Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 30/08/2004, n. 17323
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Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S S - Presidente -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. F C - Consigliere -
Dott. T S - Consigliere -
Dott. B B - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASSA DI RISPARMIO DI CARRARA s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti L S e B G, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma alla via Bissolati 76, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
F G, rappresentato e difeso dagli avv.ti A B e B B, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma alla via Flaminia 109, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza del Tribunale di Massa-Sezione Lavoro n. 30/02 del 20 febbraio 2002 (resa nel giudizio di appello avente il n. di r.g. 176/98) notificata in data 4 aprile 2002).
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza dell'8 giugno 2004 dal Consigliere Dott. B B;
Uditi gli avv.ti L S e B B;
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. M M, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore-Giudice del Lavoro di Massa (sez. dist. di Carrara) l'avv. Giovanni F conveniva in giudizio la "Cassa di Risparmio di Carrara" s.p.a. esponendo 1) di avere svolto per circa trentanni prestazioni di consulenza ed assistenza a favore della Cassa la quale, con il trascorrere degli anni, sarebbe divenuta pressoché l'unica cliente e gli avrebbe fornito un introito pari a circa il 90% dei guadagni professionali;2) di avere svolto anche funzioni rientranti nella struttura organizzativa interna della Cassa per la stesura di contratti di diversa tipologia;3) di essere stato costantemente a disposizione della Cassa anche durante il periodo estivo e nelle festività per la predisposizione di eventuali atti urgenti;4) di avere subito l'improvvisa e non corretta risoluzione del rapporto senza che alcuna causa o motivo giustificasse siffatto illegittimo comportamento. Il ricorrente richiedeva, quindi, che la convenuta venisse condannata al pagamento di una somma, da determinarsi equitativamente, a titolo di risarcimento del danno conseguente anche ex art. 2043 cod. civ. e, per la relativa quantificazione in analogia con la normativa in materia di rapporto di lavoro dei dirigenti e in considerazione del fatto che fatturava circa L. 150.000.000 all'anno per la Banca, indicava tale somma per la liquidazione.
Si costituiva in giudizio la s.p.a. Cassa di Risparmio di Carrara che impugnava integralmente la domanda attorca e ne chiedeva il rigetto. L'adito Giudice del Lavoro, dopo avere ammesso ed espletato prova testimoniale, accoglieva parzialmente la domanda e condannava la "Cassa" al pagamento a favore del ricorrente della somma di L. 50.000.000 e - su impugnativa della parte soccombente e ricostituitosi il contraddittorio - il Tribunale di Massa (quale Giudice del lavoro di secondo grado) rigettava l'appello, compensando tra le parti le spese del grado.
Per quello che rileva in questa sede il Giudice di appello ha rimarcato che: a) "la questione concernente il nesso causale tra comportamento assertivamente illecito e danno nonché l'esistenza dello stesso non è stato oggetto di impugnazione nel ricorso in appello onde deve ritenersi che su di essa si sia formato il giudicato";b) "i comportamenti denunciati dall'avv. F appaiono in contrasto con le norme che devono regolare i rapporti contrattuali sia isolatamente considerati, sia se visti in modo globale, dato che il modus operandi della Cassa si è realizzato ponendoli in essere tutti contemporaneamente ed in particolare con l'uso abnorme delle relative facoltà";c) "le norme di cui agli artt. 1175 e 1375 del cod. civ. non fondano autonome obbligazioni, che peraltro sarebbero
di incerta identificazione, ma precisano le modalità di comportamento nell'esecuzione del contratto, nell'adempimento delle obbligazioni o nell'esercizio dei diritti, stabiliti dalle leggi o da contratti e la buona fede, intesa in senso etico, è un requisito della condotta e costituisce, con ogni probabilità, il cardine della disciplina delle obbligazioni e, conseguentemente, diventa oggetto di un vero e proprio dovere giuridico che viene violato non solo nel caso nel quale una delle parti agisca con la specifica intenzione di recare danno all'altra, vertendosi in tale ipotesi nella figura giuridica del dolo, ma anche quando la condotta non sia conforme alla diligente correttezza e solidarietà sociale che integrano il concetto stesso di buona fede, realizzandosi questa ove ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio tenga un comportamento che sia idoneo a preservare gli interessi della controparte, indipendentemente da specifici obblighi contrattuali";
d) "nella fattispecie, l'anomalia dell'inquadramento deriva dalla circostanza che l'incarico professionale è normalmente determinato da un singolo atto e costituisce oggetto di un unico rapporto obbligatorio, mentre tra le parti di questo giudizio si è realizzata un'ipotesi di collaborazione continuativa e coordinata (come dimostrato dalla pacifica competenza del giudice del lavoro ex art. 409 n. 3 c.p.c.)";
e) "i comportamenti tenuti dalla Cassa hanno travalicato il predetto limite ed hanno costituito l'illecito dal quale (e ciò non costituisce motivo di appello) è derivato un danno, anche questo non devoluto all'esame di questo collegio".
Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Cassa di Risparmio ha proposto ricorso sostenuto da cinque motivi.
L'intimato Giovanni F resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. MOTIVI DELLA DECISIONE
1 -. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente - denunciando "violazione e falsa applicazione dell'art. 346 cod. proc. civ." - rileva che "non risponde affatto al vero quanto statuito
nella sentenza impugnata che la Cassa abbia inteso rinunciare nel giudizio di secondo grado, alla riproposizione delle fondate questioni relative all'esistenza stessa di un (denegato) danno sofferto dall'avv. F a cagione del suo legittimo recesso ed alla quantificazione dello stesso, (poiché) nel caso di specie, la Cassa, nella comparsa di costituzione e risposta del giudizio di primo grado depositata in data 26 marzo 1993, ha chiesto l'integrale rigetto del ricorso proposto dall'avv. F, e con il ricorso in appello del 23 ottobre 1998, nell'esplicito intento di investire il giudice di secondo grado della piena cognizione della causa, ha chiesto, nel merito, di riformare in foto la sentenza n. 93/97 del Pretore di Massa, e conseguentemente di rigettare il ricorso proposto dall'avv. F in quanto infondato in fatto ed in diritto, e non provato" e ribadisce conclusivamente su tale punto che "la volontà della Cassa di riproporre le questioni attinenti alla effettiva causazione di un danno e alla sua concreta quantificazione, nonché la loro effettiva riproposizione, emerge chiaramente dal ricorso in appello del 23 ottobre 1998, che contiene la pedissequa rinnovazione delle domande proposte in primo grado, ma anche dalla articolata discussione orale in sede di udienza collegiale, e perfino dalla memoria di costituzione ex art. 436 c.p.c. dell'avv. F in grado d'appello, depositata in data 4 gennaio 2002".
Con il secondo motivo la ricorrente - denunciando "Violazione dell'art. 2056 cod. civ. e vizi di motivazione circa un punto decisivo della controversia - censura la sentenza impugnata in quanto "il generico riferimento alle risultanze processuali deve essere considerato assolutamente insufficiente allo scopo, sicché allo stato non è assolutamente dato capire in che modo il Pretore di Massa sia pervenuto alla certezza, fatta propria anche dal giudice d'appello, che il recesso della Cassa abbia cagionato all'avv. F un effettivo danno, quantificato nell'ingente importo di Lit. 50.000.000, che peraltro sembra davvero eccessivo rispetto al legittimo esercizio del potere di recesso dell'Istituto di credito, mentre il ricorso alla valutazione equitativa del danno non esonera il giudice dall'obbligo di dare conto di quali elementi della fattispecie concreta abbia considerato nel decidere equitativamente". Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente - denunciando "Violazione degli artt. 1175, 1375 e 2043 cod. civ. e vizi di motivazione circa un punto decisivo della controversia" - censura la decisione del Tribunale di Massa per avere operato "una inammissibile confusione tra i profili della responsabilità contrattuale e della responsabilità aquiliana" e per non avere considerato che "gli obblighi previsti dagli artt. 1175 cod. civ. e 1375 cod. civ., noti anche come "doveri di protezione", incontrano un invalicabile limite nel loro carattere strumentale ed accessorio rispetto alla esecuzione, e, proprio per la loro attrazione alla prestazione principale, la natura della responsabilità conseguente all'eventuale mancato adempimento di questi comportamenti accessori non potrà essere che contrattuale, (mentre) la condanna della Cassa di Risparmio di Carrara s.p.a. ad opera dei giudici di merito si basa sulla ritenuta responsabilità extracontrattuale della ricorrente". Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente - denunciando "violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e vizi di motivazione circa un punto decisivo della controversia" - rileva che "l'esame della (comunque denegata) violazione, ad opera della Cassa, di leggi e pattuizioni nello svolgimento del rapporto di collaborazione professionale con l'avv. F, non è, e non può essere, l'oggetto del presente giudizio, giusta il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sancito dall'art. 112 cit." e ribadisce che "la causa attiene esclusivamente alla pretesa illiceità delle modalità di recesso non avendo l'avv. F, chiesto il risarcimento dei danni che sarebbero derivati dalle, comunque denegate, inadempienze della Banca, (per cui) male hanno fatto entrambi i giudici di merito ad affrontare diffusamente l'esame delle suddette questioni".
Con il quinto motivo la società ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 2234, 2237 e 2043 cod. civ. e vizi di motivazione circa un punto decisivo della controversia" - addebita al Giudice di merito di "avere concesso il risarcimento del danno derivante dalla (inesistente) legittimità di un recesso non configurabile come illegittimo, (in quanto) nessuna violazione, nessun inadempimento e nessun illecito, è dato riscontrare nel comportamento della Cassa nel libero ed insindacabile esercizio del suo diritto di interrompere definitivamente il rapporto di collaborazione con l'avv. F, come invece erroneamente ritenuto nella decisione impugnata".