Cass. civ., SS.UU., sentenza 02/05/2014, n. 9558
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Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Primo Presidente f.f. -
Dott. A M - Presidente Sezione -
Dott. R R - Presidente Sezione -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. P C - Consigliere -
Dott. D C V - Consigliere -
Dott. S G M R - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2556/2012 proposto da:
T A, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato F F, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MSTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di ANCONA depositato il 08/08/2011, r.g. n. 997/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2013 dal Consigliere Dott. M R S G;
udito l'Avvocato G P dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con ricorso depositato il 10 dicembre 2009 presso la Corte d'appello di Ancona, Tacchella Adriana, anche quale erede del coniuge Marrapese Antonio, propose, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non
patrimoniale sofferto a causa della lamentata violazione del principio di ragionevole durata della procedura relativa al fallimento dell'Azienda Agricola Immobiliare Volta s.n.c. nonché a quello personale dei suoi due soci, la ricorrente e il coniuge della stessa, precisando che il fallimento era stato dichiarato con sentenza del 10 novembre 1992 e la relativa procedura non era stata ancora definita.
Per la trattazione del ricorso venne fissata l'adunanza camerale del 2 marzo 2011, senza che al riguardo fosse stata data alcuna comunicazione, da parte della cancelleria del giudice adito, al difensore della ricorrente che, trovatosi casualmente in udienza e sentita chiamare la causa, chiese il rinvio della stessa e la concessione di un termine per notificare gli atti.
2. - La Corte d'appello di Ancona, con decreto depositato in data 8 agosto 2011, dichiarò improcedibile il ricorso. 3. - Avverso tale decreto la Tacchella ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato anche da successiva memoria, con il quale si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, nn. 4 e 6, e degli artt. 136, 737 c.p.c. e segg., art. 337 c.p.c., nonché dell'art. 12 preleggi, comma 2. La ricorrente si duole che la cancelleria abbia omesso di comunicarle il provvedimento di fissazione dell'udienza camerale e contesta la motivazione del provvedimento impugnato secondo cui mancherebbe qualsiasi disposizione normativa che preveda, in tema di ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001, e, in generale, di procedimento in camera di consiglio, la comunicazione al ricorrente dell'adozione del decreto di fissazione di udienza. Assume la Tacchella che nel caso in esame si sarebbe dovuto far ricorso all'applicazione, per analogia, dell'art. 377 c.p.c., e che comunque il cancelliere avrebbe dovuto dare avviso all'ignara ricorrente, evidenziando peraltro che era stato violato l'art. 3 della legge n. 89 del 2001, essendo durato il procedimento un anno ed otto mesi, ben
oltre, quindi, il termine di quattro mesi previsto dalla legge. Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia. 4. - La Seconda Sezione civile della Corte, cui il ricorso era stato assegnato, ritenuto che lo stesso abbia veicolato una questione di massima di particolare importanza, con ordinanza interelocutoria n. 1491 del 2013, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso a queste Sezioni unite. Il Primo Presidente ha disposto in tal senso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il ricorso all'esame sostanzialmente pone, con l'illustrato motivo, attraverso la denuncia della omessa comunicazione al ricorrente, da parte della cancelleria del giudice adito, del decreto di fissazione dell'udienza camerale con contestuale fissazione del termine per la notifica del ricorso e del decreto alla controparte, la questione relativa alla possibilità di concedere un nuovo termine per la notifica del ricorso volto al riconoscimento dell'equo indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, nel caso in cui il ricorrente non vi abbia provveduto nel termine originariamente assegnatogli con il decreto, pure da notificare nel medesimo termine alla controparte.
1.1. - Premesso che dalla giurisprudenza di merito che segue l'orientamento restrittivo, l'omessa detta notifica nei termini viene talvolta sanzionata con l'improcedibilità, talaltra con l'inammissibilità del ricorso, altre volte ancora con la declaratoria di non luogo a provvedere, la ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione civile n. 1491 del 2013 richiama i due contrapposti orientamenti rinvenibili sulla illustrata questione nella giurisprudenza di legittimità.
Nell'ambito dell'orientamento più restrittivo, tra le altre, si inserisce da ultimo la sentenza 29 ottobre 2012, n. 18580, Sezione Seconda (non massimata), la quale si è espressa in relazione ad una fattispecie in cui i ricorrenti, che chiedevano la equa riparazione da irragionevole durata di un processo, avevano omesso di effettuare la notifica dei ricorsi (poi riuniti) e dei relativi decreti di fissazione dell'udienza nel termine originariamente indicato ed avevano, altresì, omesso di chiedere, prima della scadenza del termine all'uopo stabilito, un nuovo termine per la detta notifica, provvedendo poi autonomamente ad effettuare una nuova notificazione prima dell'udienza fissata, e depositando, nel corso di detta udienza, la copia dei ricorsi e dei decreti notificati oltre il termine originariamente stabilito.
In tale situazione, questa Corte ha ritenuto che i ricorsi, poi riuniti, fossero divenuti "improcedibili, trovando applicazione il principio per cui nei procedimenti che si svolgono con il rito camerale... l'omessa notificazione del ricorso nel termine assegnato nel decreto di fissazione d'udienza determina l'improcedibilità dell'appello, in quanto, pur trattandosi di un termine ordinatorio ex art. 154 c.p.c., si determina la decadenza dell'attività processuale cui è finalizzato, in mancanza d'istanza di proroga prima della scadenza. Tale sanzione, come si è già chiarito, non è esclusa dalla mancata comunicazione a cura della cancelleria del decreto di fissazione d'udienza.
Sempre nell'ambito dell'orientamento restrittivo, la predetta ordinanza interlocutoria richiama altresì l'ordinanza del 10 novembre 2011, n. 23456, Sezione Seconda, che, in relazione ai procedimenti camerali - in cui rientrano anche quelli relativi alle domande di equa riparazione avanzate ai sensi della c.d. legge Pinto, nel testo ratione temporis applicabile -, ha affermato il seguente principio: "Nei procedimenti camerali attivati su ricorso, il giudice adito è tenuto a fissare con decreto l'udienza di comparizione con termine per la notifica del ricorso stesso e del decreto alle controparti, ed è, altresì, tenuto al deposito di tale provvedimento, ma non anche a disporne la sua comunicazione a chicchessia, non sussistendo, infatti, un obbligo del giudice normativamente disciplinato in tal senso, ed essendo, invece, onerata la parte ricorrente di attivarsi per prenderne cognizione in cancelleria. Peraltro, in caso di impossibilità di conformarsi tempestivamente al decreto adottato dal giudice, il ricorrente può esperire le iniziative necessarie per l'ottenimento del possibile differimento dell'udienza e del termine per gli adempimenti notificatori, a condizione che tale attività sia compiuta prima della celebrazione dell'udienza già predeterminata e dell'adozione definitiva dei relativi provvedimenti (Principio enunciato in riferimento ad un giudizio di opposizione avverso il decreto di liquidazione delle competenze di un perito traduttore proposto dalla Procura generale presso la Corte d'appello)". In senso conforme alla citata ordinanza si richiama anche la sentenza della Prima Sezione del 6 ottobre 2005, n. 19514. 1.2. - Quanto all'orientamento meno restrittivo, la richiamata ordinanza interlocutoria segnala, tra le altre, Cass., Sez. 2, 2 febbraio 2011, n. 2442, che, in tema di opposizione al provvedimento di liquidazione del compenso al difensore, ha affermato che la mancata tempestiva notifica dell'atto introduttivo e del decreto di fissazione della comparizione delle parti - disposta della L. n. 794 del 1942, ex art. 29, cui fa rinvio il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, comma 2, non da luogo, in difetto di espressa comminatoria,
all'inammissibilità dell'opposizione, posto che il rapporto cittadino-giudice si instaura con il tempestivo deposito del ricorso, con cui si realizza l'editio actionis, laddove la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza costituisce momento esterno e successivo alla fattispecie processuale introduttiva del giudizio di opposizione, diretta ad instaurare il contraddittorio, con la conseguenza che, in caso di mancato rispetto del termine assegnato per il compimento della notifica, sorge - in difetto di spontanea costituzione del resistente - il dovere del giudice di disporre, al fine di assicurare l'effettiva instaurazione del contraddittorio, l'ordine di rinnovazione della notifica, ai sensi dell'art. 291 c.p.c., con l'assegnazione di un nuovo termine che assume, per espressa previsione legislativa, carattere perentorio. Tale orientamento risulta sostanzialmente ribadito, in relazione al medesimo tema, da Cass., sez. 2, 27 dicembre 2012, n. 28923, secondo cui nel caso di mancata comparizione dell'opponente, il giudice non può dichiarare l'improcedibilità del ricorso, ma deve disporre ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c., giacché, trattandosi di procedimento camerale, disciplinato in base alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 29 (cui rinvia il citato art. 170), il mero deposito del
ricorso è idoneo ad attivare il giudizio e ad investire il giudice adito del potere-dovere di decidere, senza necessità di ulteriori atti di impulso processuale.
Nel medesimo filone giurisprudenziale si inserisce la sentenza della Prima Sezione dell'8 maggio 2012, n. 7020, secondo cui "In tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non è perentorio e, pertanto, è ammessa la concessione di un nuovo termine, posto che la L. 29 marzo 2001, n. 89, all'art. 3, si limita a prevedere il termine dilatorio di comparizione di quindici giorni per consentire la difesa all'Amministrazione, e ricollega, all'art. 4, la sanzione dell'improponibilità della domanda soltanto al deposito del ricorso oltre il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha concluso il procedimento presupposto". 2. - Alla luce di tale variegato atteggiarsi della giurisprudenza di legittimità sulla peculiare tematica esaminata del procedimento relativo all'equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, del rilievo che sul punto assume il principio di ragionevole durata del processo, ancor più pregnante in procedimenti come quello all'esame, e tenuto altresì conto che, sottesi al tema in parola, sussistono altri aspetti problematici di rilevante importanza e peculiare spessore, quali quello, sollevato dalla stessa ricorrente, relativo alla necessità o meno della comunicazione alla parte, ad opera della cancelleria, del deposito del decreto di fissazione dell'udienza e del termine per la notifica del ricorso e del detto decreto, quelli attinenti alla tematica di non poco momento della sanatoria delle nullità, dell'inesistenza e della omissione di tale notificazione, la questione sollevata con il ricorso all'esame è stata ritenuta meritevole di essere qualificata come questione di massima di particolare importanza.
3. - Il ricorso merita accoglimento nei termini e nei limiti che seguono.
3.1. - Si deve anzitutto sgombrare il campo dal dubbio che si annida nel ricorso là dove esso risulta porre il problema circa la sussistenza o meno dell'obbligo della cancelleria di comunicare al ricorrente, nei procedimenti di equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, del decreto di fissazione dell'udienza camerale.
Un siffatto obbligo non risulta, invero, imposto da alcuna disposizione della predetta legge. E, in via generale, la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che, nei procedimenti camerali, il giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporne la relativa comunicazione, incombendo sul ricorrente l'obbligo di attivarsi per prendere cognizione dell'esito del proprio ricorso (v. Cass., sent. n. 27086 del 2011;v. anche la sentenza 29 ottobre 2012, n. 18580, Sezione Seconda, richiamata nella ordinanza di rimessione n. 1491 del 2013). 3.2. - Ciò posto, giova muovere, nell'esame della questione sottoposta all'esame della Corte, dal dictum della sentenza di queste Sezioni Unite del 30 luglio 2008, n. 20604, cui pure fa riferimento la predetta ordinanza interlocutoria, e che risulta essere seguita da diversi giudici di merito anche in relazione ai procedimenti di equa riparazione di cui alla c.d. legge Pinto.
Tale sentenza ha affermato il principio secondo il quale "Nel rito del lavoro l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, non essendo consentito - alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., comma 2 - al giudice di assegnare, ex art. 421 cod. proc. civ., all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c.". Tale principio è stato dalla medesima sentenza ritenuto applicabile al procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro - per identità di ratio di regolamentazione ed ancorché detto procedimento debba considerarsi un ordinario processo di cognizione anziché un mezzo di impugnazione - sicché, anche in tale procedimento, la mancata notifica del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione dell'udienza determina l'improcedibilità dell'opposizione e con essa l'esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
3.3. - Le Sezioni Unite - chiamate a rimeditare la statuizione giurisprudenziale (Cass., sez. un., 29 luglio 1996, n. 6841 e Cass., sez. un., 26 ottobre 1996, n. 9331), secondo cui nei processi assoggettati al rito del lavoro la proposizione dell'appello e/o dell'opposizione a decreto ingiuntivo si perfeziona con il deposito del ricorso, per cui i vizi della sua notificazione al resistente e/o all'opposto non si comunicano all'atto di impugnazione e/o di opposizione all'ingiunzione, dovendo il giudice assegnare al ricorrente un nuovo termine, necessariamente perentorio, entro il quale rinnovare la notifica -, nell'enunciare i riportati principi, hanno evidenziato che "nel processo del lavoro si è indubbiamente in presenza di un sistema, caratterizzato da una propria fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, che è suscettibile di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in ius, cui non può pervenirsi attraverso l'applicazione degli artt. 291 e 415 c.p.c., giacché non è pensabile la rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, non esistendo una disposizione che consenta al giudice di fissare un termine per la notificazione, mai effettuata, del ricorso e del decreto presidenziale, e non essendo consentito, nel silenzio normativo, allungare - con condotte omissive prive di valida giustificazione e talvolta in modo sensibile, come nel caso in esame - i tempi del processo sì da disattendere il principio della sua ragionevole durata".
3.4. - Affermano le Sezioni Unite che l'orientamento da esse seguito con la sentenza in parola risulta altresì obbligato, in ragione di una doverosa interpretazione "costituzionalmente orientata del dato normativo", secondo cui la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo impone all'interprete una nuova sensibilità ed un nuovo approccio interpretativo per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo, "deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico-concettuale ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo sulla realizzazione di detto obiettivo costituzionale" (cfr. sul punto, in motivazione, Cass., sez. un., 28 febbraio 2007 n. 4636). 4. - I principi affermati dalla sentenza appena esaminata non sono stati in dottrina unanimemente condivisi. Ed infatti, alla corrente di pensiero favorevole alla radicale insanabilità del vizio della notificazione omessa o inesistente si è contrapposta la tesi della sanabilità del vizio medesimo attraverso la costituzione del convenuto, con diversa efficacia della relativa operatività, rispettivamente ex nunc o ex tunc in ragione della circostanza che il convenuto abbia eccepito o meno il vizio;ovvero quella della possibilità di sanatoria retroattiva della notifica omessa o inesistente, sulla base della centralità nel sistema dell'art. 291 c.p.c.. È un fatto, comunque, che - come già sottolineato - il dictum delle Sezioni unite del 2008 sia stato ritenuto dalla prevalente giurisprudenza di merito e da una parte della giurisprudenza di legittimità applicabile a tutti i procedimenti che iniziano con ricorso, salvo che non sia in modo espresso diversamente previsto. In realtà, il criterio decisivo ai fini dell'adozione della illustrata decisione risulta essere stato quello della valorizzazione massima del giusto processo, ed, in particolare, della ragionevole durata del processo, elevato al rango di principio costituzionale a seguito della riformulazione dell'art. 111 Cost., ad opera della Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, e che ha assunto un valore sopranazionale alla stregua dell'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, così come applicata dalla Corte EDU. Alla realizzazione di tale principio si è uniformata la giurisprudenza degli ultimi anni nell'opera di revisione di precedenti orientamenti in materia processuale, nella consapevolezza che tale novellazione impone un mutamento di prospettiva all'interprete, che, fra le possibili letture di una norma, deve preferire quella più aderente al testo costituzionale. In definitiva, l'art. 111 Cost., costituisce un preciso parametro ai fini della conformità a Costituzione di tutte quelle norme che, direttamente o indirettamente, determinano una ingiustificata durata del processo, fornendo agli addetti ai lavori, ed in primo luogo al giudice, uno strumento per verificare la tenuta e la portata delle singole norme del codice di rito e per garantirne una interpretazione costituzionalmente orientata.
5. - Nella giurisprudenza di legittimità, dunque, il principio della ragionevole durata del processo è divenuto punto costante di riferimento nell'ermeneutica delle norme, in particolare di quelle processuali, e nella individuazione del rispettivo ambito applicativo, conducendo a privilegiare, pur nel doveroso rispetto del dato letterale, opzioni contrarie ad ogni inutile appesantimento del giudizio.
E tuttavia, non può non rilevarsi che il principio del giusto processo, di cui al richiamato art. 6 CEDU, non si esplicita nella sola durata ragionevole dello stesso.
Come sottolineato anche in dottrina, occorre prestare la massima attenzione ad evitare di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore costituzionale della ragionevole durata del processo, a scapito degli altri valori in cui pure si sostanzia il processo equo, quali il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto ad un giudizio. In proposito, la stessa Corte Europea di Strasburgo, pur sottolineando che ad essa non compete un sindacato sulla interpretazione e sull'applicazione della regola emessa a livello nazionale, ammette poi le limitazioni all'accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., ex plurimis, Omar c. Francia, 29 luglio 1998;Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995), affermando in particolare che ritenere l'irricevibilità di un ricorso non articolato con la specificità richiesta configura un eccessivo formalismo (v., tra le altre, Walchi c. Francia, 26 luglio 2007);ovvero ponendo in rilievo la esigenza che le limitazioni al diritto di accesso ad un giudice siano stabilite in modo chiaro e prevedibile, e, dunque, alla stregua di una giurisprudenza non ondivaga o non specifica (v., a titolo esemplificativo, Faltejsek c. Rep. Ceca, 15 agosto 2008). 6. - La soluzione della questione all'odierno esame non può prescindere dagli illustrati principi, avuto riguardo al valore ormai acquisito dalle pronunce EDU nel nostro ordinamento e all'incidenza delle stesse sulla interpretazione del diritto nazionale (v. Corte cost., sentt. n. 368 e 369 del 2007, e successive). 6.1. - Al riguardo, deve anzitutto considerarsi che la L. n. 89 del 2001, che disciplina il procedimento per il conseguimento dell'equo
indennizzo da durata irragionevole del processo, non contiene una previsione legale tipica che sanzioni con il divieto di accesso alla giurisdizione la omessa notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione della udienza. L'art. 3, della citata legge nel testo ratione temporis applicabile nella specie - come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sent. n. 7020 del 2012, cit.) - contempla solo un termine dilatorio di comparizione di quindici giorni per consentire la difesa all'Amministrazione, mentre l'art. 4, prevede la decadenza dalla domanda soltanto nella ipotesi di deposito del ricorso oltre il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha concluso il procedimento la cui irragionevole durata si denuncia.
Nessuna norma di legge, dunque, attribuisce natura perentoria al termine indicato nel decreto di comparizione per la notifica dello stesso e del ricorso introduttivo del procedimento di equa riparazione.
Nè la giurisprudenza, come già rilevato, ha offerto indicazioni del tutto univoche in proposito.
Nemmeno potrebbe farsi valere, ai fini della individuazione della soluzione da dare alla questione in esame, l'interesse alla celerità del procedimento, che non sarebbe di certo pregiudicato da un rinvio contenuto nei tempi strettamente necessari per consentire l'adempimento dell'incombente di cui si tratta. Specie se si consideri che, a differenza di quelli di impugnazione o di opposizione a decreto ingiuntivo, il procedimento di cui si tratta non presuppone dall'altro lato la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un confine temporale rigorosamente predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso.
Infine, va segnalata la differente natura del procedimento per equa riparazione da irragionevole durata del processo nel sistema originario, disegnato dalla L. n. 89 del 2001, nella formulazione previgente alle modifiche di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, convertito, con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 1,
applicabile nella specie ratione temporis, rispetto al processo di appello nel rito del lavoro ed alla opposizione a decreto ingiuntivo, procedimenti di natura impugnatoria, a struttura bifasica, caratterizzati da una fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, produttiva di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in ius. Nel procedimento de quo, invece, la notifica del ricorso assolve unicamente la funzione di consentire la instaurazione del contraddittorio, e si configura come una fase caratterizzata da autonomia formale e strutturale rispetto a quella precedente, di proposizione della domanda, che si esaurisce nel deposito del ricorso. Tale autonomia impedisce, sulla base del principio generale di cui all'art. 159 c.p.c., secondo il quale la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, che la mancata notifica del ricorso possa comportarne la improcedibilità.
È, del resto, proprio alla luce della considerazione della diversa natura dei rispettivi procedimenti che il principio enunciato dalla sentenza n. 20604 del 2008 è già stato ritenuto non applicabile in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento (S.U., sent. n. 25494 del 2009), di impugnazione di lodo arbitrale (Cass., sent. n. 9394 del 2011), di opposizione al decreto di liquidazione degli onorari al difensore (Cass., sent. n. 2442 del 2011), di procedimenti camerali di cui all'art. 38 disp. att. c.c. (Cass., sent. n. 12983 del 2009). 6.2. - Le predette circostanze, unitamente al rilievo da dare alla finalità specifica del procedimento in questione, inducono a discostarsi, con riferimento allo stesso, dalla soluzione adottata nella richiamata sentenza del 2008, che ha ritenuto improcedibile nel rito del lavoro l'appello ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, e ad ammettere, invece, invece, la possibilità per il giudice, nel procedimento ex L. n. 89 del 2001, di concedere un nuovo termine, questo sì perentorio, al ricorrente in detta ipotesi. Va sottolineato al riguardo che nel rito del lavoro il contrappeso della sanzione della improcedibilità di cui si tratta è rappresentato dall'obbligo di comunicazione dell'avviso di deposito di detto decreto: con la conseguenza che, ove tale comunicazione non sia avvenuta e l'appellante non sia comparso all'udienza fissata nel decreto, deve essere emesso un nuovo provvedimento di fissazione di altra udienza di discussione, da comunicare all'appellante non comparso. Una previsione, codesta, che costituisce il risultato dell'intervento della Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 15 del 1977, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 435 c.p.c., comma 2, che ricollegava il dies a quo del termine per la notificazione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza all'evento del deposito del provvedimento stesso, di cui la parte poteva non aver avuto conoscenza.
In definitiva, non si dubita che il legislatore possa condizionare l'esercizio di atti di difesa giudiziale al rispetto di termini, anche a pena di improcedibilità o di inammissibilità: ma, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, non è lecito presumere che una tale conseguenza sia prevista implicitamente in situazioni nelle quali non risulti, al contempo, garantita alla parte onerata dal rispetto del termine la tempestiva conoscenza del momento dal quale esso prende a decorrere. Nei procedimenti camerali, come quello di cui si tratta, in cui, come si è chiarito, non è previsto un onere di comunicazione al difensore del ricorrente, a cura della cancelleria, della data di fissazione della udienza, il giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporre la relativa comunicazione, incombendo sul ricorrente l'obbligo di attivarsi per prendere cognizione dell'esito del proprio ricorso.
6.3. - E dunque, nei procedimenti in questione, in applicazione analogica del regime di sanatoria delle nullità (artt. 164 e 291 c.p.c.), già esistente nel sistema, siccome dettato con riferimento
al processo di cognizione, la comparizione di entrambe le parti avrà un effetto sanante del vizio di omessa o inesistente notifica, mentre il giudice potrà, in difetto di spontanea costituzione del resistente all'udienza fissata nel decreto e di comparizione del solo ricorrente, procedere alla fissazione di un nuovo termine per la notifica del ricorso.
Nel caso, poi, di mancata comparizione di entrambe le parti, non potrà che adottarsi lo strumento di cui all'art. 181 c.p.c., previsto nell'ordinamento processualcivilistico per tali ipotesi, pur se anch'esso dettato con riferimento all'ordinario processo di cognizione, ma la cui applicazione non è inibita, con riguardo agli specifici procedimenti camerali di cui si tratta, da alcun impedimento logico o giuridico, ed è, anzi, imposta dalla identità di ratio (v. Cass., S.U., sent. n. 5700 del 2014). Non potrebbe, per converso, in assenza di una indicazione in tal senso da parte dell'art. 737 c.p.c., in tema di procedimenti camerali, la mancata comparizione delle parti essere considerata una tacita rinunzia al ricorso: un tale effetto provocherebbe conseguenze ben più rigorose di quelle previste per l'appellante nel procedimento di cognizione, in ordine al quale, a norma dell'art. 348 c.p.c., comma 2, l'improcedibilità viene dichiarata quando questi
ometta di comparire non solo alla prima udienza, ma anche a quella successiva, fissata dal giudice.
7. - Il ricorso deve, conclusivamente, essere accolto nei termini sopra illustrati. Il decreto impugnato deve essere cassato e la causa rinviata ad altro giudice - che viene individuato nella Corte d'appello di Ancona in diversa composizione, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese del presente procedimento - perché la riesamini alla luce del seguente principio di diritto: "In tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non è perentorio e, pertanto, è ammessa la concessione di un nuovo termine, perentorio, al ricorrente nella ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione della udienza".