Cass. civ., sez. II, sentenza 29/11/2022, n. 35067

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 29/11/2022, n. 35067
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 35067
Data del deposito : 29 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 6868-2016 proposto da: S S CTELVETERE, difensore di se medesimo e di NESTORESERGIO CASTELVETERE, elettivamente domiciliati in Roma, via Paolo Emilio 7, presso lo studio dell’avv. S S C;
-ricorrenti-

contro

GIOFFRE' GERLANDO, elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie 114, presso lo studio dell'avvocato L P, che lo rappresenta e difende;
-controricorrente - ricorrente incidentale – ANTONIO SCALFARI, SERGIO CASTELVETERE ARRIGO, TERESITA BASILE, BASILE MADDALENA, BASILE GIUSEPPINA, BASILE DENICO ANTONIO, GIULIANA ANDREOTTI LORIA, RACHELE, ANDREOTTI LORIA, FERRARI GREGORIO, DE VITA FRANCESCO, MAROTTA VINCENZO, MAROTTA ROSARIA, MAROTTA ANGELA, LACQUANITI ROSA MARIA, LACQUANITI MARIA LUIGIA, LACQUANITI MARIA LETIZIA, GHIANNI DORA;
-intimati- avverso la sentenza n. 982/2015 della Corte d'appello di Catanzaro, depositata il 17/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2022 dal Consigliere Dott. G T;
letta la relazione scritta del Sostituto Procuratore Generale dott. R M che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

FATTI DI CAUSA

1. Ai fini della migliore comprensione dei fatti di causa è opportuno riassumere la vicenda sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’appello, integrata, per quanto occorre, con elementi pacifici risultanti dagli scritti di parte.

2. Il giorno 5 ottobre 1903 muore G T Senior. Lascia i figli G T Junior, M, T e R Senior (esiste un altro figlio Antonio, ma il fatto è ininfluente o perché premorto senza discendenti o perché deceduto lasciando eredi i fratelli). G T Senior, con atto del 1° febbraio del 1882 per notaio Citanna, aveva trasferito al figlio G J la piena proprietà di alcuni beni, che sono indicati a pag. 46 della sentenza impugnata (prime tre righe). Il defunto dispose poi dei propri beni con testamento olografo del 27 dicembre 1902, lasciando al figlio G J l’intera quota disponibile, «comprendendovi quanto disposi con i capitoli matrimoniali per notar Citanna, addì 1° febbraio 1882 [...]». La quota di T viene liquidata mediante attribuzione del controvalore in favore degli eredi di lei. A seguito di tale liquidazione i titolari di diritti sull’eredità di G S rimangono G, M e R. Interviene fra M e il fratello G un atto con il quale M cede a G ipropri diritti sull’eredità paterna (atto del 30 ottobre 1903). In relazione a tale atto la Corte d’appello ha accertato che esso fu poi consensualmente risolto a seguito di scrittura privata inter partesdel 1° maggio 1904. Nella sentenza impugnata si dà per acquisito che, deceduta M, i di lei diritti sui beni ereditati da padre sono stati acquistati in pari misura dai fratelli G J e R. In considerazione di ciò la Corte d’appello riconosce che i beni relitti di G S, in seguito alle vicende di cui sopra, erano divenuti oggetto di comunione in parti uguali fra G J e R. Essi, pertanto, sono stati compresi nella successione di G J (quella oggetto di causa) per la quota di un mezzo. Sono compresi invece per intero i beni trasferiti da G S a G J con l’atto del 1882 (supra). Si dà atto nella sentenza impugnata che R è deceduta, avendo nominato erede testamentario il nipote G, figlio di G J (testamento del 24 settembre 1910).

3.Il giorno 5 ottobre 1910 è deceduto G J, lasciando otto figli: 1) M F A (nubile e senza figli);
2) T (coniugata con N S d C);
3) F (nubile e senza figli);
4) R (coniugata con V M);
5) A M d E (nubile e senza figli);
6) L (coniugata con A L);
7) G (celibe e senza figli);
8) S (coniugato con M C M). La Corte d’appello ha accertato che T e R hanno rinunziato all’eredità: la prima con dichiarazione ricevuta dal cancelliere della Pretura di Pizzo il 25 febbraio 1911;
la seconda con dichiarazione ricevuta dal medesimo cancelliere l’11 dicembre 1911. Ha rinunciato all’eredità anche L, con atto per notar Curcio di Pizzo del 14 maggio 1916. Per effetto delle dette rinunzie la quota delle rinunzianti, secondo la Corte d’appello, si è accresciuta ai fratelli, divenuti così tito lari della quota di 1/5 ciascuno dell’eredità del padre (secondo il codice del 1865, in ipotesi di rinunzia, non operava la rappresentazione a favore dei discendenti: artt. 946 e 947). È stato ancora accertato che G, deceduto il 9 dicembre 1947, ha attribuito la propria quota di eredità con testamento al fratello S. M F A, deceduta il 18 dicembre 1948, ha attribuito anch’ella la propria quota al medesimo S. La Corte d’appello, tenuto conto di tali vicende, attribuiscea S la quota di 3/5 dell’eredità paterna. S è deceduto il 19 febbraio 1981, lasciando 1/3 del patrimonio alla sorella L e 2/3al coniuge M C M.

4. Il 9 giugno 1976 è deceduta F ed è pubblicato un testamento olografo della stessa, con il quale risulta nominato erede il fratello S. La Corte d’appello ha considerato la successione di F quale successione legittima, argomentando che il testamento in favore di S, disconosciuto, non era stato oggetto di istanza di verificazione. La Corte d’appello, quindi, ha attribuito la quota spettante a F ai sette fratelli (o ai loro eredi), i quali avrebbero acquistato, in forza di tale successione, la quota di 1/35 ciascuno (1/5 diviso 7). È quindi avvenuto, sempre secondo la ricostruzione della Corte d’appello, che gli eredi di S, titolare della quota di 3/5 (21/35), hanno visto la quota del loro dante causa accresciuta di ulteriori 3/35, essendo S anche erede testamentario di G e M F A: in totale a S è stata riconosciuta la quota 24/35. Per effetto della successione legittima di F i diritti dei coeredi in concorso sarebbero così stabiliti: 24/35 S;
8/35 E (1/5 (7/35) originari, oltra la quota di 1/35 acquisita in forza della successione di F);
1/35 ciascuno R, T e L, le quali, avendo rinunciato all’eredità del padre, potevano vantare solo i diritti che avrebbero acquistato a seguito della successione intestata di F. Ancora con riferimento alla successione di F risulta da quanto appena detto che la Corte d’appello ha fatto operare la rappresentazione non solo in favore dei fratelli viventi e dei discendenti di quelli premorti, ma, genericamente, in favore dei “successori” (pagg. 50, 51 della sentenza), inclusi i fratelli premorti senza lasciare discendenti ( M F A e G). Tale contenuto della decisione sembra porsi oggettivamente contrasto con le norme in tema di rappresentazione, che opera in favore dei discendenti del figlio o del fratello che non abbia potuto o voluto accettare(art. 467, 468 c.c.). I rappresentanti succedono al de cuius direttamente iure proprio e non quali eredi del rappresentato (Cass.n. 594/2015). Esso non ha costituito oggetto di censura;
rimane tuttavia superato e assorbito dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale (infra).

5. La Corte d’appello ha poi accertato che, in forza di ulteriori vicende traslative, la quota già appartenuta a S è stata infine acquistata da G G, il quale ha poi acquistato dalle eredi di L la quota di 1/35 a questa spettante (cioè la quota a lei pervenuta a seguito della successione intestata della sorella F): in totale il G avrebbe la quota di 25/35. E ha trasmesso la sua quota a E M, che l’ha a sua volta trasferito ad A S. T ha trasmesso la sua quota di 1/35 ai propri eredi. Si avrebbe quindi questa situazione: G G titolare della quota di 25/35;
E, e per essa il suo erede A S, 8/35;
1/35 gli eredi di R e 1/35 gli eredi di T (S C, Eugenio S C e Nestore S C). La Corte d’appello (pag. 5 1 ), però, ha ritenuto di dovere attribuire a G G anche la quota di 1/35 di R, che sarebbe deceduta il 3 marzo 1924, lasciando erede il nipote G, il quale aveva a sua volta nominato erede S (dante causa mediato del G). Sembra che la Corte d’appello abbia in questa fase confuso R Senior, figlia di G S e sorella di G J, con R Junior, che era figlia del medesimo G J. R deceduta nel 1924, nominando erede con testamento olografo del 24 settembre 2010 il nipote G, è R Senior (sorella di G J) e non è R Junior (figlia di G J), come è detto chiaramente a pag. 21 della sentenza e come è riconosciuto anche a pag. 8 del controricorso. Si osserva che gli eredi di R Junior hanno partecipato al giudizio nelle fasi di merito. Anche tale contenuto della decisione, riguardando comunque la successione di F, rimane superato dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale.

5. La causa è stata iniziata da Morelli Erminia dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia, che ha pronunziato sentenza con la quale è stata rigettata la domanda del G, il quale aveva rivendicato la proprietà esclusiva dell’intero compendio ereditario in forza di usucapione;
quindi ha statuito sulla composizione della massa e la misura delle quote, rimettendo le parti innanzi al giudice istruttore per il completamento delle operazioni divisionali. La Corte d’appello, decidendo sulle reciproche impugnazioni proposte contro la sentenza, ha riformato in parte la decisione, precisando che sono compresi nell’asse la proprietà intera dei beni oggetto dell’atto per notaio Citanna del 1882 e la quota di un mezzo dei beni acquistati da G J in forza della successione testamentaria del padre G S. Essa ha confermato il rigetto della domanda del Giuffrè, condividendo la valutazione del primo giudice, il quale aveva escluso che fosse stata data la prova del possesso esclusivo del compendio comune. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro S C e N C hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Ha resistito con controricorso G G, proponendo ricorso incidentale affidato a duemotivi. Tutti gli altri soggetti che hanno preso parte al giudizio di merito, compresi quelli nei cui confronti è stata ordinata la rinnovazione della notificazione del ricorso con ordinanza di questa Corte del 10 maggio 2021, sono rimasti intimati. La causa, in un primo tempo chiamata in adunanza camerale, è stata dapprima rinviata a nuovo ruolo per il rinnovo della notificazione nei confronti di alcuni degli intimati, epoi rimessa alla pubblica udienza. I ricorrenti principali e il ricorrente incidentale hanno depositato memoria sia in prossimità dell’udienza camerale sia in vista della pubblica udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE A) 1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, comma 2, c.c. 519 c.c., 23 disposizioni sulla legge in generale c.c., 944, comma 1, Codice Pisanelli (1865), 112, comma 2, c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.». Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe consentito la prova per presunzione della rinunzia all’eredità, non consentita in base alle norme del codice del 1865. Il motivo è infondato. Ex art. 944 del codice del 1865: «La rinunzia all’eredità non si presume. Essa non può farsi che con una dichiarazione presso la cancelleria del mandamento in cui si è aperta la successione, sopra un registro tenuto all’uopo». La dottrina formatasi sul codice del 1865, nel commentare la norma, osservava che nel diritto romano era ammessa la rinunzia non solo espressa ma anche tacita. Ed alcuni scrittori di diritto comune ravvisarono la rinunzia tacita, per esempio se l’erede si fosse fatto pagare l’intero credito che aveva contro il defunto, oppure se alcuno avesse rinunziato a intervenire nella divisione ed avesse tollerato che gli eredi dividessero l’eredità senza il suo intervento. Ma nel diritto consuetudinario francese prevalse l’opinione che non dovesse ammettersi la rinunzia tacita. Non fu ritenuta valida la rinunzia se non fosse stata fatta in forma solenne. Per escludere pertanto ogni dubbio circa la possibilitàdi rinunzia desunta da facta concludentia , il codice del 1865, nell’art. 844, dispose: «La rinunzia non si presume». Con riferimento alla posizione nell’eredità di G J delle figlie T e R, la Corte d’appello non ha affatto riconosciuto che, secondo il codice del 1865, la rinunzia all’eredità fosse valida anche se fatta senza la forma prescritta. Con riguardo a questa questione essa ha innanzitutto richiamato la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tribunale aveva riconosciuto l’esistenza delle «rinunce all’eredità [...] effettuate da T, con verbale redatto presso la cancelleria della Pretura di Pizzo il 25 febbraio 2011, e da R, con verbale redatto presso la cancelleria in data 11 dicembre 2011 [...]»;
la corte dimerito ha poi proseguito nella propria analisi, ponendo in luce che la prova delle rinunzie era a carico del G, interessato a farle valere «al fine di delimitare - in senso a lui più favorevole – il novero dei soggetti aventi diritto alla divisio ne dell’eredità relitta di G Trantacapilli Junior;
quindi, essendo stato «acclarato che l’impossibilità di accedere agli atti della Pretura di Pizzo(si veda la certificazione in tal senso) abbia inibito il radice la dimostrazione diretta del dato», ha posto l’accento su una pluralità di elementi, che componevano «un quadro di elementi indiziari che conduce a ritenere che le rinunce furono effettivamente rese». Tale ragionamento non rileva alcun errore di diritto, dovendosi riconoscere incondizionatamente che il primo comma dell’art. 844 del codice del 1865 escludeva la validità della rinunzia tacita, ma non vietava, quando la parte si fosse trovata nell’impossibilità di produrre il relativo verbale, che si potesse provare per presunzioni che la rinunzia formale era avvenuta. La problematica a cui accenna il Procuratore generale nelle proprie conclusioni scritte, sull’ammissibilità nei rapporti inter partes di una rinunzia per facta concludentia (Cass. n. 3500/1975), non viene minimamente in considerazione nel caso in esame. La Corte calabrese ha fatto applicazione di un principio diverso e pienamente condivisibile, e cioè che, ferma la regola che la rinunzia all’eredità non può essere tacita, ciò non toglie che, dal punto di vista dell’onere probatorio, l’esistenza di una dichiarazione di rinunzia può per essere provata con ogni mezzo, qualora la scrittura (posta in essere con la forma prescritta) che la contiene sia andata smarrita. Sono conseguentemente irrilevanti le considerazioni proposte dai ricorrenti con la memoria in ordine al difetto dei presupposti di applicabilità del principio richiamato dal Procuratore Generale. È assorbita la seconda parte del motivo in esame, con la quale si indicano alcune implicazioni che i giudici di merito avrebbero dovuto trarre in conseguenza dell’ammissione di T e R al concorso sull’eredità del padre. Si tratta, infatti, di implicazioni che suppongono la fondatezza della censura sulla inesistenza di una valida rinunzia da parte delle due chiamate: quindi un presupposto che non si è verificato.
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