Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/09/2022, n. 35627

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/09/2022, n. 35627
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 35627
Data del deposito : 22 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

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SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Brescia avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Cremona il 15/03/2021 nei confronti di L A, nato in Albania il 15/04/1971 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere S R;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale S P, che ha chiesto disporsi l'annullamento della sentenza con restituzione degli atti al Tribunale di Cremona per l'ulteriore corso

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Cremona ha applicato ad A L, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., in relazione al reato di cui all'art. 337 cod. pen., la pena di mesi cinque di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale subordinato al pagamento della somma di euro 300,00 in favore del fondo detenuti della casa circondariale di Verona.

2. Propone ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Brescia, il quale articola due motivi, di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1 Con il primo deduce violazione di legge in relazione all'art. 164, comma 1, n. 1) cod. pen., sul rilievo che, al momento della impugnata sentenza di patteggiamento, l'imputato aveva già riportato condanna: - alla pena di anni due, mesi due di reclusione ed euro 8000„00 di multa, inflitta con sentenza della Corte di appello di Milano, irrevocabile il 12 giugno 2012;
- alla pena di anni 6 di reclusione ed euro 6000,00 di multa, inflitta con sentenza della Corte di appello di Milano del 29 maggio 2017, irrevocabile il 18 maggio 2018. 2.2.Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 81 cpv. cod. pen., sul rilievo che il reato di resistenza è stato commesso nei confronti di cinque operatori di polizia giudiziaria e si è articolato in due momenti distinti (accompagnamento in infermeria e successivo riaccompagnamento in cella), sicché avrebbe dovuto applicarsi la disciplina del concorso formale omogeneo, ovvero quella del reato continuato ov.e si ritenga che il protrarsi dell'azione in . più fasi non consenta di affermare l'unità di contesto spazio—temporale.

3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza con il rito cartolare di cui all'art. 23, commi 8 e 9, del d. I. 8 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati, da ultimo, dal d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15. Considerato in diritto LH ricorso è infondato.

2. In primis deve osservarsi che, venendo in rilievo una sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione soggiace ai limiti di ammissibilità posti dall'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., essendo con esso deducibili i soli motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed all'illegalità della pena o della misura di sicurezza. Con riferimento ad entrambi i motivi proposti, lo snodo ermeneutico da affrontare è costituito dalla nozione di pena illegale, postulata dal ricorrente nelle sue censure. In assenza di una chiara norma definitoria, tale nozione viene dedotta "in negativo" dal principio di legalità della pena - cristallizzato dall'art. 25 Cost. e dall'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché dall'art. 1 cod. pen., che ne costituisce la proiezione codicistica - ed è stata oggetto di elaborazione da parte della giurisprudenza di legittimità che, in un percorso evolutivo ancora in divenire, ne ha ridisegnato i confini, pervenendo a teorizzare, accanto ad una illegalità "originaria", una illegalità "sopravvenuta". In rapida sintesi può osservarsi in proposito quanto segue. Illegale è, anzitutto, la pena che presenti ab origine tale connotazione, ossia la pena diversa per specie da quella che la legge stabilisce per il reato, ovvero inferiore o superiore per quantità ai relativi limiti edittali (Sez. 6, n. 32243 del 15/7/2014, Tanzi, Rv. 260326;
Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729);
così caratterizzata, essa si colloca, difatti, al di fuori dell'assetto normativo vigente. Di contro, si è ritenuto estraneo all'ambito concettuale della illegalità il vizio che infici il percorso argomentativo attraverso il quale il giudice giunge alla conclusiva determinazione dell'entità della condanna;
ossia l'errore - sia esso di fatto o di diritto - che attenga al procedimento di calcolo, allorquando alla stessa pena finale sarebbe stato possibile giungere attraverso una diversa modulazione delle varie determinazioni intermedie, inerenti alla individuazione della pena-base e degli aumenti e diminuzioni da operare a titolo di tentativo, di circostanze, di continuazione. Diversamente opinando - si è argomentato - qualunque errore di diritto compiuto nel computo della pena andrebbe corretto d'ufficio, così da snaturare il meccanismo stesso dell'impugnazione di legittimità, chee è invece retto dal principio devolutivo di cui al primo comma dell'art. 609, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729;
Sez. 5, n. 8639 del 20/1/2016, De Paola, Rv. 266080;
Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, Bruno, Rv. 282322). In relazione alla nozione di illegalità, ancora le Sezioni Unite hanno evidenziato che gli errori commessi nella determinazione di una pena comunque legittima nel suo valore finale più strettamente ineriscono alla c.d. legalità processuale, che fuoriesce dall'ambito del principio di legalità di cui all'art. 25 Cost., chiamando piuttosto in causa i principi regolativi del giusto processo ex art. 111 Cost;
così come deve escludersi che rientrino nella nozione di pena illegale le pene ingiuste o eccessive, per le quali potrebbe porsi, semmai, un problema di coerenza con altri parametri costituzionali, quali quelli di uguaglianza, di proporzionalità, di ragionevolezza (Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265110). Le coeve Sez. U, n. 47766 del 26/5/2015, Butera, Rv. 265108, hanno ribadito che l'illegalità a tal fine rilevante sussiste quando la pena irrogata non sia prevista dall'ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata, salvo che sia frutto di errore macroscopico (ipotesi che ricorre quando la sanzione sia abnorme, in quanto frutto di errore marchiano non giustificabile, e non invece di una argomentata, per quanto discutibile, valutazione, ovvero quando sia il frutto di un palese errore di calcolo). Una significativa espansione della categoria della pena illegale ha avuto impulso, poi, da altri arresti della Corte di nonnofilachia, che vi hanno ricondotto entità ontologicamente anche molto diverse. Si sono ricostruite ipotesi di illegalità c.d. sopravvenuta, legate alla declaratoria di illegittimità costituzionale cli norme incidenti sul trattamento sanzionatorio, sul presupposto logico-giuridico che una norma dichiarata costituzionalmente illegittima è tamquam non esset e ne vanno rimossi gli effetti (Sez. U, 18821 del 24/10/2013, Ercolano;
Sez. U n. 33C40 del 26/2/2015, J, Rv. 264207;
Sez. U, n. 37107 del 26/2/2015, M, Rv. 264857-858- 859;
Sez. U, 26 febbraio 2015, n. 22471, S, Rv. 263715;
Sez. U n. 47766 del 26/6/2015, Butera, Rv. 265108). Alla stregua di tali direttrici ermeneutiche vanno dunque scrutinate le censure proposte in ricorso.
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