Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 08/05/2003, n. 7033
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Ai fini della concessione degli sgravi contributivi in favore delle imprese artigiane operanti nel Mezzogiorno, l'individuazione dei relativi requisiti va operata avendo esclusivamente riguardo alla legislazione che li prevede, che ha carattere di specialità rispetto alle norme in materia di inquadramento dell'impresa ai fini previdenziali (art. 49, legge n. 88 del 1989) e, conseguentemente, al fine di accertare la natura industriale o artigianale dell'attività deve farsi riferimento soltanto all'art. 2195, n. 1, cod. civ., ed alla legge quadro n. 443 del 1985 (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la natura artigiana di un'impresa esercitata da una società di fatto, sul rilievo che queste ultime sarebbero a tutti gli effetti delle società in nome collettivo, senza considerare che alle medesime si applica invece la disciplina stabilita per la società semplice, ovvero per la società in nome collettivo irregolare, a seconda della natura dell'attività svolta, ed affermando inoltre che tutte le società collettive, in mancanza di prova contraria, dovrebbero reputarsi società commerciali).
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. I G - Presidente -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. V G - rel. Consigliere -
Dott. S P - Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE LUCIA GUIDO in A, DI PALMA ANTONIETTA, DE LUCIA MARIA GIOVANNA, tutti da A e soci della C.E.A.C. S. di f., elettivamente domiciliati in ROMA VIA SISMONDA N. 13, presso lo studio dell'avvocato S, rappresentati e difesi dall'avvocato T R, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, F F, F C, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 62/00 del Tribunale di BENEVENTO, depositata il 28/04/00 - R.G.N. 162/95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/03 dal Consigliere Dott. G V;
udito l'Avvocato R;
udito l'Avvocato SGROI per delega FONZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marcello MATERA che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Guido De Lucia, Antonietta Di Palma e Maria Giovanna De Lucia, soci della società di fatto C.E.A.C., proponevano opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento dell'INPS per quote contributive non versate per il periodo dal 1 gennaio 1989 al 31 marzo 1991. Deducevano che tale somma non era dovuta e che anzi essi avevano richiesto la restituzione di quanto indebitamente versato. Il Pretore rigettava l'opposizione ritenendo che la società dovesse essere inquadrata nel terziario, in un settore cioè escluso dal beneficio degli sgravi contributivi.
A seguito di gravame dei soci della società, il Tribunale di Benevento con sentenza del 28 aprile 2000 rigettava l'appello e compensava integralmente tra le parti le spese del giudizio. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale premetteva che la questione da risolvere atteneva all'inquadramento della società C.E.A.C. tra le imprese artigiane ed alla conseguente applicazione delle norme regolanti gli sgravi contributivi per tali imprese se operanti nel Mezzogiorno giusta le leggi 12 maggio 1976 n. 183, 25 ottobre 1968 n. 1089 nonché il testo unico approvato con d.p.r. n. 218 del 1978. Nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto
dal Pretore, l'attività svolta dalla società C.E.A.C, non poteva collocarsi nel terziario ma alla società non spettava ugualmente il beneficio degli sgravi contributivi poiché dalle risultanze processuali non emergevano gli elementi richiesti dalla legge n. 443 del 5 agosto 1985 per considerare la C.E.A.C. una impresa artigiana.
Ed invero le società di fatto sono a tutti gli effetti delle società collettive di persone (art. 2291 c.c.), le quali a loro volta sono presumibilmente delle società commerciali. Tutto ciò bastava a giustificare la richiesta contributiva dell'INPS non avendo la C.E.A.C. provato, come richiesto dalla normativa sull'onere della prova ex art. 2697 c.c., la natura di impresa artigiana.
Contro tale sentenza i soci della C.E.A.C. propongono ricorso per Cassazione affidato ad un duplice motivo, illustrato anche con memoria.
Resiste con controricorso l'INPS.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti in epigrafe deducono erroneo accostamento della società di fatto alla società in nome collettivo, mancata valutazione degli artt. 2292 e 1313 c.c. e discutibile ricorso alle presunzioni. Sostengono più specificamente che mancando nella ragione sociale della C.E.A.C. il nome di almeno uno dei soci non poteva parlarsi, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, di una società in nome collettivo. Ugualmente errato doveva considerarsi il ricorso operato dal Tribunale alle presunzioni, perché detto ricorso è ammissibile in relazione alle società irregolari solo per rivelarne l'esistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi dei rapporti interni alla società, altrimenti non accertabili, ma non invece per quanto attiene ai rapporti esterni, riguardanti i terzi, essendo detti rapporti sempre palesi e potendosi provare con tutti i mezzi del codice di rito.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano il mancato ricorso al disposto dell'art. 116 c.p.c. assumendo che il Tribunale ha errato nel non trarre le dovute conseguenze dal rapporto ispettivo dell'INPS e dagli altri elementi istruttori che inducevano ad escludere che la C.E.A.C. svolgesse una attività commerciale per configurare una industria manufatturiera.
I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro connesse, vanno accolti per le ragioni che si vengono ad esporre.
I giudici di legittimità hanno più volte statuito che in tema di inquadramento delle imprese ai fini previdenziali e con riguardo ai datori di lavoro che abbiano iniziato la loro attività anteriormente al 28 marzo 1989, data di entrata in vigore della legge n. 88 del 1989 - il cui art. 49 ha dettato la nuova normativa della materia - la disciplina transitoria posta dal terzo comma di tale disposizione va interpretata nel senso che "restano validi" tutti gli inquadramenti dei datori di lavoro nei settori dell'industria, del commercio e dell'agricoltura disposti in conformità alla normativa ed ai criteri previgenti, qualunque ne sia la fonte ed ancorché il provvedimento, relativo al periodo anteriore alla data predetta, sia intervenuto successivamente ad esso. In forza di tale disciplina transitoria gli stessi giudici di legittimità hanno poi riconosciuto legittimo il doppio inquadramento precisando che una impresa di servizi, aggregata al settore del commercio con decreto del Ministero del Lavoro - emanato ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 34 del d.p.r. n. 797 del 1955 (di approvazione del testo unico sugli assegni familiari) e
divenuto definito per difetto di tempestiva impugnazione davanti al giudice amministrativo - e contestualmente inquadrato nel settore dell'industria ai fini della previdenza dei dirigenti in forza di sentenza del giudice ordinario, conserva anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 88 del 1989 il doppio inquadramento che le spettava in precedenza (cfr. in tali esatti termini: Cass., Sez. Un., 18 maggio 1994 n. 4837). Questa Corte ha inoltre più volte anche affermato che ai fini della concessione degli sgravi contributivi alle imprese industriali, l'individuazione dei soggetti destinatari dei benefici deve essere operata alla stregua della legislazione agevolativa, che si pone con carattere di specialità rispetto alle successive norme relative all'inquadramento delle imprese ai fini previdenziali (art. 49 della legge n. 88 del 1989) sicché per accertare la natura industriale o
artigianale dell'attività deve farsi riferimento rispettivamente al disposto dell'art. 2195 n. 1 c.c. ed alla legge quadro n. 443 del 1985 sull'artigianato (cfr. in tali sensi Cass. 2 aprile 2002 n. 4667;Cass. 5 marzo 2001 n. 3215 cui adde Cass. 26 febbraio 1998 n. 2090 per il valore da assegnare all'iscrizione all'albo delle imprese artigiane ai fini dell'inquadramento dell'impresa nel relativo settore).
Orbene il giudice d'appello, invece di osservare i suddetti principi ai fini di accertare il corretto inquadramento della società C.E.A.C., nel decidere la controversia sottoposta al suo esame non solo ha escluso la natura artigianale dell'impresa con una motivazione insufficiente ma ha anche errato, dapprima, nell'affermare che le società di fatto sono a tutti gli effetti delle società collettive di persone (laddove invece alle società di fatto va applicata la disciplina della società semplice o della società in nome collettivo irregolare a secondo della natura dell'attività in concreto svolta dall'impresa) e, di poi, ha fatto una non corretta applicazione del disposto dell'art. 2697 c.c. sull'onere della prova, configurando inspiegabilmente una presunzione che l'ha indotto ad affermare che tutte le società collettive di persone devono reputarsi - in mancanza di prova contraria - delle società commerciali.
Il giudice d'appello avrebbe invece dovuto, alla stregua di quanto in precedenza enunciato, esaminare le risultanze istruttorie (individuate in ricorso ed ingiustificatamente non sottoposte ad alcun vaglio dal Tribunale di Benevento) e, sulla base della accertata attività in concreto spiegata dalla C.E.A.C., avrebbe dovuto inquadrare l'impresa facendo applicazione delle regole giurisprudenziali innanzi enunciate.
La sentenza impugnata va pertanto cassata.
Alla stregua dell'art. 384 c.p.c. essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va rimessa ad un diverso giudice d'appello, che si designa nella Corte d'appello di Salerno, che procederà ad un nuovo esame della controversi facendo applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.
Al giudice di rinvio va altresì rimessa la regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di Cassazione.