Cass. civ., sez. V trib., sentenza 30/06/2020, n. 13074
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seguente SENTENZA sul ricorso 10076-2014 proposto da: B A, in proprio nella qualità di erede beneficiario dell'Avvocato A B, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLE MILIZIE 108;- ricorrente -contro MINISTERO DELL'ECONOMIA FINANZE, UFFICIO REGISTRO ROMA 3;- intimati - nonché contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;- resistente - avverso la sentenza n. 400/2013 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di ROMA, depositata il 29/01/2013;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/12/2019 dal Consigliere Dott. L P;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G G che ha concluso in via principale per il rinvio a nuovo ruolo e in subordine per l'estinzione. FATTI DI CAUSA 1. - Con sentenza n. 400/2013, depositata il 29 gennaio 2013, la Commissione tributaria Centrale ha accolto il ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di Roma avverso la decisione della Commissione tributaria di secondo grado che, - in relazione ad un avviso di accertamento recante rettifica di valore di un terreno, con sovrastante manufatto, oggetto di vendita con scrittura privata registrata il 26 aprile 1982, - aveva confermato la decisione di prime cure di (parziale) annullamento dell'atto impugnato con riferimento al valore sia del manufatto, - calcolato dall'Ufficio in (originarie) £. 10.000.000, - sia dello stesso terreno (rideterminato in £. 18.000.000 a fronte dell'importo di £. 21.000.000 oggetto di rettifica). Ha rilevato, in sintesi, il giudice del gravame che, - diversamente da quanto ritenuto dai giudici di primo e di secondo grado, - non v'era alcuna evidenza probatoria di una realizzazione del manufatto (oggetto di ripresa fiscale) da parte degli acquirenti del terreno, ed in data successiva, quindi, alla conclusione del contratto di compravendita, - essendosi le difese del contribuente risolte (sul punto) in affermazioni apodittiche, in quanto tali sfornite di prova, così che del (valore del) fabbricato doveva tenersi conto ai fini impositivi dell'atto di compravendita. 2. - Besi Alfredo, erede di Besi Arnaldo Mari, ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi. L'Agenzia delle Entrate si è tardivamente costituita al solo fine di partecipare all'udienza di discussione del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Col primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione di legge, con riferimento all'omessa comunicazione dell'udienza di discussione (d.p.r. n. 636 del 1972, art. 27). Il secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., reca denuncia di violazione e falsa applicazione del d.l. n. 40 del 2010, art. 3, c. 2 bis, conv. in I. n. 73 del 2010, e del d.l. n. 216 del 2011, art. 29, c. 16 decies, conv. in I. n. 14 del 2012 sul rilievo che, in ragione della parziale soccombenza dell'amministrazione (nel primo e nel secondo grado di giudizio), il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare l'estinzione della controversia con il conseguente passaggio in giudicato della decisione di parziale riforma. Col terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, c. 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia «omessa motivazione su punto essenziale» del giudizio con riferimento all'accertamento svolto dal giudice del primo grado, qual confermato dal giudice di secondo grado, in ordine alla determinazione del valore del terreno che andava considerato come inedificabile. Col quarto motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente si duole del «totale» accoglimento del ricorso quando la decisione avrebbe dovuto limitarsi alla questione (ancora controversa) del valore del manufatto (della «incidenza della accessione del manufatto al fondo.»). 2. - In via preliminare, la Corte deve farsi carico dell'ammissibilità del ricorso in relazione al termine lungo di impugnazione (art. 327 cod. proc. civ.), risultando la gravata sentenza pubblicata il 29 gennaio 2013 epperò comunicata alla parte, odierna ricorrente (dietro notifica del dispositivo;d.p.r. n. 636 del 1972, art. 38, c. 3), in data 12 marzo 2013. 2.1 - Al riguardo va premesso che, - siccome il processo in trattazione soggetto alle disposizioni contenute nel d.p.r. n. 636 del 1972 (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 75, c. 1), - nella fattispecie trovava applicazione (anche) l'art. 31, c. 1, del d.p.r. n. 636, cit., il quale disponeva nei seguenti termini: «Il termine per la proposizione del ricorso e tutti gli altri termini processuali pendenti alla data della morte della parte o del suo rappresentante o alla data della sentenza esecutiva che ne abbia dichiarato l'incapacità, sono prorogati di sei mesi a decorrere da tale data.»;disposizione, questa, che, in ragione del suo contenuto regolativo, replica quelle processualcivilistiche di cui all'art. 328 c.p.c., - le quali, però, si inseriscono in un processo che contempla l'evento morte della parte quale fatto interruttivo del processo, - e che, nella fattispecie, trovava applicazione in relazione all'evento morte (in data 23 maggio 2000) della parte originaria del processo (Besi Arnaldo). Secondo, poi, la (condivisibile) opinione emersa nell'ambito della disciplina posta dal d.p.r. n. 636 del 1972, «la morte o la perdita della capacità di una delle parti o di un suo rappresentante intervenuta nel corso del giudizio rileva soltanto nei limiti previsti dall'art. 31 del d.P.R. n. 636 cit., così come sostituito dall'art. 18 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, il quale, non contemplando l'interruzione del processo, e limitandosi a prevedere la proroga di sei mesi del termine per la proposizione del ricorso e di tutti i termini processuali pendenti alla data della morte o della sentenza che abbia dichiarato l'incapacità, individua tale effetto quale unica conseguenza dell'evento in questione.» (così Cass., 19 luglio 2006, n. 16489). 2.2 - Con riferimento alla disciplina delle cause interruttive del processo civile, - e, in particolare, al combinato disposto di cui agli artt. 301 e 305 cod. proc. civ., - il Giudice del leggi, già con sentenza 15 dicembre 1967 n. 139 (che dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 305 «per la parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione e la sua riassunzione anche nei casi regolati dal precedente art. 301.»), ebbe a rilevare che, se l'automaticità dell'interruzione del processo, - posta a tutela del diritto di difesa della parte che resta priva dello ius postulandi, — risultava del tutto coerente con la tutela costituzionale di tale diritto (art. 24 Cost.) non altrettanto poteva dirsi a riguardo della disposizione posta dall'art. 305, cit., - che fa decorrere il termine stabilito per la prosecuzione, o la riassunzione, del processo dalla data dell'evento in questione piuttosto che dalla dichiarazione o dalla notificazione del medesimo, - in quanto «non basta che, mediante l'interruzione automatica, la parte sia preservata dal rischio di un'attività processuale compiuta in danno di lei, ma occorre, perché le sia assicurato il diritto di difesa, che sia altresì posta al riparo dal pericolo che, persistendo tale inscientia, maturino preclusioni in suo danno.». Ed anche a seguito di ulteriori pronunce della Corte Costituzionale (sent. nn. 178 del 1970, 159 del 1971 e n. 36 del 1976), questa Corte ha, quindi, posto il principio di diritto secondo il quale il termine per la riassunzione o la prosecuzione del processo interrotto (per uno degli eventi previsti all'art. 301 c.p.c.) «decorre non già dal giorno in cui si è verificato l'evento interruttivo, bensì da quello in cui le parti abbiano avuto conoscenza legale di tale evento e ... tale conoscenza può dirsi perfezionata in presenza di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento che determina l'interruzione del processo, con l'effetto che il termine in questione può decorrere per ciascuna delle parti da una data diversa» (cfr., ex plurimis, Cass., 26 marzo 2012, n. 4851;Cass., 11 febbraio 2010, n. 3085;Cass., 8 ottobre 2008, n. 24857;Cass., 8 marzo 2007, n. 5348;Cass., 29 dicembre 1999, n. 14691;Cass., 7 ottobre 1998, n. 9918;Cass., 19 marzo 1996, n. 2340). 2.3 - A fronte, allora, di un evento morte che, nella fattispecie, non poteva trovare emersione processuale (in difetto, come si è detto, di una disciplina degli effetti interruttivi dell'evento), la previsione di una proroga dei termini di impugnazione, - volta a preservare la posizione di chi da quell'evento poteva subire un pregiudizio processuale, - non può che essere correlata, - in una lettura costituzionalmente orientata della disposizione (di natura processuale) che salvaguardi, quindi, il diritto di difesa della parte (art. 24 Cost.), - alla conoscenza legale dell'atto da impugnare. E', difatti, del tutto evidente che, - in un sistema che non consentiva l'emersione di eventi incidenti sulla capacità della parte (o del suo rappresentante in giudizio), - la previsione di una proroga dei termini processuali «pendenti alla data della morte della parte o del suo rappresentante» non può che essere correlata all'esistenza stessa della fattispecie involgente il rispetto di detti termini (nel caso che ne occupa la pronuncia della CTC suscettibile di impugnazione mediante ricorso per cassazione) e, quanto al diritto di difesa da riconoscere a chi da quegli eventi possa subire pregiudizio, alla scientia del fatto (potenzialmente) preclusivo;il che implica, allora, la conoscenza, - non solo dell'evento presupposto dalla disposizione di proroga (morte o perdita di capacità della parte o del suo rappresentante), ma anche, - del fatto processuale cui si correlano preclusioni (nella fattispecie la sentenza impugnabile), così che i termini «pendenti alla data della morte della parte o del suo rappresentante» non possono che essere quelli che (ad ogni modo) vengono in considerazione dopo la morte o la perdita di capacità e con riferimento ad una fattispecie processuale che sia portata a conoscenza del soggetto esposto alle preclusioni. Nel caso che ne occupa, il dispositivo della sentenza è stato notificato alla parte, odierna ricorrente, alla data del 12 marzo 2013 (d.p.r. n. 636 del 1972, art. 38) e, in relazione a tanto, deve ritenersi tempestivo il ricorso la cui notifica è stata richiesta il 9 aprile 2014. 3. - Tanto premesso, rileva, quindi, la Corte che il secondo motivo, - dal cui esame consegue l'assorbimento dei residui motivi, - è fondato e va accolto. 3.1 - Il d.l. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, c. 2 bis, lett. a), conv. in I. 22 maggio 2010, n. 73, ha previsto la definizione automatica («con decreto assunto dal presidente del collegio o da altro componente delegato») delle controversie tributarie pendenti davanti alla Commissione tributaria centrale «che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l'Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio». Il d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, art. 29, c. 16 decies, conv. in I. 24 febbraio 2012, n. 14, ha quindi disposto che l'art. 3, c. 2 bis, lett. a), del d.l. n. 40 del 2010, cit., «si interpreta nel senso che, con riferimento alle sole controversie indicate nel predetto comma ed in presenza delle condizioni previste dalla predetta disposizione, nel caso di soccombenza, anche parziale, dell'amministrazione finanziaria nel primo grado di giudizio, la mancata riforma della decisione di primo grado nei successivi gradi di giudizio determina l'estinzione della controversia ed il conseguente passaggio in giudicato della predetta decisione.». 3.2 — Come, dunque, reso esplicito dai dati normativi sopra riassunti, nella fattispecie la controversia avrebbe dovuto definirsi in via automatica (con decreto presidenziale dinanzi alla commissione tributaria centrale), avuto riguardo alla sua estinzione in ragione del passaggio in giudicato della pronuncia di prime cure che, - parzialmente accolto il ricorso del contribuente, - era stata, in tali termini, confermata dalla pronuncia di appello della commissione tributaria di secondo grado. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con dichiarazione di estinzione del giudizio, per passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria di primo grado, e con integrale compensazione, tra le parti, delle spese processuali dell'intero giudizio (v., ex plurimis, Cass., 21 febbraio 2018, n. 4166;Cass., 19 agosto 2015, n. 16944).
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