Cass. civ., sez. V trib., sentenza 28/09/2018, n. 23504

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 28/09/2018, n. 23504
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23504
Data del deposito : 28 settembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso-22319-2011 proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO .TATO, che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

I , u1059

EUROSERVICE

2000 SRL;

- intimato -

avverso la sentenza n. 162/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SASSARI, depositata il 16/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. O D M;
udito il R.M. in persona del Sostituto Procuratore -rnerale Dott. S D C che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
udito per il ricorrente l'Avvocato P che si riporta al ricorso.

FATTI DI CAUSA

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna, indicata in epigrafe, con la quale è stato rigettato l'appello erariale, confermata la legittimità del recupero del credito d'imposta previsto per nuovi investimenti in aree svantaggiate dall'art. 8 della legge n. 388 del 2000, utilizzato nel 2002 dalla Euroservice 2000 s.r.l. nonostante la sospensione disposta dal d.l. n. 253 del 2002, e dichiarata la non debenza delle sanzioni e degli interessi, come da subordinata richiesta della contribuente, sussistendo obiettive condizioni d'incertezza sulla portata della norma tributaria, a causa della materiale impossibilità di tempestiva conoscenza dell'entrata in vigore del d.l. 253 del 2002, art. 1, che a decorrere dal 13 novembre 2002 (data di pubblicazione del decreto) ha appunto sospeso l'utilizzabilità del credito d'imposta in esame. Il giudice d'appello osservava, in particolare, che "non sono dovuti invece sanzioni ed interessi ai sensi dell'art. 10, commi 2 e 3 della L. n. 212/2000, il quale ha introdotto un motivo di tutela del cittadino nel suo confronto collaborativo con l'A.F., quando la sua azione sia improntata a buona fede, a causa della novità del D.L. 253/2002, rispetto alle norme vigenti che regolavano l'utilizzo del credito d'imposta, ha trovato incertezza nella sua esatta applicazione". La intimata non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.,p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per ultrapetizione, giacché il giudice di appello non ha considerato che la contribuente non aveva avanzato alcuna domanda in ordine agli interessi, essendosi limitata a chiedere, in via subordinata, di dichiarare non dovute le sanzioni irrogate dall'Ufficio. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 2, I. n. 212 del 2000, 62, comma 1, lett. a), I. 289 del 2002, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto risulta inconferente il richiamo, contenuto nell'impugnata sentenza, alla disposizione che esclude l'irrogazione di sanzioni ed interessi nel caso, qui non sussistente, in cui il contribuente si sarebbe dovuto conformare ad un atto dell'Amministrazione finanziaria. i Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 3, I. n. 212 del 2000, 62, comma 1, lett. a), I. 289 del 2002, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto nella fattispecie non ricorrono obiettive condizioni di incertezza circa la portata e l'ambito di applicazione della norma tributaria, atteso che l'art. 1 del citato d.l. n. 253 del 2002 dispone con chiarezza che i soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo, anteriormente alla data del 8/7/2002, devono sospendere la fruizione degli ulteriori utilizzi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, e la riprendono a decorrere dal 31/3/2003 (così nel citato d.l. n. 253). Con il quarto motivo denuncia la insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché il giudice di appello evoca erroneamente il principio di buona fede e la nozione di incertezza normativa in fattispecie nella quale la contribuente ben avrebbe potuto ovviare alla presentazione, intervenuta il 13/11/2002, del modello F24 a saldo zero, onde evitare l'applicazione di sanzioni ed interessi. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di impugnazione - censure scrutinabili congiuntamente in quanto logicamente connesse - sono fondati e meritano accoglimento, ciò che rende superfluo l'esame del primo motivo e ne determina l'assorbimento. Secondo un consolidato principio affermato da questa Corte, l'art. 62, comma 7, I. n. 289 del 2002, che ha disposto, con effetto dal 10 gennaio 2003, l'abrogazione degli articoli 1 e 2 del d.l. n. 253 del 2002, prima della scadenza dei termini per la conversione in legge, facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici già sorti, ha soltanto impedito la protrazione dell'efficacia provvisoria delle predette disposizioni fino al termine naturale della mancata conversione in legge, senza alcuna applicazione retroattiva di disposizioni tributarie, vietata dall'art. 3, I. n. 212 del 2000, e, pertanto, in base alla clausola di salvezza degli effetti prodottisi nel vigore del decreto-legge non convertito, legittimamente l'Amministrazione finanziaria provvedeva al recupero del credito di imposta utilizzato dalla contribuente in compensazione, nonostante la sospensione della fruizione disposta con il citato d.l. n. 253 del 2002 (Cass. n. 24251/2011, n. 5324/2012, n. 4815/2014, n. 963/2015 ed altre). Orbene, la contribuente aveva utilizzato in compensazione il credito (mediante Modello F24) il 13/11/2002, giorno dell'entrata in vigore dell'art. 1 del d.l. n. 253/02, con la conseguenza che la sospensione dell'utilizzabilità del credito era efficace già dall'inizio di quel giorno, e ciò nell'ambito di una evoluzione della materia delle agevolazioni in questione volta anche a favorire la prevenzione di comportamenti elusivi, caratterizzata, come questa Corte non ha mancato di sottolineare, da una "normale successione di leggi, non infrequente nella decretazione d'urgenza e nella legislazione fiscale", che porta ad escludere, nel caso di specie, "l'incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria (Statuto, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, comma 3, art. 8)," allorché "postula una condizione d'inevitabile incertezza sul contenuto, sull'oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d'interpretazione normativa (Cass. 24670/2007)", ipotesi che ricorre - normalmente - nei casi di disciplina normativa articolata "in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione", gravando, peraltro, sul contribuente l'onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione (Cass. n. 5324/2012, n. 22890/2006, n. 22252/2011). Contrasta, del resto, con il riconoscimento di un comportamento di buona fede del contribuente la circostanza che quest'ultimo non avesse neppure successivamente emendato la dichiarazione dell'errore commesso. La sentenza impugnata va, conseguentemente, cassata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa con l'integrale rigetto del ricorso originario della contribuente, essendo dovuti tanto le sanzioni, che gli interessi di mora. Il consolidarsi della richiamata giurisprudenza in epoca successiva alla presentazione del ricorso costituisce motivo per la compensazione delle spese dell'intero giudizio.
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