Cass. civ., sez. V trib., ordinanza interlocutoria 30/01/2023, n. 02703
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igliere ha pronunciato la seguente ORDINANZAINTERLOCUTORIA sul ricorso n. 2308/2014proposto da: D'Angelo Raffaele, titolare della omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall'Avv. A G, con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. F V, in Roma, via Crescenzio, n. 9, giusta delega in calce al ricorso per cassazione. - ricorrente- contro Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentatoe difes o dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12. - controricorrente - avverso la sentenza della Commissione t ributaria r egionale d ella CAMPANIA, n. 561/1/12, depositata il 10 dicembre 2012;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 ottobre 2022dal Consigliere L C;RITENUTO CHE 1. Con sentenza del 10 dicembre 2012 , la Commissione t ributaria regionale della Campania, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, ha accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l'avviso di accertamento n. 801249/2000, riguardante l'IVA dell'anno 1995 dovuta per l'acquisto e la vendita di pellame in nero. 2.La Corte di Cassazione, adita dalla Agenzia delle Entrate che aveva impugnato la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Campanian. 103/2004, depositata il 22 gennaio 2004, con la sentenza 17 novembre 2010, n. 23185 , ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente aveva dedotto la nullità della sentenza, con riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non avendo il giudice di appello esplicitato le ragioni, in base alle quali riteneva, di disattendere gli elementi presuntivi posti, a base dell'accertamento, senza che il contribuente avesse fornito la prova contraria dei propri assunti, atteso che il relativo onere si spostava proprio sul medesimo. 3.La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 55 del d.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., nonchél'omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all' art. 360, primo comma, n.3 e 5, cod. proc. civ., ed ha affermato che: -) il giudice di appello non avevaindicato le ragioni, in base alle quali aveva ritenuto di disattendere gli elementi presuntivi posti a base dell'accertamento, senza che il contribuente avesse fornito la prova contraria dei propri assunti, atteso che la prova presuntiva spostava l'onere della prova contraria proprio sul medesimo;-) appariva opportuno premettere che l'atto amministrativo finale di imposizione tributaria, il quale erail risultato dell'esercizio di un potere frazionato anche in poteri istruttori attribuiti, in proprio o per delega, ad altri uffici amministrativi, era legittimamente adottato quando, munendosi di un'adeguata motivazione, faceva propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali;-) tale principio era desumibile sia dalle norme generali sull'attività amministrativa poste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (applicabili, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario), alla stregua delle quali il titolare dei poteri di decisione non era tenuto a reiterare l'esercizio dei poteri, d'iniziativa e, soprattutto, istruttori, che avevano preparato la sua attività;sia dalle norme tributarie generali di cui agli artt. 7 e 12 della legge 27 luglio 2000/212;sia, infine, per quanto concernevain particolare l'IVA, dalle disposizioni degli artt. 51 e 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che, nel regolare minuziosamente la fase istruttoria del procedimento di accertamento, prevedevano che gli uffici IVA si avvalevano delle prestazioni cognitive di altri organi, di altre amministrazioni dello Stato e della Guardia di finanza;-) in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. «contabilità in nero», costituita da appunti personali ed informazioni dell'imprenditore, rappresentava un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli art. 2709 cod. civ. e ss., tutti i documenti che registravano, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa, ovvero rappresentavano la situazione patrimoniale dell'imprenditore ed il risultato economico dell'attività svolta ed incombendo al contribuente l'onere di fornire la prova contraria;-) il ritrovamento, da parte dalla Guardia di finanza, nei locali dell'impresa che aveva stretti rapporti commerciali con il soggetto sottoposto a verifica, di una «contabilità parallela» a quella ufficialmente tenuta dalla stessa, sottoposta pure a verifica fiscale, legittimava, di per sé, il ricorso al c.d. accertamento induttivo di cui all'art. 39, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 600/1973, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento.
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