Cass. pen., sez. I, sentenza 23/04/2020, n. 12821

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 23/04/2020, n. 12821
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12821
Data del deposito : 23 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MELNIC AUREL nato il 08/03/1973 avverso la sentenza del 17/04/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere M V;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO che chiede l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna, limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto di cui all'art. 13 co. 13 bis d.lgs. 286/1998._

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 30 ottobre 2018 a definizione di processo svoltosi nelle forme del giudizio abbreviato, il Tribunale di Parma: accertò che A M (di nazionalità moldava) commise il delitto (accertato in Parma il 15 ottobre 2018) di cui all'art. 13, comma 13-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 (di seguito indicato come "t.u. immigrazione") perché, essendo già stato condannato per avere commesso il reato previsto dall'art. 13, comma t.3, del t.u. immigrazione ed espulso il 13 giugno 2018 dal territorio dello Stato in esecuzione del provvedimento emesso il 5 giugno 20.18 dal Tribunale di Parma, fece rientro in Italia senza avere prima ottenuto autorizzazione del Ministro dell'interno;
dopo avere accertato la sussistenza della, contestata, recidiva specifica, infraquinquennale, reiterata, condannò tale persona alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione;
revocò il beneficio della sospensione condizionale della pena alla stessa persona concesso con il decreto e le tre sentenze irrevocabili di condanna specificamente indicati in dispositivo;
dispose che l'imputato venga espulso dal territorio dello Stato dopo l'espiazione della pena, con divieto di rientro in Italia prima che siano decorsi cinque anni dall'esecuzione dell'ordine.

2. Adita dall'imputato, con sentenza pronunciata il 17 aprile 2019 la Corte di appello di Bologna ha confermato tali decisioni.

2.1 Per quanto qui interessa, la motivazione della sentenza è, in risposta ai motivi di appello, nel senso che: contrariamente a quanto dedotto dall'imputato, Corte cost. sent. n. 466 del 2005 dichiarò costituzionalmente illegittimo l'art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, t.u. immigrazione nel testo risultante dalla modificazione introdotta dall'art. 12 della legge n. 189 del 2002, mentre la disposizione contenuta nel vigente art. :13, comma 13-bis, secondo periodo, venne introdotta dal d.l. n. 241 del 2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 271 del 2004, "che ha disciplinato l'ipotesi del secondo periodo del comma 13-bis come circostanza aggravante ad effetto speciale";
la sentenza di primo grado ha correttamente applicato la disposizione contenuta nell'art. 69, terzo comma, cod. pen., in quanto, in presenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale (tale essendo la, accertata, recidiva specifica, infraquinquennale, reiterata), "ha proceduto ad applicare la pena per la più grave circostanza individuata nella recidiva e, nell'ambito della discrezionalità concessagli, ha poi disposto un aumento - peraltro contenuto nella misura di mesi due - per la aggravante dell'art. 13, comma 13-bis L. 286/98";
la decisione di non concedere all'imputato circostanze attenuanti generiche è da condividere, in quanto, la ripetizione di identica condotta illecita ravvicinata nei tempi rivela "la persistente volontà dell'imputato di ripetere condotte illecite;
ove l'imputato fosse stato mosso dal desiderio di ricongiungersi a moglie e figlia, residenti in Italia, egli avrebbe potuto chiedere un permesso per ricongiungimento familiare;
egli ha preferito invece rientrare illegalmente in Italia;
l'imputato, in occasione dei suoi rientri illegali in Italia, era risultato di volta in volta in possesso di documenti di identità indicanti diverse generalità (fra cui quello rilasciato al nome di A M, verosimilmente contraffatto, avendo l'imputato dichiarato che tale cognome è quello della propria moglie e non risultando la relativa utilizzazione preceduta da legittimo provvedimento);
inconferente è poi l'affermazione dell'imputato secondo cui egli non sarebbe rientrato illegalmente in Italia per ivi commettere altri reati, "dato che lo stesso era rientrato da appena dieci giorni (come da lui dichiarato) non potendosi escludere una ideazione in via di elaborazione";
la pena inflitta è più adeguata in ragione delle modalità esecutive della condotta, "tenuto conto che l'imputato, già condannato per il rientro illegale sul territorio, ha deciso di persistere nelle scelte antigiuridiche, riconfermando la sua spinta criminogena già evidenziata dai plurimi precedenti penali;
la scelta della pena di base (due anni di reclusione) è sorretta da adeguata motivazione, con particolare riferimento "alla gravità del fatto, alla reiterazione delle violazioni in materia di immigrazione, all'utilizzo di generalità diverse, avendo lo stesso più alias, mostrando in tal senso una maggiore intensità del dolo".

3. Per la cassazione di tale sentenza l'imputato ha presentato ricorso (atto sottoscritto dal difensore, avvocato E L) contenente tre motivi di impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente censura la motivazione della sentenza, considerata mancante e illogica nella parte relativa alla conferma della decisione di non concedere circostanze attenuanti innominate, in quanto: è irragionevole non valutare, in funzione della concessione di tali circostanze, la volontà di esso ricorrente di ricongiungersi a moglie e figlia;
il riferimento alla detenzione di documento materialmente falsificato è privo di ogni riscontro probatorio e l'affermazione secondo cui non è da escludere che egli abbia fatto rientro in Italia al fine di commettere nuovi reati con "ideazione in via di elaborazione" è affatto congetturale.

2. Osserva la Corte. Ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis cod. pen., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen.;
fermo restando che non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento (cfr. per tutte: Sez. 2, n. 2285 del 11 ottobre 2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691;
Sez. 5, n. 43952 del 13 aprile 2017, P, Rv. 271269). Le circostanze attenuanti innominate hanno la funzione di adeguare la pena al caso concreto, permettendo la valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non tipizzati ma che appaiono in grado di diminuire la meritevolezza o il bisogno di pena. Esse, quindi, presuppongono l'esistenza di elementi di segno positivo;
intendendosi per tali quelli che militano per una diminuzione della pena che risulterebbe dall'applicazione dell'art. 133 cod. pen. La ragion d'essere della previsione normativa recata dall'art. 62 -bis cod. pen. è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile. La meritevolezza di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza (cfr. Sez. 3, n. 35570 del 30 maggio 2017, D L, Rv.270694). Al contrario, è tale meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio;
trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (in tali termini,cfr.: Sez. 1, n. 11361 del 19 ottobre 1992, Gennuso, Rv. 192381;
Sez. 2, n. 38383 del 10 luglio 2009, Squillace, Rv. 245241;
Sez. 1, n. 46568 del 18
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