Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/05/2004, n. 8358

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/05/2004, n. 8358
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8358
Data del deposito : 3 maggio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S S - Presidente -
Dott. M F A - Consigliere -
Dott. R F - rel. Consigliere -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. F C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M A, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO

146, presso lo studio dell'avvocato R M, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
LDE G I S (già CARACCIOLOOSSIGENO), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato In ROMA. VIA

RIPETTA

22, presso lo studio dell'avvocato G V, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 13404/01 del Tribunale di ROMA, depositata il 03/04/01 - R.G.N. 30794/97;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 16/12/03 dal Consigliere Dott. F R;

udito l'Avvocato AIELLO per delega MUGGIA;

udito l'Avocato MAGNO per delega VBSCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. F G R che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Roma, Aterio Marnili esponeva di essere stato assunto dalla s.p.a. Caracciolossigeno quale profugo ed orfano di guerra, ai sensi della legge n. 462 del 1968, di essere stato inquadrato quale operaio generico nel livello L del contratto collettivo e di essere stato licenziato il 18 giugno 1991 per mancato superamento del periodo di prova. Affermando l'illegittimità del licenziamento, egli chiedeva ordinarsi la reintegrazione nel posto di lavoro e condannarsi la datrice al risarcimento del danno. Costituitasi la convenuta, il Pretore rigettava la domanda con decisione del 18 luglio 1996, confermata con sentenza del 3 aprile 2001 dal Tribunale, il quale, affermata l'astratta validità del patto di prova apposto ad un contratto concluso con avviato obbligatoriamente al lavoro ex l. n. 482 del 1968, osservava che in concreto il patto era stato accettato dal lavoratore attraverso la sottoscrizione della clausola "per ricevuta", espressione che doveva essere interpretata come equivalente a quella "per accettazione". Incensurabile era poi il giudizio dell'imprenditore, che aveva escluso il superamento della prova, pur non essendo ancora scaduto il relativo periodo, poiché il lavoratore aveva svolto in quattro giorni un lavoro di scavo che altro lavoratore ultrasessantenne aveva finito in mezza giornata, e ciò malgrado i richiami.
Le mansioni da svolgere erano state correttamente indicate attraverso il rinvio al contratto collettivo, così rimanendo osservato anche il d.lgs. n. 152 del 1997, attuativo della direttiva CEE n. 533 del 1991.
Non occorreva infine che la motivazione fosse contestuale all'atto di licenziamento.
Contro questa sentenza ricorre per Cassazione il Marulli mentre la s.p.a. Linde gas Italia, succeduta alla Caracciolossigeno, resiste con controricorso. Memorie utrinque.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 414, 416, 420, 433 cod. proc. civ., 2096 cod. civ. e vizi di motivazione. Egli sostiene che il Tribunale ritenne inammissibili, perché non contenuti nell'atto introduttivo del giudizio, motivi di impugnazione del licenziamento che in realtà vi erano chiaramente indicati, e precisamente il mancato riferimento, nel contratto di lavoro, alle mansioni da svolgere ed il concreto affidamento di mansioni diverse da quelle del profilo attribuito.
La censura è inammissibile per difetto di interesse ossia perché la sentenza qui impugnata parla bensì di inammissibilità per tardiva deduzione dei motivi di impugnazione del licenziamento, ma poi prende in considerazione i medesimi motivi ed afferma esattamente che, nell'ambito dello stesso profilo professionale e retributivo, il datore di lavoro ben può esercitare, in quanto titolare del potere di dirigere l'impresa, lo ius variandi. Con particolare riferimento al patto di prova, poi, l'esercizio di questo potere si risolve in un vantaggio per il lavoratore che, rivelatosi non idoneo ad una certa attività, si vede offerta la possibilità di dimostrare le sue attitudini in altro ambito (cfr. Cass. 10 aprile 1996 n. 3340, 17 marzo 1999 n. 2428). Col secondo motivo, invocando gli artt. 1 e 8 l. 2 aprile 1968 n. 482, il ricorrente sostiene che l'apposizione del patto di prova
dev'essere sottoposto "a controlli formalistici e di merito rigorosi" tempestivamente addotti e contestabili
dal lavoratore.
Il motivo è inammissibile per genericità ossia per inosservanza dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ. Infatti il ricorrente non dice a quali "controlli formalistici" debba essere sottoposto il patto in questione, oltre alla scrittura di cui all'art. 2096 cod. civ., ne' a quali controlli "di merito", essendo esso giustificato a sufficienza dalla elementare esigenza di verificare, e tanto più quando l'assunzione sia non volontaria ma obbligatoria, se il lavoratore assunto possa o sappia effettivamente eseguire le mansioni. Col terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 2096 cod. civ. in ordine alla mancata indicazione delle mansioni nel patto
di prova, ma la non fondatezza della censura deriva da quanto già si è detto a proposito del primo motivo.
Più precisamente questo collegio non intende discostarsi dall'orientamento della Corte (da ult. Cass. 30 ottobre 2001 n. 13525) secondo cui l'indicazione nel patto di prova delle mansioni da svolgere non può esaurirsi nel rinvio al livello contrattuale, ove la clausola pattizia non contenga dettagli.
Tale orientamento deve trovare però concreta applicazione con riferimento alla specifica preparazione professionale del lavoratore, con la conseguenza che un rigoroso dettaglio non è esigibile e sarebbe - ripetesi - contrario all'interesse dello stesso lavoratore in prova, ove questi sia provvisto di preparazione generica. Nel caso di specie la clausola, richiamata dallo stesso ricorrente in memoria, parlava di "lavori di carico e scarico a mano, generici di pulizia e lavaggio manuale e analoghi lavori di fatica" onde non è censurabile l'apprezzamento dei giudici di merito, che hanno escluso la mancanza o la genericità dell'indicazione delle mansioni affidate.
Con la quarta doglianza il medesimo sostiene ancora essere stato violato l'art. 2096 cit. per omessa motivazione del licenziamento, dovuto all'asserito non superamento della prova.
Neppure questo motivo è fondato.
Nell'ipotesi di patto di prova stipulato con lavoratore assunto in base alla legge n. 482 del 1968, il recesso dell'imprenditore per mancato superamento della prova è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale contenuta nella legge 15 luglio 1966 n. 604 onde non richiede alcuna formale comunicazione del
motivo di recesso;
questo può essere direttamente contestato in sede giudiziale dal lavoratore, allegando fatti dimostranti l'illiceità del motivo e perciò l'invalidità dell'atto negoziale unilaterale. In tal senso si sono pronunciate le Sezioni unite di questa Corte con sent. 2 agosto 2002 n. 11633, pronunciata con riguardo all'assunzione in prova di un lavoratore invalido ma tanto più pertinente al caso di appartenente ad altra categoria protetta.
Nella specie il ricorrente non allegò alcuna, illiceità del motivo di licenziamento, d'onde e inconsistenza dell'attuale ricorso. Col quinto motivo il ricorrente afferma ancora la violazione dell'art. 2096 cit., sostenendo che il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova non potrebbe essere intimato prima che sia trascorso per intero il relativo periodo.
Il motivo è privo di fondamento poiché il datore di lavoro ben può considerare non superata la prova anche prima della scadenza del periodo, quando l'incapacità lavorativa del neo-assunto si sia rivelata con certezza, non spettando a lui neppure un periodo destinato ad emendare l'incapacità (Cass. 6 giugno 1987 n. 4979). Col sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 414, 433 cod. proc. civ., 2096 cod. civ., sostenendo che la sua accettazione della proposta del patto di prova non poteva essere ravvisata nella scritta "per ricevuta", da lui apposta alla lettera di assunzione contenente il patto.
La doglianza non ha fondamento poiché non è censurabile l'interpretazione di volontà negoziale della parte che dichiarò per iscritto di aver ricevuto la lettera contenente il patto di prova e si sottopose alla prova senza nulla obiettare.
Col settimo motivo il ricorrente afferma la violazione degli artt. 2096 cod. civ. e 1 d.lgs. n. 152 del 1997, sostenendo che per gli
avviati obbligatoriamente al lavoro "occorre particolare cautela e rigore nella verifica del corretto esercizio della risoluzione del rapporto", ma la doglianza è inammissibile per genericità, stante che il ricorrente non specifica in che cosa sarebbe consistita la mancanza di cautela e rigore, da lui addebitati alla datrice di lavoro ed alla sentenza ora impugnata.
Rigettato il ricorso, le oggettive incertezze interpretative a cui può dar luogo la normativa sui patti di prova induce alla compensazione delle spese.

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