Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/02/2009, n. 3758

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In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, attesa la totale diversità dei beni tutelati dagli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342 e 343 cod. pen. rispetto a quello protetto dall'art. 18 del r.d. n. 511 del 1946, nel relativo procedimento disciplinare non è applicabile la speciale causa di giustificazione prevista dall'art. 4 del d. lgs. lgt. 14 settembre 1944, n. 288.

Nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati, è inammissibile per difetto di interesse la doglianza dedotta come motivo di impugnazione, relativa alla mancata adozione di un diverso rito, qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato; l'esattezza del rito, infatti, non deve essere considerata fine a sé stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale. (Nella specie, le S.U. hanno confermato la sentenza di condanna emessa dalla Sezione disciplinare del Cons. Sup. Magistratura, evidenziando che il ricorrente - il quale lamentava che il procedimento fosse stato trattato secondo le norme del d. lgs. n. 109 del 2006 - non aveva in concreto indicato quali attività difensive avrebbe potuto svolgere, diverse da quelle effettivamente compiute, ove il procedimento fosse stato trattato secondo le disposizioni del r.d. n. 511 del 1946).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/02/2009, n. 3758
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 3758
Data del deposito : 17 febbraio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P G - Primo Presidente f.f. -
Dott. P E - Presidente di Sezione -
Dott. E A - Presidente di Sezione -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. B M - Consigliere -
Dott. F M - rel. Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 16773/2008 proposto da:
N, elettivamente domiciliato in LOCALITA1,
presso lo studio dell'avvocato NOME2,
rappresentato e difeso dagli avvocati NOME3, NOME4, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- intimati -

avverso la sentenza n. 25/2008 della CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 14/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/12/2008 dal Consigliere Dott. M F;

uditi gli avvocati NOME4, NOME3;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. N V, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, in subordine, in accoglimento del primo motivo, dichiararsi la nullità assoluta della impugnata sentenza.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 16 maggio 2006 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha promosso azione disciplinare nei confronti di N, giudice del tribunale di LOCALITA2, incolpato della violazione
del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18, per avere gravemente mancato ai propri doveri di correttezza facendo uso della qualità di magistrato per ottenere vantaggi indebiti e ponendo in essere un comportamento penalmente illecito, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione - di cui deve godere il magistrato, con conseguente compromissione del prestigio dell'Ordine Giudiziario. In particolare, lo stesso, circolando la sera del 26 luglio 2005 alla guida della vettura Audi A4 tg. NOME5 per il centro urbano di LOCALITA2, aveva effettuato l'attraversamento di un incrocio malgrado l'impianto semaforico proiettasse luce rossa per i veicoli provenienti dalla sua direzione di marcia: raggiunto da una pattuglia di Carabinieri Motociclisti che lo avevano invitato a fermarsi, il N dapprima si è qualificato dicendo "sono il giudice nonché Capitano dei Carabinieri N, ex comandante della Compagnia Speciale di LOCALITA2" limitandosi a far intravedere un documento e riprendendo la marcia, quindi, nuovamente raggiunto e nuovamente invitato ad esibire i propri documenti, li ha consegnati iniziando a contestare la fondatezza del rilievo mossogli, evidenziando come non fosse ben visibile la "zebratura" del passaggio pedonale in prossimità dell'incrocio. Poi, all'invito dell'appuntato dei Carabinieri NOME6 di recarsi a visionare il passaggio pedonale, alzando la voce, malgrado la presenza di persone, ha cominciato a profferire nei confronti dell'appuntato le seguenti espressioni offensive: "Lei è un ignorante e come tale è un appuntato dei carabinieri, è un bugiardo, questo è un reato e non sa a cosa sta andando incontro questa sera... conosco il Gen. NOME7 e adesso lo chiamo e se non basta chiamo anche degli onorevoli...".
Il Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza 4 - 14 aprile 2008, preso atto che con riguardo all'episodio del 26 luglio 2005 era stato redatto verbale per violazione art. 146 C.d.S., comma 3, ma che il prefetto di LOCALITA2 il 5 giugno 2006 ne aveva disposto l'archiviazione in quanto "emerse circostanze sufficienti ad escludere che si sia concretizzata la richiamata violazione" che in relazione ai fatti era stato iscritto procedimento penale conclusosi con richiesta di archiviazione del 29 settembre 2005 in quanto "l'inopportuna reazione del conducente dell'auto alle modalità - asseritamente o effettivamente inurbane - della contestazione mossagli dall'ufficiale di P. G. non integra alcun illecito perseguibile di ufficio" e del successivo decreto di archiviazione del g.i.p del tribunale di LOCALITA3 datato 9 gennaio 2006 "perché le espressioni riferite hanno un indubbio contenuto offensivo, tuttavia va comunque disposta l'archiviazione in ordine al reato di ingiuria, difettando la querela", ha ritenuto la responsabilità disciplinare dell'incolpato infliggendogli la sanzione dell'ammonimento. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il N, affidato a dodici motivi.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede le parti intimate. MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta "violazione del combinato disposto dell'art. 125, comma 3, in relazione all'art. 76 c.p.p. 1930, comma 3, art. 185 c.p.p. 1930, n. 3, e R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 34, comma 3;
violazione degli artt. 24 e 111 Cost., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n.

4 - Error in procedendo -
Nullità della sentenza impugnata e del procedimento per insanabile violazione della partecipazione del Pubblico Ministero al procedimento, nonché del diritto di intervento, assistenza e rappresentanza del magistrato incolpato, al quale la Sezione disciplinare del C.S.M., con ordinanza resa in data 4.4.2008, emessa senza acquisire il previo obbligatorio parere del Pubblico Ministero (come tassativamente imposto, a pena di nullità, dall'art. 76 c.p.p. 1930) ha vietato di farsi assistere da entrambi i difensori di fiducia che aveva ritualmente nominato nel corso dell'udienza del 4.4.2008, entrambi già presenti in udienza. Tutto ciò nonostante, nella vigenza del precedente ordinamento disciplinare (applicabile ratione temporis al presente, procedimento) la Sezione Disciplinare avesse pacificamente ribadito, con plurime ordinanze, il diritto del magistrato incolpato di farsi assistere da due difensori di fiducia così fornendo la prova giudiziale della totale compatibilità tra le disposizioni del precedente ordinamento disciplinare e art. 125 c.p.p. 1930, comma 3, che, a norma del R.D. n. 511 del 1946, art. 34, comma 3, si applica in quanto compatibile".

2. Il motivo è manifestamente infondato.
Sotto tutti i molteplici profili in cui si articola.

2.1. Quanto, in primis, alla denunziata violazione dell'art. 76 c.p.p. del 1930, il profilo di ricorso deve essere rigettato sulla
base del principio di diritto (assolutamente costante nella giurisprudenza delle Sezioni Penali di questa Corte regolatrici Cass., sez. 1^, 23 febbraio 1994;
Cass. sez. 1^, 24 gennaio 1994;

Cass. sez. 1^, 12 luglio 1988) secondo cui "l'obbligo di partecipazione del Pubblico Ministero al processo non implica che esso debba svolgere le sue conclusioni, orali o scritte, su tutte le questioni che si possono prospettare in relazione alle possibili statuizioni del giudice. Ne consegue che la nullità di cui all'art.185 c.p.p. del 1930, n. 2, in relazione all'art. 76 c.p.p. del 1930,
si riscontra solo quando il P.M. sia stato privato del suo diritto di intervenire e svolgere le sue funzioni nel procedimento, e non anche quando abbia omesso di rassegnare, pur essendo stato in grado di farlo, le sue conclusioni in ordine a possibili determinazioni del giudice".

2.2. Quanto al secondo profilo di censura (nullità del procedimento per essere stato vietato all'odierno ricorrente di avvalersi della difesa di due difensori) si osserva:
- da un lato, che è manifestamente irrilevante - stante la autonomia di ogni singolo procedimento - che in altre occasioni la stessa Sezione Disciplinare abbia consentito la presenza di una pluralità di difensori, non potendosi, palesemente, ritenere - contrariamente a quanto del tutto apoditticamente invoca parte ricorrente - la nullità di una pronuncia giurisdizionale perché l'organo che l'ha pronunziata ha mutato la propria giurisprudenza, dando della stessa disposizione normativa diverse interpretazioni nel tempo;

- dall'altro, che, stante la formulazione letterale del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 34, comma 2, non può che ribadirsi quanto
già affermato da queste Sezioni Unite con specifico riguardo al giudizio disciplinare a carico di magistrati, e, cioè che il magistrato incolpato può farsi assistere, innanzi alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura - a propria scelta - o da un collega o da un difensore esterno (Cass., sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19660);

- da ultimo che è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 34, comma 2, interpretata nel senso che è precluso al magistrato inquisito farsi assistere, nel giudizio disciplinare innanzi alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, da una pluralità di difensori, attesa pi da una parte, la peculiarità del procedimento disciplinare a carico dei magistrati, rispetto ai giudizi penali, e tenuto presente, dall'altro, che rientra, comunque, nella discrezionalità del legislatore disciplinare regolare eventualmente diversamente, le modalità del diritto di difesa in relazione a singoli, distinti, procedimenti (rispettivamente civili, penali, disciplinari ecc.). In particolare il motivo di ricorso, nella parte de qua deve essere rigettato sulla base del seguente principio di diritto: "in sede di discussione, nel procedimento disciplinare a carico di magistrati, l'incolpato può farsi assistere da un altro magistrato, in forza dell'espressa previsione del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 34, comma 2, e non anche, pertanto, da un aggiuntivo difensore del libero
foro, integrando la suddetta norma una deroga al disposto dell'art.125 c.p.p., u.c., circa l'assistenza in giudizio di due difensori.
Tale regola resta ferma anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 2000, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del menzionato art. 34, comma 2, nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere da un avvocato, atteso che la stessa decisione ha avuto modo di precisare che spetterà semmai al magistrato, in relazione alla singola vicenda disciplinare, decidere se sia più conveniente l'assistenza di un

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