Cass. pen., sez. I, sentenza 26/09/2019, n. 39561
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Testo completo
iato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: 1) B I, nato il 25/05/1971;
Avverso la sentenza emessa il 24/09/2018 dalla Corte di appello di Brescia;
Sentita la relazione del Consigliere dott. A C;
Sentito il Procuratore generale, nella persona di A C, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Sentito per il ricorrente l'avv. C M M, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia, pronunciandosi sull'appello dell'imputato, confermava la decisione impugnata, emessa dal G.U.P. del Tribunale di Brescia il 23/03/2018, con cui I B era stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione, per la commissione del reato di cui agli artt. 81, comma secondo, cod. pen. e 75, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, accertato a San Zeno Naviglio nelle date del 22/03/2012, del 23/03/2012 e del 24/03/2012. 2. Sulla base delle sentenze di merito, pienamente convergenti, si accertava che, nelle date in contestazione, B si rendeva inosservante all'obbligo di presentazione giornaliera alla polizia giudiziaria, presso la Stazione dei Carabinieri di San Zeno Naviglio, che gli era stato imposto dalla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di due anni applicata nei suoi confronti. La misura di prevenzione personale era stata applicata a B con ordinanza emessa dal Tribunale di Brescia il 02/04/2008 ed era rimasta sospesa in conseguenza della detenzione patita dall'imputato. Tale regime, quindi, veniva ripristinato a partire dal 27/01/2012, per effetto della scarcerazione del ricorrente, alla quale faceva seguito la notifica del verbale di prosecuzione della misura.
3. Avverso la sentenza di appello l'imputato I B, a mezzo dell'avv. C M M, ricorreva per cassazione, deducendo tre motivi di ricorso. Con i primi due motivi di ricorso, proposti in stretta correlazione, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della ricorrenza dell'elemento oggettivo della fattispecie contestata a B, ai sensi degli artt. 81, comma secondo, 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, nel valutare la quale non si era tenuto conto del fatto che la condizione di soggetto senza fissa dimora dell'imputato rendeva inesigibili gli obblighi imposti con la misura di prevenzione personale di cui si controverte. Si deduceva, in proposito, che costituiva un dato processuale incontroverso quello secondo cui B era un soggetto senza fissa dimora, tanto da indicare quale luogo di esecuzione della sorveglianza speciale quello di Borgosatollo, Via Roma n. 13, che è la sede dello stesso Comune. Questa indicazione anagrafica, annotata nel verbale di prosecuzione della misura notificato al ricorrente il 27/01/2012, rendeva evidente la condizione di soggetto senza fissa dimora dell'imputato, che non gli consentiva di adempiere alle prescrizioni impostegli dal Tribunale di Brescia. Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che il Tribunale di Brescia, dopo la scarcerazione di B, aveva disposto la prosecuzione della misura, senza compiere alcuna verifica sull'attualità della pericolosità sociale dell'imputato;
verifica che si imponeva alla luce del fatto che il giudizio di pericolosità originario era risalente nel tempo e risultava intervallato da un periodo di detenzione. Ne discendeva che la prosecuzione della misura era stata disposta dal Tribunale di Brescia senza tenere conto dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 2 dicembre 2013, n. 291, con cui veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non prevedeva che, nel caso in cui l'esecuzione di una misura di prevenzione rimanga sospesa a causa dello stato di detenzione del prevenuto, l'autorità giudiziaria debba valutare, anche d'ufficio, la persistenza della pericolosità sociale nel momento dell'esecuzione della misura.
3.1.
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: 1) B I, nato il 25/05/1971;
Avverso la sentenza emessa il 24/09/2018 dalla Corte di appello di Brescia;
Sentita la relazione del Consigliere dott. A C;
Sentito il Procuratore generale, nella persona di A C, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Sentito per il ricorrente l'avv. C M M, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia, pronunciandosi sull'appello dell'imputato, confermava la decisione impugnata, emessa dal G.U.P. del Tribunale di Brescia il 23/03/2018, con cui I B era stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione, per la commissione del reato di cui agli artt. 81, comma secondo, cod. pen. e 75, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, accertato a San Zeno Naviglio nelle date del 22/03/2012, del 23/03/2012 e del 24/03/2012. 2. Sulla base delle sentenze di merito, pienamente convergenti, si accertava che, nelle date in contestazione, B si rendeva inosservante all'obbligo di presentazione giornaliera alla polizia giudiziaria, presso la Stazione dei Carabinieri di San Zeno Naviglio, che gli era stato imposto dalla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di due anni applicata nei suoi confronti. La misura di prevenzione personale era stata applicata a B con ordinanza emessa dal Tribunale di Brescia il 02/04/2008 ed era rimasta sospesa in conseguenza della detenzione patita dall'imputato. Tale regime, quindi, veniva ripristinato a partire dal 27/01/2012, per effetto della scarcerazione del ricorrente, alla quale faceva seguito la notifica del verbale di prosecuzione della misura.
3. Avverso la sentenza di appello l'imputato I B, a mezzo dell'avv. C M M, ricorreva per cassazione, deducendo tre motivi di ricorso. Con i primi due motivi di ricorso, proposti in stretta correlazione, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della ricorrenza dell'elemento oggettivo della fattispecie contestata a B, ai sensi degli artt. 81, comma secondo, 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, nel valutare la quale non si era tenuto conto del fatto che la condizione di soggetto senza fissa dimora dell'imputato rendeva inesigibili gli obblighi imposti con la misura di prevenzione personale di cui si controverte. Si deduceva, in proposito, che costituiva un dato processuale incontroverso quello secondo cui B era un soggetto senza fissa dimora, tanto da indicare quale luogo di esecuzione della sorveglianza speciale quello di Borgosatollo, Via Roma n. 13, che è la sede dello stesso Comune. Questa indicazione anagrafica, annotata nel verbale di prosecuzione della misura notificato al ricorrente il 27/01/2012, rendeva evidente la condizione di soggetto senza fissa dimora dell'imputato, che non gli consentiva di adempiere alle prescrizioni impostegli dal Tribunale di Brescia. Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che il Tribunale di Brescia, dopo la scarcerazione di B, aveva disposto la prosecuzione della misura, senza compiere alcuna verifica sull'attualità della pericolosità sociale dell'imputato;
verifica che si imponeva alla luce del fatto che il giudizio di pericolosità originario era risalente nel tempo e risultava intervallato da un periodo di detenzione. Ne discendeva che la prosecuzione della misura era stata disposta dal Tribunale di Brescia senza tenere conto dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 2 dicembre 2013, n. 291, con cui veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non prevedeva che, nel caso in cui l'esecuzione di una misura di prevenzione rimanga sospesa a causa dello stato di detenzione del prevenuto, l'autorità giudiziaria debba valutare, anche d'ufficio, la persistenza della pericolosità sociale nel momento dell'esecuzione della misura.
3.1.
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