Cass. civ., sez. II, sentenza 05/04/2023, n. 09385

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 05/04/2023, n. 09385
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 09385
Data del deposito : 5 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n.28837/2018 R.G. proposto da : B S, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLE MILIZIE, 138, presso lo studio dell’avvocato B F (BCCFPP70R05H501K) rappresentato e difeso dagli avvocati CROSTA GVANNI (CRSGNN70B05Z133I), COSTANZA LIBORIO MAURIZIO (CSTLRM69A16G273E) -ricorrente-

contro

A S, domiciliataex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentatae difesa dagli avvocat i DENARO GVANNI (DNRGNN55B28G348M), DI BENEDETTO FILIPPO (DBNFPP70L10G273V) -controricorrente- nonchécontro ICUKI VITA -intimata- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO PALERMO n. 1420/2018 depositata il 02/07/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/03/2023 dal Consigliere dr. M M. RAGNI DI FATTO S A conveniva S B avanti il Tribunale di Palermo, esponendo che il convenuto – il quale utilizzava per l’accesso al proprio fondo una stradella posta su un terreno attoreo –aveva illegittimamente intrapreso opere volte alla realizzazione di un nuovo varco di accesso sul predetto tracciato, demolendo arbitrariamente una notevole porzione del muro di contenimento. Si costituiva il B, affermando di aver aperto il varco sulla sua proprietà e svolgendo domanda riconvenzionale di accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di passaggio. Veniva chiamata e si costituiva in giudizio V I, usufruttuaria di un fondo confinante, che aderiva alla posizione processuale dell’attrice. In esito all’istruttoria, il giudice adito rigettava la domanda, affermando che la stradella era stata realizzata in parte sul fondo A ed in parte su quello del convenuto. Accoglieva, per converso, la domanda riconvenzionale. La sentenza anzidetta era ritualmente impugnata da S A, ed – in via incidentale – da V I, avanti la Corte d’Appello di Palermo, la quale, con sentenza n. 1420 del 2 luglio 2018, accoglieva il gravame, negando il diritto dell’appellato ad aprire e mantenere il secondo varco, ma riconfermando l’acquisto per usucapione del diritto di servitù pedonale e carrale dal primo varco all’imbocco della strada pubblica. Per i giudici di secondo grado non risultava chiaro, né dalla planimetria allegata, né dalla documentazione delle parti, se il secondo varco fosse stato aperto dal B proprio all’altezza della porzione di terreno ricadente sulla sua stessa proprietà. In ogni caso, tale circostanza sarebbe stata irrilevante, posto che il percorso si sarebbe sviluppato sopra la stradella e quindi sulla proprietà (almeno prevalente) A, comportando un illegittimo aggravio dell’esercizio del passaggio sulla stradella medesima. Contro la predetta sentenza ricorre per cassazione S B, affidandosi a dieci motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso S A, mentre è rimasta intimata V I. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con assorbimento del secondo, terzo, quarto, nono e decimo motivo, nonché la declaratoria di inammissibilità del quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo.

RAGNI DI DIRITTO

1) Con la prima doglianza, il ricorrente invoca la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4) c.p.c., giacché la Corte d’appello avrebbe pronunziato su una domanda nuova, proposta per la prima volta dalle appellanti in sede di gravame, omettendo di decidere sulla relativa eccezione processuale svolta dal B. Costui rileva, in particolare, che la sentenza impugnata, dopo aver qualificato l’azione avversaria come negatoria servitutis, avrebbe accolto una domanda radicalmente diversa, ex art. 1067 c.c. 1.1) Con il secondo motivo, il B assume la nullità della sentenza per violazione del giudicato interno, ex art. 360 n. 4 c.p.c., e per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto, a fronte dell’affermazione del Tribunale circa l’insistenza dell’apertura del varco all’interno della proprietà B, e della mancata impugnazione sul punto, la Corte territoriale avrebbe illegittimamente vietato l’utilizzo del medesimo varco. 1.2) Con il terzo mezzo, viene lamentata la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1067 e 949 c.c., giacché la sentenza impugnata avrebbe erroneamente sussunto la fattispecie sotto lo schema giuridico del divieto di aggravamento della servitù di passaggio anziché sotto quello dell’azione negatoria. 2) I primi tre motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente, perché attaccano la sentenza impugnata sotto l’essenziale profilo del mutamento della domanda avversaria, sono infondati. 2.1) Nella ricostruzione del fatto, la Corte d’appello afferma che l’A e la I avrebbero qualificato l’originaria domanda come actio negatoria servitutis e che, successivamente, nel gravame avrebbero lamentato che “la questione sottoposta al giudice non era il diritto del B ad aprire il secondo passaggio sulla porzione di stradella di sua proprietà, ma la questione dell’aggravio dell’esercizio della servitù, in violazione del principio dell’art. 1067 c.c., secondo il quale il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendono più gravosa la condizione del fondo servente”. 2.2) E’ noto che l’azione negatoria servitutistende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sul bene e, quindi, non al mero accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù ma al conseguimento della cessazione della dedotta situazione antigiuridica, al fine di ottenere la libertà del fondo, mentre la domanda di riduzione in pristino per aggravamento di servitù esistente prospetta un’alterazione dei luoghi compiuta dal titolare di una servitù prediale, trovando fondamento nei rimedi di cui agli artt. 1063 e 1067 c.c. (Sez. 2, n. 203 del 9 gennaio 2017). 2.3) Sul punto, tuttavia, la confusione sulla qualificazione giuridica dell’azione (fra l’altro, operata incidentalmente) da parte della Corte di Palermo non giova all’appellante. Infatti, la lettura dell’atto introduttivo – consentita a questa Corte dall’ error in procedendo lamentato dal B (Sez. 1, n. 29495 del 23 dicembre 2020;
Sez. 6-1, n. 23834 del 25 settembre 2019) – mostra come l’A avesse fin da subito richiesto che la nuova apertura posta in essere ex adverso “ dovrà essere eliminata in quanto costituente un aggravamento della servitù”, giacché controparte non avrebbe goduto “di alcun diritto di servitù attiva di passaggio sul fondo della signora A su cui insiste la stradella, oltre il vecchio ed originario accesso già concesso dal dante causa dell’attrice”. Pertanto, la domanda di riduzione in pristino per aggravamento della servitù non costituisce domanda nuova, essendo stata proposta fin dall’atto di citazione introduttivo;
esattamente i giudici di secondo grado, essendo stata la domanda replicata nel giudizio di appello, ne hanno tenuto conto ed hanno pronunziato in ordine ad essa. 3) La quarta lagnanza si appunta sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 1067 ed 832 c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., considerato che, in ogni caso, non vi sarebbe stato alcun aggravamento della servitù, in quanto esso non sarebbe potuto derivare dall’apertura del nuovo varco o dallo spostamento dello stesso, in difetto di ulteriori fatti e circostanze. Il motivo è infondato. 3.1) Secondo la prospettazione della Corte d’appello “E’ dunque fondato l’argomento dell’appellante che ha contestato l’apertura di questo varco;
il cui utilizzo postula l’illegittimo aggravio dell’esercizio del passaggio da parte del B sulla stradella, dal momento che l’appellato, per raggiungere il nuovo varco, deve percorrere un tratto di stradella maggiore di quella percorsa quando fruiva solo del varco preesistente”. 3.2) La sentenza impugnata è, sul punto, conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale ha statuito che, in tema di servitù prediali, l'aggravamento dell'esercizio della servitù, operata sul fondo dominante, va verificato accertando se l'innovazione abbia alterato l'originario rapporto con quello servente e se il sacrificio, con la stessa imposto, sia maggiore rispetto a quello originario, a tal riguardo valutandosi non solo la nuova opera in sé, ma anche con riferimento alle implicazioni che ne derivino a carico del fondo servente, assumendo in proposito rilevanza non soltanto i pregiudizi attuali, ma anche quelli potenziali connessi e prevedibili, in considerazione dell'intensificazione dell'onere gravante sul fondo servente. Da ciò deriva che la realizzazione di un ulteriore accesso alla proprietà servente integra di per sé l'aggravamento, implicando una duplicazione degli ingressi (Sez. 2, n. 20609 del 19 luglio 2021). 3.3) Esattamente, dunque, la Corte di Appello ha ritenuto illegittimo l’aggravio dell’esercizio del passaggio discendente dal fatto che “l’appellato, per raggiungere il nuovo varco, deve percorrere un tratto di stradella maggiore di quella percorsa quando fruiva solo del varco preesistente”. 4) Il quinto mezzo d’impugnazione, articolato in tre rilievi, riguarda l’omessa pronunzia in relazione all’actio confessoria ed usucapione ex artt. 1079 c.c. e 1158 c.c., la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 112 c.p.c. e per extrapetizione, da un lato, la nullità per difetto della giustificazione della decisione, ex art. 360 n.4 c.p.c., dall’altro ed, infine, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 1079 e 1158 c.c. Il B lamenta che la sua domanda per l’accertamento della servitù di passaggio rispetto al secondo tratto della stradella sarebbe stata ingiustamente reputata generica, laddove invece egli avrebbe chiaramente inteso ottenere il riconoscimento della servitù di passaggio per tutta la lunghezza della stradella. 4.1) Il sesto motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., deduce l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, costituiti dagli aspetti fattuali integranti la specificità e la determinatezza della domanda, a fronte delle quali nessuna delle controparti avrebbe sollevato il problema della genericità della richiesta avversaria. I due motivi sono inammissibili. 4.2) La sentenza impugnata, se è vero che ha stigmatizzato la genericità della domanda di usucapione formulata dall’odierno ricorrente, ha però fondato il rigetto di tale domanda (per la parte compresa fra il nuovo accesso e quello già esistente) su una diversa ratio decidendi [“Ora il B non ha mai contestato di aver aperto il secondo varco sulla stradella in oggetto nel 2010 (limitandosi ad affermare la legittimità in quanto ricadente su terreno di sua proprietà). Ciò rende impossibile il configurarsi di un acquisto per usucapione del diritto di passare sul fondo A fino a questo secondo varco”]. Questo punto non è stato oggetto di specifica contestazione da parte dell’appellante. 4.3) Orbene, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse "rationesdecidendi", ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l'inammissibilità del gravame per l'esistenza del giudicato sulla "ratiodecidendi" non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (Sez. 2, n. 13880 del 6 luglio 2020). 5) Con la settima, complessa lagnanza, il ricorrente denuncia assenza di motivazione sul capo concernente l’actio confessoriae la domanda di usucapione, in relazione all’art. 132 c.p.c. e per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., ex art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., “avuto riguardo alla pretermissione delle prove assunte ai fini della decisione”. In buona sostanza, la sentenza impugnata avrebbe fatto malgoverno delle prove, che avrebbero invece confermato gli assunti del B. Il motivo è inammissibile. 5.1) Secondo la Corte d’appello, i testi escussi in primo grado avrebbero confermato il passaggio dal varco sulla particella 175, “che è evidentemente diverso da quello oggetto del contenzioso”. Si tratta di un giudizio fattuale. Ed è evidente che l'esame dei documenti esibiti e lavalutazione degli stessi, come anche il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice delmerito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte diprova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2 n. 21127 dell’8 agosto 2019;
Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017). 6) L’ottavo motivo si appunta, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., sull’omesso esame di fatti, legati alla pretermissione delle prove assunte circa la proposta actio confessoria e la domanda di usucapione. Dall’istruttoria sarebbe emersa la dimostrazione dell’esercizio uti dominus della servitù di passaggio da parte del ricorrente sull’intero tracciato. 6.1) Il motivo è inammissibile, considerando che l’argomento è stato comunque trattato dalla Corte d’appello. In tal senso, la differente lettura proposta dal ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013). 6.2) In ogni caso, la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014;
Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022;
Sez. 1, n. 6758 del 1° marzo 2022). Per il resto, la lagnanza pretende di ridiscutere valutazioni di merito. 7) Attraverso il nono motivo, si sostiene la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 n. 4 c.p.c., per ultrapetizione, in relazione all’art. 112 c.p.c. La Corte distrettuale avrebbe pronunziato oltre la domanda proposta dalle appellanti, che aveva ad oggetto la negatoria servitutis solo sulla parte della stradella rientrante nella loro proprietà. Il predetto motivo resta assorbito nel rigetto dei primi quattro motivi. 8) Il decimo motivo rileva la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 del D.M. n. 55/2014, in relazione all’art. 13 l. n. 247/2012 ed in relazione all’art. 91 c.p.c., giacché, tenuto conto del valore della causa (€ 1.100), il giudice d’appello avrebbe dovuto applicare lo scaglione più ridotto. Il motivo è inammissibile. 8.1) In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe (Sez. 3, n. 89 del 7 gennaio 2021;
Sez. 3, n. 19989 del 13 luglio 2021;
Sez. 2, n. 14198 del 5 maggio 2022). 8.2) Pertanto il motivo, che non riporta i parametri minimo e massimo rispetto allo scaglione indicato dalle parti e che non consente l’accesso agli atti per il tipo di vizio denunciato - essendo fra l’altro il decreto ministeriale atto di natura meramente amministrativa non soggetto all'applicabilità del principio "iuranovit curia " di cui all'art. 113 c.p.c., da coordinare con l'art. 1 delle disp. prel. c.c. (che non li comprende tra le fonti del diritto), con la conseguenza che spetta alla parte interessata l'onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (Sez. 5, n. 25995 del 15 ottobre 2019) –è carente di autosufficienza. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto –ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 –della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
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