualità di contrasto tra giudicati.
3.2. Con riferimento al secondo tema (sussistenza di danno risarcibile in conseguenza del reato associativo) — premesso «in via generale» che, ai fini del risarcimento del danno morale, non è necessario che il fatto reato sia effettivamente esistente in tutti i suoi elementi penalmente rilevanti o che sia punibile, ma soltanto che quel fatto possa astrattamente configurarsi come illecito penale con la conseguenza che il risarcimento può essere accordato anche nel caso di estinzione per prescrizione del reato — ha osservato che il Comune ha riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione del soggetto attivo del reato, con la conseguenza che, ove un reato si inquadri nel piano criminoso di una associazione per delinquere, la vittima del reato fine ha titolo per il risarcimento sia per il reato fine che per quello associativo, avendo la giurisprudenza penale di questa Corte in particolare chiarito, al riguardo, che «distinguere fra danno diretto (derivante dal solo reato fine) e danno indiretto (derivante dal reato cui si chiede il risarcimento sia collegato, sulla base di un nesso di derivazione associativo) non appare corretto proprio perché si finirebbe per non considerare l'effetto moltiplicatore (in termini di gravità del reato) e, pertanto, diretto che deriva dalla circostanza che quel reato fine è stato commesso nell'ambito di un'associazione. Il danno, quindi, proprio perché i due reati risultano collegati ... non può che derivare - in modo diretto - da entrambi (Cass. pen. Sez. 2, Sentenza n. 4380 del 13/01/2015, dep. 30/1/2015, Rv. 262371;
id. Sez. 6, Sentenza n. 7259 del 4/11/2004, dep. 24/2/2005, Rv. 231210)».
3.3. Quanto alla richiesta di una diversa commisurazione percentuale del debito risarcitorio ha rilevato che, dalla lettura della sentenza penale, emergeva che G P era capo e promotore dell'associazione criminale finalizzata alla corruzione e turbativa d'asta, ed era sotto il profilo sostanziale la maggiore beneficiaria delle pratiche illecite instaurate, con la conseguenza che corretta doveva ritenersi una ripartizione che tenesse conto della specificità e centralità del suo ruolo nell'ambito dei reato associativo.
3.4. Quanto infine al riconosciuto danno non patrimoniale da lesione del diritto all'immagine ha rilevato che «la condotta penalmente rilevante, tenuta dall'amministratore di una persona giuridica nell'esercizio delle proprie funzioni, è di per
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