Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 20/08/2004, n. 16381

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 20/08/2004, n. 16381
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16381
Data del deposito : 20 agosto 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - Presidente -
Dott. F C - rel. Consigliere -
Dott. D M A - est. Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
Dott. C F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
METRO METROPOLITANA ROMA SPA - (già CO.TRA.L. gi METROFERRO SPA), in persona del legale rappresentante pro tempore, già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

ROGAZIONISTI

16, presso lo studio dell'avvocato R V, che lo difende, giusta delega in atti, e da ultimo d'ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;



- ricorrente -


contro
C A, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE

DELLE MILIZIE

38, presso lo studio dell'avvocato G A, che lo difende, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 436/01 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 28/05/01 - R.G.N. 2124/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/05/04 dal Consigliere Dott. C F;

udito l'Avvocato A;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. F R che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla Corte d'appello di Roma la Metroferro spa (già Cotral) appellava la sentenza resa il 25 febbraio 2000 dal locale Giudice del lavoro con cui, in accoglimento della domanda proposta da Cecchini Alessandro, era stata condannata a pagare delle differenze retributive maturate per compenso lavoro straordinario. La Corte di Roma, con sentenza 87 marzo/4 luglio 2001 n. 436, rigettava il gravame.
Il Giudice d'appello - premesso che con l'accordo aziendale del 1988, l'orario di ordinario di lavoro, che prima secondo il CCNL era di 39 ore, era stato ridotto a 37 ore settimanali - affermava che il lavoro svolto dopo la trentottesima ora doveva considerarsi come straordinario, giacché come tale era stato retribuito dal Cotral. La frase "fermo restando l'orario contrattuale di lavoro ai fini retributivi" doveva essere interpretata come accordo sulla invarianza della retribuzione pur a fronte del minore orario di lavoro. Nell'accordo peraltro non si faceva alcun riferimento alla struttura del compenso spettante per lavoro straordinario, dal che discendeva l'erroneità del calcolo dello straordinario operato dall'Azienda sulla base di un orario settimanale nomale diverso da quello realmente osservato. Inoltre una interpretazione dell'accordo che consentisse l'applicazione della fittizia base oraria di 39 ore, condurrebbe alla sua nullità per contrasto con l'art. 5 del RDL n. 692 del 1923 che impone di remunerare con la maggiorazione del 10% le
ore di lavoro straordinario, giacché la paga oraria verrebbe così ad essere maggiorata in misura illegittimamente inferiore a quella fissata dalla legge.
Avverso detta sentenza la Metro spa (già Cotral, Metroferro) propone ricorso affidato a tre motivi.
Resiste il lavoratore con controricorso illustrato da memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la Metro spa denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti, 1322-1326, nonché 1419 e 1339 cod. civ. e difetto di motivazione, perché la Corte
territoriale non avrebbe interpretato in senso complessivo la disciplina pattizia, non avendo considerato che la materia dell'orario di lavoro sarebbe esclusa dalla contrattazione aziendale e riservata unicamente a quella nazionale. Con il secondo motivo si denunzia ancora violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni e si reitera la censura di difetto di motivazione, perché le quote orarie, su cui applicare la maggiorazione per lavoro straordinario, si dovrebbero calcolare dividendo la retribuzione per l'orario settimanale stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro, mentre le clausole degli invocati accordi aziendali del 1983 e del 1988 dovrebbero ritenersi nulli ove interpretati come modificativi dell'orario di lavoro, che è materia indisponibile a livello di contrattazione aziendale. Inoltre il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto la salvezza "dell'orario di lavoro ai fini retributivi", comminata dagli accordi aziendali del 1983 e del 1988, comportava secondo l'espressa previsione della volontà delle parti, ossia secondo il tenore letterale delle parole, la permanente vigenza dell'utilizzabilità dell'orario previsto dal CCNL che era di 39 ore. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli 3 e 5 del RDL n. 2328 del 1923, dell'art. 5 RDL 692/1923, in relazione agli artt. 4, 15 e 17 del CCNL del 197 6 nonché degli artt. 1419 e 1339 cod. civ. e difetto di motivazione, perché, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, l'unico limite inderogabile posto dal citato RDL del 1923 sarebbe la maggiorazione del 10% e non già il divisore da assumere (39 in luogo di 37) ed inoltre la disposizione del 1923 faceva riferimento ad un orario di ben 48 ore settimanali.
Il ricorso merita accoglimento.
È effettivamente rinvenibile la violazione del canone di ermeneutica contrattuale denunziato con il secondo motivo, avendo il Tribunale interpretato la clausola "fermo restando l'orario contrattuale di lavoro ai fini retributivi" come clausola di "invarianza" e di salvaguardia della retribuzione a fronte del minore orario di lavoro che veniva introdotto, in attuazione della regola di irriducibilità della retribuzione. Il Tribunale, così facendo, non ha spiegato però il motivo per cui ha riferito l'espressione "fermo restando..." alla retribuzione e non già "all'orario contrattuale di lavoro", come risultava dal tenore letterale. D'altra parte non vi è dubbio che la questione da risolvere attenesse proprio alla esistenza o meno della pattuizione sulla riduzione dell'orario, da utilizzare per il calcolo di istituti retributivi che da esso dipendevano quanto all'ammontare, essendo in questione l'applicazione del divisore 37 ovvero del divisore 39 per determinare la quota oraria, su cui aggiungere poi la maggiorazione per lo straordinario. In altri termini, il Tribunale non spiega perché, se con l'accordo si era inteso ridurre l'orario di lavoro a 37 ore in luogo delle 39 precedenti, le parti ebbero a precisare che doveva restare fermo "l'orario contrattuale". Risulta incongruo cioè che gli stipulanti abbiano inteso pattuire la riduzione dell'orario di lavoro, e nel contempo abbiano voluto riconfermare l'"orario contrattuale". Parimenti erronea si appalesa la sentenza laddove si afferma che una interpretazione della clausola contrattuale sopra diversa da quella propugnata (ossia l'adozione del divisore 39 per calcolare lo straordinario prestato nel limite della 48 ore settimanali) violerebbe la disciplina legale.
La questione posta alla Corte attiene alla interpretazione dell'art. 5 del RDL n. 692, per decidere se il lavoro straordinario che deve essere necessariamente compensato con l'aliquota non inferiore al 10%, sia quello che supera le otto ore giornaliere o le 48 settimanali, ovvero anche quello che comunque supera la durata del lavoro considerata "normale", ossia quella eccedente rispetto all'orario stabilito dalla contrattazione collettiva (nella specie dagli accordi aziendali citati). Com'è noto, l'art. 2108 cod. civ. dispone che in caso di prolungamento dell'orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario.
Fino all'entrata in vigore dell'art. 13 della legge 24 giugno 1997 n. 196, che l'ha fissato in quaranta ore settimanale (cfr.
successivamente l'art. 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66) nessuna norma di legge determinava la durata dell'orario normale, il quale era quindi rimesso all'autonomia collettiva. Lo stesso art. 2108 dispone poi che "i limiti entro i quali sono consentiti il lavoro straordinario...., la durata di essi e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge". Tra le norme di legge si annovera il RDL 15 marzo 1923 n. 692 il quale, come risulta dall'epigrafe, è "relativo alla limitazione dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerci di qualsiasi natura". Si tratta quindi, di normativa non attinente propriamente all'orario di lavoro, ma alle età sue "limitazioni". Il personale Cotral è disciplinato dal RDL 19 ottobre 1923 n. 2328, recante "Disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione", che ricalca, agli artt. 1 e 5, quanto rispettivamente previsto nel citato RDL n. 692 dagli artt, 1 e 5, onde la interpretazione verrà fondata anche su queste ultime disposizioni, in quanto aventi all'incirca lo stesso tenore e sicuramente la medesima ratio.
Dispone l'art. 1 del RDL n. 692 che "la durata massima normale della giornata di lavoro degli operai e impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura anche se abbiano carattere di Istituti di insegnamento professionale o di beneficenza, come pure negli uffici, nei lavori pubblici, negli ospedali, ovunque è prestato un lavoro salariato o stipendiato alle dipendenze o sotto il controllo diretto altrui, non potrà eccedere le otto ore al giorno o le 48 ore settimanali di lavoro effettivo".
Si rileva in primo luogo che la disposizione non determina l'orario "normale", ma l'orario normale "massimo" e cioè quello che di regola non si può superare. L'orario "insuperabile" (otto ore giornaliere e 48 settimanale) si considera "normale" poiché vale in via generale, salvo le deroghe consentite dal Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale;
così prevede l'art. 11 del RDL n. 692, sulla cui base sono stati emanati nel corso del tempo vari decreti ministeriali contenenti le tabelle che indicano "le industrie e le lavorazioni per le quali, è consentita la facoltà di superare le 8 ore giornaliere o le 48 ore settimanali di lavoro", tale è il titolo del primo provvedimento in materia, ossia l'RD 10 settembre 1923 n. 1957, a cui ne sono seguiti altri nel corso del tempo.
L'art. 5 del RD n. 692 dispone come segue: "È autorizzata, quando vi sia accordo tra le parti, l'aggiunta alla giornata normale di lavoro, di cui nell'art. 1, di un periodo straordinario che non superi le due ore al giorno e le dodici ore settimanali, o una durata media equivalente entro un periodo determinato, a condizione, in ogni caso, che il lavoro straordinario venga computato a parte e remunerato con un aumento di paga, su quella del lavoro ordinario, non inferiore al 10% o con un aumento corrispondente sui cottimi".
Detta disposizione prevede dunque che il lavoro straordinario sia "in ogni caso" compensato con l'aumento del 10% rispetto alla retribuzione ordinaria.
Non si dubita (cfr. Cass. 2 dicembre 1991 n. 12913 e 17 dicembre 2000 n. 1773) che lavoro straordinario non sia solo quello che comincia a decorrere dopo l'orario legale (otto ore giornaliere o quarantotto settimanali), ma che sia rilevante l'orario convenzionale - necessariamente inferiore - oltre il quale il contratto collettivo ovvero quello individuale prevede la maggiorazione per le ore prestate in eccedenza.
Ma ciò non risolve la questione da decidere che è quella, come già detto, di verificare se le disposizioni del 1923 impongano l'applicazione della maggiorazione non inferiore al 10%, a "qualunque" tipo di straordinario prestato, ossia anche quando derivi non già dal superamento dell'orario "massimo normale di lavoro" determinato dall'art. 1 sopra riportato, ma dal superamento dell'orario inferiore, che viene considerato come "normale" dall'autonomia privata.
Invero, nonostante l'identica denominazione di "lavoro straordinario", le connotazioni date dalla legge a questo istituto sono ben diverse da quelle conferite dalla contrattazione collettiva o individuale, per cui la maggiorazione nella misura cogente non inferiore al 10% va limitata allo straordinario legale. Lo si desume dai seguenti rilievi.
a) In primo luogo, secondo la legge, il lavoro espletato nel limite delle 8 ore giornaliere o delle 48 settimanali non si configura come straordinario, e quindi non da diritto ad alcuna maggiorazione. Il citato art. 5, infatti, non impone la maggiorazione sullo "straordinario", sì da configurare un rinvio ricettizio a quanto l'autonomia privata può considerare come "straordinario", perché l'aggiunta della maggiorazione non inferiore al 10% si riferisce "alla giornata normale di lavoro di cui nell'art. 1". Ed allora il richiamo all'art.

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