Cass. pen., sez. II, sentenza 18/05/2021, n. 19641
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
EMPLIFICATA SENTENZA sul ricorso proposto da C P, nato a Belvedere Marittimo il 25.8.1969 avverso la sentenza n. 3101/2019 emessa dalla Corte d'Appello di Torino il 2 maggio 2019 Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;Udita nell'udienza del 23 marzo 2021 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina A R P;Letta la requisitoria scritta, presentata ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137/2020, dal Sostituto Procuratore Generale in persona di D C, che ha chiesto di rigettare il ricorso RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 2 maggio 2019 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza emessa il 16 febbraio 2018 dal Tribunale di Aosta con cui C P è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di tentata estorsione e di spaccio di sostanza stupefacente di tipo cocaina di cui al quinto comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309/1990. Secondo la ricostruzione effettuata dai Giudici del merito, l'imputato - con minacce consistite nel prospettare a F L che avrebbe riferito ai suoi genitori che ella faceva uso di sostanze stupefacenti e che avrebbe fatto del male al padre e nel presentarsi presso lo studio di quest'ultimo a richiedere il pagamento - aveva preteso dalla predetta persona offesa il pagamento di assegni in misura superiore al debito, maturato a seguito dell'acquisto di sostanze stupefacente. Era risultato altresì che l'imputato aveva ceduto a F L e B L sostanza stupefacente di tipo cocaina. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, che ha dedotto i seguenti motivi: 1) erronea individuazione della norma incriminatrice e vizi della motivazione. Premessi i principi, enunciati da questa Corte, in tema di distinzione tra il delitto di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il ricorrente ha dedotto che le sue condotte non erano state minacciose ed erano dirette ad ottenere quei pagamenti per i quali, negoziando gli assegni in suo possesso, egli avrebbe potuto rivolgere domande monitorie nelle opportune sedi giudiziarie. Da qui, quindi, l'erronea qualificazione dei fatti come tentata estorsione anziché come esercizio arbitrario delle proprie ragioni;2) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte d'appello confermato la responsabilità penale sulla base di mere presunzioni e per non avere ritenuto, in applicazione delle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 309/1990, che si vertesse in un'ipotesi di consumo di gruppo non punibile. All'odierna udienza è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito;all'esito, questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi