Cass. pen., sez. III, sentenza 07/09/2021, n. 33069

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 07/09/2021, n. 33069
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 33069
Data del deposito : 7 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da R M, nato a Roma il 18/02/1989, avverso la sentenza in data 14/09/2020 della Corte di appello di Roma, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere U M;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, P M, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;
udito per l'imputato l'avv. P B, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 14 settembre 2020 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza in data 12 dicembre 2019 del Tribunale di Tivoli che aveva condannato M R alle pene di legge per il reato di cui agli art. 81 cpv, 110 cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, consistente nella detenzione a fini di spaccio di 470 grammi di marijuana e 1 chilo e mezzo di cocaina.

2. Ricorre per cassazione l'imputato sulla base di cinque motivi. Con il primo deduce il vizio di motivazione, perché non era stata accolta l'istanza di espletamento della perizia grafica, a seguito delle contestazioni avverso la consulenza della Procura. Ricorda che agli atti non esisteva alcun saggio grafico né suo né di G C, presso la cui abitazione era detenuto lo stupefacente. Con il secondo denuncia il vizio di motivazione in ordine all'apprezzamento della prova e la violazione di legge stante l'inutilizzabilità delle sommarie informazioni del C. Non era stato verificato il possesso della chiave della cassaforte che custodiva lo stupefacente e la perquisizione a suo carico aveva avuto esito negativo. Con il terzo lamenta il vizio di motivazione in ordine alla responsabilità concorsuale rispetto alla detenzione della marijuana che era detenuta solo dal C. Con il quarto deduce il vizio di motivazione circa l'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 99, quarto comma, cod. proc. pen. L'attribuzione della recidiva non aveva tenuto conto della cesura temporale rispetto al precedente del 2013. Con il quinto eccepisce il vizio di motivazione in ordine all'applicazione della confisca di cui all'art. 240-bis cod. pen. Precisa che per la confisca dei tre Rolex difettava il nesso temporale interessato dalla condotta incriminata, mentre, quanto alla somma di denaro, era stata provata la provenienza lecita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato perché riproduce le medesime doglianze già vagliate e disattese con adeguata motivazione giuridica dai Giudici di merito. Il primo motivo di ricorso attiene all'espletamento della perizia. In generale, va ricordato che il mancato compimento di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice (Cass., Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936-01). Nel caso in esame, i Giudici hanno esercitato la loro discrezionalità, all'esito di una valutazione motivata degli elementi a disposizione. La decisione è immune da censure. Ed invero, la Corte territoriale ha chiarito che la prova del collegamento dell'imputato con lo stupefacente è emersa da plurimi elementi: gli operanti erano giunti al R proprio a seguito dello sviluppo dell'indagine a carico del C;
la perquisizione presso le abitazioni dei due imputati aveva dato esito positivo per la presenza di stupefacente confezionato al medesimo modo;
la consulenza tecnico- grafica sulle scritture rinvenute nei due appartamenti aveva confermato il collegamento tra i due. Con riguardo specifico a tale ultimo esito investigativo, la Corte territoriale ha osservato che la tesi difensiva, secondo cui non erano stati acquisiti i saggi grafici degli imputati e non era stata accertata la paternità delle scritture, era incoerente con il rinvenimento in entrambi gli appartamenti di scritture contenenti la contabilità dell'attività, vergate dalla medesima mano. Il tema, quindi, non era quello della paternità della scrittura, ma il fatto che lo stesso autore aveva vergato sia i fogli trovati a casa sua che quelli trovati a casa del C. La consulenza disposta dal Pubblico Ministero e discussa in dibattimento aveva confermato tale congettura, perché la scrittura in stampatello presentava numerose peculiarità, per cui, a partire da alcuni caratteri, era possibile individuare una continuità grafica. La difesa contesta le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici di merito in ordine all'identità delle scritture, senza offrire alcun elemento per contestare le conclusioni del Consulente, mentre insiste nella richiesta di perizia per stabilire la riconducibilità dei documenti al suo assistito. La doglianza come formulata non coglie nel segno e si appalesa meramente esplorativa. Il secondo e il terzo motivo consistono in deduzioni fattuali che non valgono a disarticolare il ragionamento seguito dai Giudici, secondo cui il R e il C avevano ripartito i rischi, custodendo i soldi e una macchinetta per contare i soldi presso l'abitazione del primo e lo stupefacente presso l'abitazione del secondo. In tali sensi depongono gli elementi sopra indicati. La Corte territoriale ha risposto alle eccezioni sollevate dalla difesa dell'imputato con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria. Innanzi tutto, le dichiarazioni del C non sono state ritenute utilizzabili processualmente, ma, siccome rese nelle immediatezze della perquisizione domiciliare (il C aveva parlato perché aveva ritenuto il R responsabile della soffiata), hanno consentito agli inquirenti di perquisire anche l'abitazione dell'imputato;
le dichiarazioni difensive del R non sono state credute perché tardivamente formulate a conclusione del dibattimento e perché aventi ad oggetto un presunto acquisto di droga dal C che, a tacer d'altro, non era funzionale ad un consumo personale rimasto indimostrato;
il mancato possesso da parte del R delle chiavi della cassaforte del C era compatibile con l'organizzazione dell'attività e la distribuzione dei rischi. Che il R sia stato condannato anche per la detenzione della marijuana è perfettamente coerente con la costruzione del concorso tra i due imputati. Il quarto motivo sulla recidiva è generico, perché la Corte territoriale ha correttamente motivato dando conto dell'esistenza di due condanne per lo stesso titolo di reato, rivelatrici di una pervicace e crescente inclinazione a delinquere dell'imputato. La cesura temporale, sia pure giustificata da esigenze lavorative, è stata implicitamente ritenuta irrilevante dai Giudici. Infine, manifestamente infondato è anche il motivo sulla confisca, perché i Giudici hanno ritenuto corretta l'applicazione della misura, avente ad oggetto la cospicua somma di denaro pari ad euro 16.970,00 e i tre rolex, con l'assenza di redditi leciti compatibili con i beni appena descritti. L'imputato, che ha dichiarato di aver ricevuto delle donazioni dalla nonna, di essere stato pagato dal padre per dei lavoretti e di aver ricavato dei guadagni a nero con la vendita degli orologi, non è stato creduto. La quinta censura si risolve in una mera contestazione e non è meritevole di accoglimento. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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