Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/08/2014, n. 18027

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In tema di contributi previdenziali, il datore di lavoro che non abbia provveduto ai versamenti dovuti nei termini di legge resta obbligato, ai sensi dell'art. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, in via esclusiva per l'adempimento, con esclusione del diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest'ultimo e ciò anche nell'ipotesi in cui l'inadempimento sia conseguenza della nullità del termine di durata apposto al contratto di lavoro, non potendosi ravvisare, in tale situazione, una impossibilità della prestazione derivante da causa oggettiva non imputabile allo stesso datore di lavoro.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/08/2014, n. 18027
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18027
Data del deposito : 18 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M L - Presidente -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. B G - rel. Consigliere -
Dott. B U - Consigliere -
Dott. A R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso 25024-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell'avvocato P R, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
T S;

- intimata -
avverso la sentenza n. 1108/2007 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 19/10/2007 r.g.n. 2203/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/06/2014 dal Consigliere Dott. G B;

udito l'Avvocato M M per delega P R;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C A, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società Poste Italiane spa adiva il Tribunale del lavoro di Firenze spiegando opposizione avverso il decreto ingiuntivo notificatole su istanza di T S per il pagamento di Euro 411,41 per "ritenute assistenziali e previdenziali". Le Poste assumevano che la somma predetta spettasse alla società (conseguentemente era stata trattenuta) in quanto quota a carico del lavoratore a titolo di rivalsa;
la lavoratrice contestava la fondatezza del ricorso. Il Tribunale di Firenze con sentenza del 18.12.2004 accoglieva parzialmente la domanda di Poste, dichiarava la nullità del decreto ingiuntivo opposto e condannava le Poste al pagamento T S della sola somma di Euro 405,51. La Corte di appello di Firenze con sentenza del 12.10.2007 rigettava l'appello delle Poste. La Corte territoriale osservava che il diritto alla trattenuta del datore di lavoro a titolo di rivalsa della somma pari alla quota spettante al lavoratore sussisteva solo ove il pagamento dei contributi era tempestivo e non, come nel caso in esame, in cui invece il pagamento era stato tardivo. Doveva, quindi, applicarsi la L. n. 218 del 1952, art. 23 e non l'invocato art. 19 stessa legge che si riferisce alla diversa ipotesi di contributi corrisposti secondo le previste scadenze. Nell'ipotesi di pagamento tardivo il datore di lavoro perde il diritto alla rivalsa nei confronti del lavoratore. Nè era applicabile l'art. 2155 c.c. per la prevalenza dell'art. 23 come norma speciale;
il diritto alla rivalsa, anche alla luce dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità, non poteva neppure - per la Corte territoriale - derivare dall'avere il Giudice riqualificato (con la decisione a monte della presente controversia) il rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato in quanto tale accertamento operava ex tunc con la conseguenza che i contributi erano dovuti ex tunc e non dal momento della pronuncia del Giudice. Il pagamento di tali contributi era stato comunque tardivo.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società Poste Italiane spa con due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con conseguente nullità del procedimento. Nel motivo si allega che la Corte di appello e il Giudice di prime cure avrebbero condannato le Poste al pagamento di una somma diversa da quella richiesta dalla Taccagni, nonostante l'avvenuta revoca del decreto ingiuntivo opposto. Il motivo è inammissibile in quanto la condanna al pagamento di una somma di poco minore di quella richiesta in prime cure, nonostante la revoca del decreto ingiuntivo opposto (condanna ben possibile alla luce dell'orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di legittimità per cui con l'opposizione al decreto ingiuntivo si apre un ordinario giudizio di merito nel quale la domanda avanzata nel decreto può essere anche accolta anche nei limiti in cui risulta essere concretamente fondata) è avvenuta con la sentenza di primo grado e parte ricorrente non ricostruisce come la questione sia stata sollevata in appello (la sentenza impugnata a sua volta non tratta la questione, neppure tra le eccezioni proposte). Il motivo pertanto è generico e viola il principio di autosufficienza del ricorso in cassazione. Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 1115 c.c. e della L. n. 218 del 1952, artt. 19 e 23, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato.
Il motivo appare infondato in quanto non sussistono le denunciate violazioni di legge alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale "in tema di contributi previdenziali il datore di lavoro che non abbia provveduto ai versamenti dovuti nei termini di legge resta obbligato ai sensi della L. n. 218 del 1952, art. 23, in via esclusiva per l'adempimento, con esclusione del diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest'ultimo e ciò anche nell'ipotesi in cui l'inadempimento sia conseguenza della nullità del termine di durata apposto al contratto di lavoro, non potendosi ravvisare, in tale situazione, una impossibilità della prestazione derivante da causa oggettiva non imputabile al datore di lavoro" (cass. n. 6448/2009;
cfr. anche cass. n. 3782/2008 e da ultimo cass. n. 15349/2012;
cass. n. 23181/2013).
La disposizione di cui all'art. 23 prevale su quella di cui all'art. 2155 c.c. trattandosi di una disciplina a carattere speciale che
regola in specifico la questione del diritto di rivalsa del datore di lavoro in caso di tardivo adempimento. Non sussiste peraltro neppure l'allegata carenza motivazionale della sentenza impugnata che appare congrua, logicamente coerente e conforme alla ricordata giurisprudenza di legittimità.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità stante la mancata costituzione di parte intimata.

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