Cass. civ., sez. III, sentenza 13/01/2021, n. 457
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Ove l'azione civile sia stata esercitata in un processo penale per una fattispecie criminosa qualificata da dolo intenzionale, nel giudizio civile di rinvio ai sensi dell'art. 622 c.p.p., in relazione alla responsabilità ex art. 2043 c.c., il giudice deve verificare la ricorrenza, sul piano oggettivo e soggettivo, di tutti gli elementi dell'illecito civile, sicché - quando il reato contestato risulti quello previsto dall'art. 323 c.p. (come nella fattispecie) - occorre avere riguardo non all'intenzionalità del comportamento dell'asserito responsabile, bensì alla generica dolosità della condotta. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione della Corte territoriale che aveva escluso la sussistenza del dolo del danneggiante - un magistrato, già imputato per aver favorito un altro consulente attraverso la liquidazione di un compenso non dovuto e per avere pregiudicato il danneggiato con la revoca della curatela fallimentare conferitagli - in ragione della mancata prova di una sua intenzionale volontà, anziché limitarsi a verificare la volontarietà delle predette condotte).
Sul provvedimento
Testo completo
457/2 1 ORIGINALE eu sei Oggetto FUN REPUBBLICA ITALIANA RESPONSABILITÀ IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CIVILE GENERALE LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Giudizio di rinvio ex TERZA SEZIONE CIVILE art. 622 c.p.p. - Domanda Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: risarcitoria relativa ad illecito ex art. Dott. GIACOMO TRAVAGLINO -- Presidente.- 323 c.p. Valutazione del Dott. CA FIECCONI - Consigliere - dolo dell'illecito ai sensi dell'art. 2043 Dott. ANTONIETTA SCRIMA - Consigliere - C.C. Necessità - - Fattispecie in tema Consigliere -Dott. GABRIELE POSITANO di reato imputato ad un giudice Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI - Rel. Consigliere - delegato ai danni di un curatore ha pronunciato la seguente fallimentare. SENTENZA R.G.N. 35800/2018 Cron.457 sul ricorso 35800-2018 proposto da: Rep. GIOVACCHINI STEFANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell'Avvocato CARLO Ud. 28/10/2020 TAORMINA, che lo rappresenta e difende unitamente pu all'Avvocato GIORGIO TAORMINA;
- ricorrente -
nonché da 2020 1883 MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso 1 AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente incidentale -
contro
RE CA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell'Avvocato ROBERTO CATALANO, rappresentata e difesa dall'Avvocato PAOLO ZAVOLI e dall'Avvocato Paolo TROMBETTI;
- controricorrente avverso la sentenza n. 2218/2018 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del Q 28/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'inammissibilità di quello incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. AN CC ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 2218/18, del 30 agosto 2018, della Corte di Appello di Bologna, che, investita quale giudice del rinvio per effetto dell'annullamento, disposto dalla sesta sezione Penale di questa Corte, con sentenza n. 5888/14, del 6 febbraio 2014, della declaratoria di non doversi procedere, agli effetti civili, pronunciata dalla stessa Corte territoriale, con sentenza n. 11093/13, del 27 aprile 2013, nei confronti di FR CI, imputata di taluni reati commessi, nell'esercizio della sua funzione di giudice delegato ai fallimenti del Tribunale di Livorno, in danno dell'odierno ricorrente e del Ministero della Giustizia - rigettava la domanda risarcitoria proposta dal CC e dal menzionato Ministero.
2. In punto di fatto, il ricorrente deduce, innanzitutto, che la CI ebbe a subire un processo penale innanzi al Tribunale e, poi, alla Corte felsinei. In particolare, ella fu chiamata a rispondere delle ipotesi di reato di cui agli artt. 81 e 323 cod. pen., contestatele in relazione alle funzioni svolte, in primo luogo, nelle procedure fallimentari "Ludoinvest" e CE BI, nelle quali il CC aveva assunto l'incarico di curatore. Il magistrato era stato, infatti, imputato di averper quanto qui ancora di interesse - -U procurato un vantaggio ingiusto a NA SI (liquidando alla stessa un importo eccessivo, quale compenso per una Ө consulenza tecnica espletata, segnatamente, nella seconda delle indicate procedure), cagionando danno al CC, oppostosi a quella liquidazione, avendone promosso, con successo, la revoca dalla curatela. A tale imputazione, poi, ne era stata affiancata un'ulteriore, formulata anch'essa in relazione ai reati di cui agli artt. 81 e 323 cod. pen., concernente una diversa procedura fallimentare, quella della società "La Perla" s.r.l. In questo caso, era ipotizzata violazione degli artt. 105 e 108 legge fall., oltre che dell'art. 51 cod. proc. civ. (in ragione della grave inimicizia che, ormai, la contrapponeva all'odierno ricorrente), facendosi carico, in particolare, alla CI - sempre per quanto qui ancora di interesse di aver promosso, - pure in tale occasione, la revoca del CC dall'incarico di curatore, dopo averne respinto l'istanza tesa alla vendita all'incanto dei beni immobili dell'attivo fallimentare, stimati dal curatore di valore superiore a quindici miliardi di lire, ordinandone, invece, la vendita ad offerte private, emettendo poi l'ordinanza di aggiudicazione al prezzo di lire cinque miliardi. Affermava il Tribunale bolognese - con sentenza n. 104/07, del 5 luglio 2007 - la responsabilità della CI per entrambi i reati ascritti (ed in relazione a tutte le procedure concorsuali), quantunque limitatamente ai fatti commessi in danno del CC, al quale veniva riconosciuto il risarcimento del danno liquidato nella misura di € 20.000,00, dichiarando, invece, non doversi procedere in relazione all'accusa di abuso di ufficio a vantaggio della SI, in ragione dell'intervenuta prescrizione del reato (ed assolvendo l'imputata, circostanza qui non di interesse, per l'analoga ipotesi di reato a vantaggio di altri soggetti). Esperito gravame dall'imputata, la Corte di Appello felsinea, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava con sentenza n. 11093/12, del 27 aprile 2013 non doversi - procedere nei confronti dell'appellante in ordine al reato continuato ascrittole, in ragione della sua intervenuta prescrizione, sancendo che l'effetto estintivo della stessa si era, ormai, esteso alla fattispecie di reato commessa in danno del CC. Il giudice di appello, inoltre, dichiarava l'inammissibilità per tardività a dire dell'odierno ricorrente, - declaratoria di estinzione, per"trincerandosi" dietro la prescrizione, dei reati ascritti all'imputata - del gravame con cui esso CC aveva contestato il "quantum debeatur", dolendosi che lo stesso non fosse stato stimato nella richiesta misura di € 811.477,00 (che teneva conto non solo del mancato guadagno connesso all'omesso conferimento di altri incarichi da parte del Tribunale di appartenenza della CI, ma pure del "danno morale esistenziale, personale, sociale, professionale", derivante dal discredito subito). La Corte territoriale, inoltre, risolveva la posizione del Ministero della Giustizia con un "non 4 liquet” puramente processuale, richiamando l'ordinanza di estromissione da giudizio già adottata dal primo giudice. Proposto ricorso per cassazione dalla CI, ai soli effetti civili, per lamentare il fatto che giudice di appello, prima di addivenire alla declaratoria di non doversi procedere, avrebbe dovuto adottare - ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. - una pronuncia assolutoria, questa Corte accoglieva il mezzo, sebbene "nei liti di seguito indicati". Ovvero rilevando sul presupposto che l'accertamento di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., presuppone che il giudice possa compiere una "percezione ictu oculi» dell'assenza della penale responsabilità dell'imputato come la "motivazione della sentenza gravata" apparisse "gravemente lacunosa per avere la Corte distrettuale operato un sintetico rinvio ai «contributi accusatori» contenuti nella pronuncia di primo grado". A tale esito, infatti, il giudice di appello era pervenuto "senza rispondere alle specifiche doglianze dell'appellante, la quale, oltre a riproporre l'eccezione di inutilizzabilità della relazione stilata dagli ispettori ministeriali, aveva censurato la prima decisione sia in ordine all'assenza di prova dell'elemento soggettivo circa l'addebito di abuso commesso in favore del consulente SI, che in ordine alla mancanza del requisito oggettivo della doppia ingiustizia e del relativo elemento soggettivo circa l'altra imputazione di abuso commesso in pregiudizio del curatore CC". Riassunto il giudizio dalla CI, la Corte di Appello di Bologna lo accoglieva, rigettando le domande risarcitorie proposte nei suoi confronti dall'odierno ricorrente e dal Ministero della Giustizia.
3. Avverso la decisione della Corte felsinea ricorre per cassazione il CC, sulla base come detto - di tre motivi.- 3.1. Con il primo motivo è denunciato - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. - "omesso esame della condotta della dott.ssa CI quale elemento decisivo della controversia evincibile dalle trascrizioni dei verbali del dibattimento di primo grado in sede penale e della relazione ministeriale", oltre che "motivazione solo apparente della sentenza", in violazione dell'art. 111, comma 6, Cost., "con riferimento alla insussistenza del «dolo» quale elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio", e ciò "in forza della ritenuta idoneità della «politica dei lauti compensi» ad escludere l'intenzionalità del fatto", conclusione assunta "in violazione ed aperta contraddizione" con il d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352. Il ricorrente, in particolare, evidenzia che la Corte territoriale - dopo aver escluso sia la penale responsabilità dell'imputata in relazione all'estensione del fallimento "Ludoinvest” a quello CE BI, sia l'esistenza di elementi probatori oggettivi e rilevanti pure quanto alla sua responsabilità in merito alla nomina del consulente e al contenuto della sua relazione - avrebbe deviato dai corretti principi enunciati, invece, dal giudice di prime cure, allorché lo stesso ha ritenuto che il curatore, con la nomina, risulta investito non solo di uno status composto di obblighi, responsabilità e diritti, ma anche di un interesse personale alla conclusione del mandato, che non costituisce una mera aspettativa, bensì una pretesa legittima. Si sottolinea, inoltre, come la condotta dell'imputata fosse connotata dalla "doppia ingiustizia” (non ravvisata, invece, dalla Corte di Appello), come confermato dalla possibilità, pure prospettata dal giudice delegato al Presidente del Tribunale, di astenersi dalle procedure che vedevano il CC come curatore. Difatti, sebbene la CI abbia dichiarato - nell'interrogatorio effettuato dal Pubblico Ministero, nel corso dell'indagine a suo carico - di non aver ravvisato quelle ragioni 6 di "grave inimicizia" con il CC, tale dichiarazione si pone in