Cass. civ., sez. II, sentenza 19/01/2012, n. 737
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Ai sensi dell'art. 757 cod. civ., la vendita da parte di un coerede dei diritti allo stesso spettanti su alcuni beni facenti parte della comunione ereditaria, avendo effetti puramente obbligatori, non fa subentrare l'acquirente nella comunione stessa, a meno che non risulti, anche attraverso il comportamento delle parti (rappresentato, ad esempio, dall'inserimento dell'acquirente nella gestione della comunione), l'intenzione delle stesse, pur attraverso la menzione dei soli beni economicamente più significativi, di trasferire l'intera quota spettante all'alienante.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. T R M - Presidente -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. N L - Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. S G M R - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2465-2006 proposto da:
BORGHESI GIANNI C.F. BRGGNN47E25C794S, BORGHESI GIANNA C.F. BRGGNN35L71L378I ANCHE QUALE EREDE DI BORGHESI LUCIANA, borghesi giuseppe C.F. BRGGPP42C19L914G BORGHESI LILIANA C.F. BRGLLN39S52L378M, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIETRO OTTOBONI 96, presso lo studio dell'avvocato P E, rappresentati e difesi dall'avvocato P E;
- ricorrenti -
contro
AUREA DOMUS SRL P.I. 1255890228, IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE AMMINISTRATORE UNICO ARCH. ODORIZZI PAOLO elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14-A/4, presso lo studio dell'avvocato P G, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato D P;
TOANTE SRL P.I. 10412770157 IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE AMMINISTRATORE UNICO ARCH. PAOLO ODORIZZI, elettivamente domiciliata in ROMA, V LE GIULIO CESARE 14-A/4, presso lo studio dell'avvocato P G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato D P;
- controricorrenti -
e contro
DUCHES FRANCA, BORGHESI ELENA, BORGHESI ANTONIO, ODORIZZI AMBROGINA VED. BORGHESI, DUCHES MARIO, BORGHESI MAURIZIO, BACCI MARIA ROSA VED. BORGHESI;
- intimati -
avverso la sentenza parziale n. 388/2004 della CORTE D'APPELLO di TRENTO, depositata il 26/11/2004 e di quella definitiva n. 404/05 del 17/11/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l'Avvocato Bartolo Spallina con delega depositata in udienza dell'Avv. Paiar Enzo difensore dei ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avv. Pafundi Gabriele difensore dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con atto di citazione notificato il 14 gennaio 1983, A, M, E B e M R B ved. B, premesso i primi di essere comproprietari delle p. ed. 111, 108/2, 408, 110/1 e della p.f. 176 C.C. Cles e la Bacci usufruttuaria dei primi tre beni, chiesero al Tribunale di Trento, previa declaratoria di indivisibilità di detti beni, lo scioglimento della comunione ereditaria e la vendita all'asta degli stessi.
Si costituirono in giudizio Gianni, giuseppe, Lana, Luciana e G B nonché Ambrogina Odorizzi ved. B quale usufruttuaria, che si associarono alla richiesta di scioglimento ma contestarono la dichiarazione di indivisibilità dei beni, evidenziando che la divisione doveva essere estesa anche ad altre proprietà e chiedendo l'attribuzione congiunta di una parte dei beni pari alla loro quota complessiva. F D rimase contumace.
In corso di causa si costituì in giudizio Mario Duches, il quale, poi, fallì, con conseguente interruzione del processo. Riassunta la causa dagli attori, nella contumacia del Fallimento e della Duches, il Tribunale di Trento, con sentenza del 20 maggio 1991, dispose lo scioglimento della comunione, provvedendo alla divisione ed ai conguagli.
Avverso detta sentenza propose appello F D, lamentando la mancata notifica della domanda riconvenzionale e la nullità della sentenza di primo grado. G B, costituendosi, riconobbe la nullità della sentenza ed insistette nella richiesta divisione. Si costituì in giudizio anche la s.r.l. Aurea Doraus, alla quale l'appellante aveva notificato la sentenza impugnata, qualificandosi come parte acquirente di una quota dei beni caduti in successione - in realtà assuntrice del concordato fallimentare di D M, omologato con sentenza passata in giudicato - per cessione dei 9/108 dei beni per i quali era stata chiesta la divisione.
Gli originari attori rimasero contumaci.
Intervenne in giudizio la s.r.l. T, affermando di aver acquistato, in forza di contratto intavolato di compravendita del 25 settembre 1991, la proprietà della quota di 42/108 dei beni immobili per i quali gli attori avevano chiesto la divisione e dei beni mobili infissi negli stabilmente negli edifici.
2. - La Corte d'appello di Trento dichiarò la nullità di tutti gli atti successivi alla costituzione delle parti, e quindi anche della sentenza di primo grado, rimettendo per il prosieguo, con separata ordinanza, le parti dinanzi all'istruttore.
Interrotto il processo per la morte di L B, e riassunto da F D, si costituì G B anche quale erede della defunta. La Corte dispose la integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari A, M, E, M R B ved. B e D M.
Nessuno si costituì tranne quest'ultimo, che affermò di non avere interesse alla causa e di rimettersi alle conclusioni rassegnate dalla Aurea Domus.
Il difensore della s.r.l. T si costituì anche come difensore della s.r.l. Aurea Domus.
La Corte, con sentenza parziale del 26 novembre 2004, accertò la legittimazione delle società Aurea Domus s.r.l. e T s.r.l., contestata dalla difesa dei B, dichiarò la non comoda divisibilità del compendio immobiliare (palazzo con pertinenze e bosco), e rimise la causa sul ruolo, richiamando il consulente per accertare il valore dell'intero compendio e quello delle quote dei condividenti ed i conguagli, la eventuale rivalutazione dei mobili, e per formare i necessari lotti.
Setto il profilo della legittimazione delle due società, il giudice di secondo grado, premesso che la difesa B assumeva che entrambe le società avessero acquistato esclusivamente quote di singoli beni indivisi, e non quote ereditarie, e che, pertanto, avendo l'alienazione solo efficacia obbligatoria, esse non potessero partecipare alla comunione, rilevò, quanto alla società T, che, come desumibile dalla volontà delle parti, quale emergente dal documento di vendita indipendentemente dalla circostanza che il difensore della società, che era anche difensore della Aurea Domus, avesse definito l'acquisto come riferito a singoli beni -, era stato realizzato l'acquisto di una quota notevole della quota ereditaria, intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, avendo inteso i contraenti rendere la società acquirente partecipe della comunione ereditaria, sostituendola integralmente, nel rapporto di comunione, agli alienanti. Quanto alla posizione della Aurea Domus, essa, come assuntrice del concordato fallimentare, era divenuta proprietaria dell'intera quota di Mario Duches, pari a 9/108 dell'intero compendio, rimanendo esclusa solo dalla comunione dei beni mobili. In questo caso, dunque, si era realizzata una cessione di una quota della quota complessiva del Duches, essendo stato alla stessa trasferito l'intero compendio immobiliare, con integrale sostituzione della società nei rapporti nascenti dalla comunione. La Corte ritenne poi la non comoda divisibilità del palazzo con le sue pertinenze.
3. - Quindi, con sentenza depositata il 17 novembre 2005, la Corte di merito dispose lo scioglimento della comunione, l'assegnazione dei beni e i conguagli. Il giudice di secondo grado assegnò l'intero compendio immobiliare, costituito dal palazzo con le sue pertinenze ed un bosco, secondo il criterio preferenziale di cui all'art. 720 cod. civ. (con obbligo di pagamento dei conguagli in favore di
Duches Franca e delle società Aurea Domus e T),
congiuntamente a danni, Lana, giuseppe e Gianna, anche quale erede di L B, i quali erano titolari complessivamente della quota di 48/108, essendo altresì gli unici ad aver richiesto l'attribuzione congiunta dei beni.
Questa era peraltro solo una domanda subordinata, mentre fu rigettata quella svolta in via principale, che era quella di assegnazione ad uno scio dei condividenti commassati, G B, di una parte ben individuata di detti beni, con contestuale richiesta di trasferimento a carico degli stessi della prenotazione di ipoteca annotata da Aurea Domus, e l'assegnazione del residuo in comunione agli altri condividenti ad esclusione delle due società e di Duches Franca, che non partecipavano all'assegnazione congiunta. In tal modo, secondo la Corte, si sarebbe elusa la finalità di cui all'art.720 cod. civ., attribuendosi ad uno solo dei condividenti commassati
un bene in natura, lasciando gli altri in comunione sui restanti beni ed attribuendo agli estranei al commassamento una somma di danaro pari all'eccedenza.
Ai fini dei conguagli, la Corte confermò la valutazione del compendio immobiliare operata dal c.t.u., contestata dalla difesa dei B, osservando che il pregevole palazzo, stimato in lire 1.587.770.000 nel 1999, aveva subito, nel novembre del 2003, un incremento del 50 per cento. Su tale stima non incideva negativamente la prenotazione di ipoteca sulla quota di G B in favore della società Aurea Domus. Infatti, l'ipoteca non comportava una perdita di valore dell'immobile poiché le quote diverse da quelle di G B non erano intaccate dalla stessa, che colpiva solo detta quota.
4. - Per la cassazione della sentenza parziale e di quella definitiva ricorrono Gianni, Lana, giuseppe, G B, anche quale erede di L B, sulla base di tre motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resistono con controricorso sia la società T s.r.l. sia la società Aurea Domus s.r.l.. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Deve, preliminarmente, essere esaminata la eccezione delle controricorrenti relativa al presunto difetto di interesse a sollevare i primi due motivi di ricorso in quanto sia nel caso di accoglimento, sia nel caso di rigetto degli stessi, i ricorrenti sarebbero comunque tenuti ad effettuare il pagamento dei conguagli a loro imposti.
2. - La eccezione non può trovare accoglimento, essendo evidente che dalla ricorrenza o meno di alienazioni di parte di quota discende la legittimazione o meno di controparte alla partecipazione alla divisione.
3. - Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1111, 1113, 1382, 1415 e 1417 c.c., art. 115 c.p.c., insufficiente motivazione, e si dolgono della motivazione con la quale la Corte di appello ha ritenuto che nella alienazione alla soc. T fosse ravvisatale una alienazione di parte di quota ai sensi dell'art. 732 c.c., che giustificava la partecipazione alla divisione di tale società, deducendo che il trasferimento alla stessa, con il contratto in data 24 settembre 1991, da parte di B A, M B, E B e M R B delle quote pari ai 42/108 su alcuni beni immobili facenti parti della eredità, non avendo efficacia reale immediata, non aveva fatto entrare la società acquirente nella comunione ereditaria. 4.1. - Ai fini della valutazione della fondatezza del motivo, ritiene il Collegio di dover procedere ad un riesame della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla individuazione della alienazione di parte di quota ai sensi dell'art. 732 c.c., che giustifica la partecipazione dell'acquirente alla divisione (ove nei suoi confronti non sia stato esercitato il retratto successorio).
4.2. - Secondo l'orientamento prevalente, il diritto di retratto riconosciuto ai coeredi dalla norma di cui all'art. 732 c.c. può attuarsi soltanto nel caso di alienazione (onerosa) della quota ereditaria, o di parte di essa, e non anche quando sia stato alienato un cespite determinato;in tal caso, infatti, data la mancanza nel coerede della titolarità esclusiva del diritto di proprietà sul singolo bene, l'efficacia della alienazione, con effetti puramente obbligatori, resta subordinata alla condizione della assegnazione, a seguito della divisione, del bene (o della sua quota parte) al coerede medesimo e quindi non può sorgere il pregiudizio (intromissione di estranei nella comunione ereditaria) che la norma in questione vuole evitare (sent. 23 aprile 2010 n. 9744;2 agosto 1990 n. 7749;15 giugno 1988 n. 4092;9 giugno 1983 n. 3959). Una tale limitazione, tuttavia, non ostacola l'esercizio del diritto in questione nel caso in cui gli elementi concreti che caratterizzano la fattispecie evidenzino, comunque, l'intento dei contraenti di sostituire nella comunione ereditaria il terzo estraneo al coerede alienante, e di considerare pertanto, in vista di una tale finalità, il bene, o i beni, oggetto della traslazione, in funzione rappresentativa e come indice espressivo della quota o di parte di essa, in quanto anche la traslazione di un solo bene finisce per individuare, nel caso in questione, la fattispecie presa in considerazione dall'art. 732 cit. (sent. 7 agosto 2002 n. 11881;7 dicembre 1999 n. 13704). 4.3. - Nell'ambito di tale orientamento sussiste contrasto in ordine al soggetto gravato dell'onere della prova della sussistenza (o della insussistenza) di una vendita di quota.
Talora, infatti, sulla premessa secondo la quale in tema di retratto successorio la regola è quella della sua esclusione, si è affermato che per poter ritenere che la alienazione di singoli cespiti abbia ad oggetto la quota ereditaria, è necessario che colui che eserciti il diritto di riscatto provi la discordanza della dichiarazione negoziale rispetto alla reale volontà dei contraenti, nel senso che costoro abbiano voluto far subentrare l'acquirente, sia pure nei limiti dei singoli beni oggetto del trasferimento, in tutti i rapporti e in tutte le situazioni giuridiche attive e passive della comunione ereditaria (sent. 16 agosto 1990 n. 8304). Nello stesso ordine di idee si è affermato che rappresenta pur sempre l'eccezione il caso in cui, pur avendo le parti indicato nella vendita beni determinati o quote di essi, in realtà esse abbiano voluto considerare questi non nella loro individualità, ma in funzione rappresentativa della quota ereditaria dell'alienante o di parte di essa e abbiano perciò inteso sostituire il terzo all'erede nella comunione ereditaria, non dovendosi neppure dimenticare che il principio generale dell'ordinamento è la libera disposizione del proprio patrimonio, e l'eccezione sono i vincoli quale indubbiamente è l'obbligo di dare la preferenza ai coeredi sanzionato con il diritto di retratto attribuito a costoro, per cui occorre essere particolarmente cauti prima di affermare, in via di interpretazione dell'atto di alienazione, che, nonostante la contemplazione di beni determinati come oggetto della alienazione, questi tuttavia siano stati considerati come misura della partecipazione alla comunione ereditaria (sent. 5 dicembre 1977 n. 5272;in senso sostanzialmente conforme cfr. sent. 18 marzo 1981 n. 1609). Si è anche parlato di onere della prova, da parte colui che esercita il diritto di riscatto, della discordanza della dichiarazione negoziale rispetto alla reale volontà dei contraenti, nel senso che costoro abbiano voluto far subentrare l'acquirente, sia pure nei limiti dei singoli beni oggetto del trasferimento, in tutti i rapporti e in tutte le situazioni giuridiche attive e passive della comunione ereditaria (sent. 12 aprile 1983 n. 2754;sen. 16 agosto 1990 n. 8304). Ne consegue che in tanto può parlarsi di retratto successorio in quanto sussistano elementi chiaramente sintomatici (Cass. 3 agosto 1962 n. 2348), o sicuri e convincenti (sent. 15 luglio 1966 n. 1902;sent. 9 aprile 1968 n. 1182) o una chiara ed univoca volontà (Cass. 5 dicembre 1977, cit.) in ordine agli effetti perseguiti dalle parti. Secondo altre decisioni, invece, la regola è quella della alienazione di quota (espressamente in tal senso cfr.: sent. 15 giugno 1988 n. 4092;2 agosto 1990 n. 7749;implicitamente cfr. sent. 29 aprile 1992 n. 5181), per cui il retratto successorio va escluso quando risulti che i contraenti non hanno inteso sostituire il terzo all'erede nella comunione ereditaria (sent. 2 agosto 1990, cit.), ma disporre del singolo bene, avendo considerato la res trasferita come bene a sè stante e non come quota del patrimonio ereditario o parametro per individuare la quota di detto patrimonio in quanto tale (sent. 30 ottobre 1992 n. 11809). 4.4. - L'adesione all'orientamento in questione, comporta, poi, il problema di individuare i criteri in base ai quali stabilire quale sia stata la concreta volontà delle parti.
Ai fini della indagine sulla volontà delle parti si è affermato che il giudice si deve valere di tutti gli elementi di giudizio che la fattispecie concreta presenta, considerando quelli che sono gli indici più sintomatici in materia, che vanno desunti dal tenore dell'atto, dal comportamento complessivo delle parti, dallo scopo pratico da loro perseguito e dalla consistenza del patrimonio ereditario (sent. 10 maggio 1957 n. 1632;31 marzo 1969 n. 1055;7 gennaio 1975 n. 22;Cass. 20 ottobre 1979 n. 5458;Cass. 13 luglio 1983 n. 4777;22 gennaio 1985 n. 246;15 giugno 1988 n. 4092;2 agosto 1990 n. 7749). Non si può tenere conto esclusivo, o preponderante, delle parole usate dalle parti, che possono essere, dal punto di vista tecnico, improprie o poco esatte, ma occorre invece effettuare, caso per caso, un'accurata indagine sulla volontà effettiva delle parti medesime (sent. 23 aprile 1966 n. 1049, con riferimento alle dichiarazioni delle parti precedenti alla alienazione).
Si può invece attribuire rilevanza alla eventuale esistenza di clausole che secondo i principi di normale prudenza le parti sono solite inserire negli atti di acquisto onde regolare tra loro le conseguenze della vendita (sent. 22 gennaio 1985, cit.). 4.5. - Il giudice del merito non può, però, limitarsi a constatare che nell'atto di alienazione sia dichiarato che l'acquirente viene immesso nella situazione giuridica dell'alienante, poiché una tale affermazione, riducendosi ad una clausola di stile, non è da sola idonea a far ritenere che si sia inteso far subentrare l'acquirente nella posizione ereditaria dell'alienante (sent. 17 marzo 1975 n. 1017). Si è riconosciuta rilevanza alla trasmissione immediata del compossesso (sent. 22 gennaio 1985, cit.), che è connotato normale, anche se non inderogabile, della vendita ad effetti reali (sent. 9 giugno 1987 n. 5042). Secondo alcune decisioni, per stabilire se la cessione di diritti su un bene determinato costituisca o meno alienazione di quota non ha valore il silenzio dei contraenti in ordine all'eventuale assunzione di passività, dal momento che tale effetto si verifica di diritto ai sensi degli artt. 1542 e 1546 c.c. (sent. 20 febbraio 1962 n. 287;24 luglio 1964 n. 2008;10 settembre 1969 n. 3079). In senso contrario si è affermato (sent. 3 agosto 1962 n. 2348) che la mancanza di una esplicita previsione dell'obbligo dell'acquirente di concorrere al pagamento delle passività ereditarie potrebbe costituire la conferma della inesistenza della vendita di una parte di quota. L'elemento costituito dal valore e dall'importanza del bene oggetto dell'alienazione, anche se considerato in rapporto alla consistenza del complesso ereditario, può costituire un indice rivelatore (sent. 16 ottobre 1958 n. 3282;30 novembre 1962 n. 3245;31 marzo 1969 n. 1055;21 febbraio 1979 n. 1124;20 ottobre 1979 n. 5458;6 maggio 1980 n. 2978;10 ottobre 1981 n. 5321;5 febbraio 1982 n. 661;9 giugno 1987 n. 5042), ma non ha carattere decisivo, giacché, come è possibile attraverso la vendita di un bene, la cui entità sia modesta in rapporto alla consistenza dell'asse ereditario, che sia inteso porre in essere una alienazione della quota ereditaria o di una parte di essa (sent. 24 luglio 1964 n. 2008), può viceversa accadere che si alieni, sia pure prò quota, un cespite che costituisca una parte rilevante dell'asse, senza che si voglia con ciò disporre della quota ereditaria (sent. 10 maggio 1957 n. 1632;3 agosto 1962, cit.;5 dicembre 1977 n. 5272). Nello stesso ordine di idee si e affermato che la circostanza che il bene specificato nell'atto di vendita comprenda quasi tutta la quota ereditaria del venditore non è da sola sufficiente per affermare la sussistenza della vendita di quota di eredità, trattandosi di elemento non univoco che, ritenendosi sufficiente, porterebbe alla conseguenza di annullare il principio della esigenza della indagine sulla effettiva volontà delle parti con le norme di ermeneutica contrattuale;in tal modo, infatti, nella vendita di bene determinato di pertinenza ereditaria si ravviserebbe sempre, con una presunzione non prevista dalla legge, la vendita, quanto meno parziale, di un quota di eredità (sent. 30 novembre 1962, cit.). Per quanto riguarda il comportamento delle parti successivamente alla alienazione si è ritenuto che non può riconoscersi rilevanza alla circostanza che l'acquirente abbia chiesto la divisione dei beni, poiché anche nell'alienazione della proprietà dei singoli beni compresi in una comunione l'acquirente ha diritto di chiedere la divisione, surrogandosi all'alienante (sent. 17 marzo 1974 n. 1017). Talora si è negato rilevo decisivo alla trasmissione del possesso dell'acquirente quando tale possesso sia limitato al solo bene alienato, giacché il contratto di vendita obbliga normalmente il venditore alla consegna della cosa venduta che sia in possesso del venditore, indipendentemente dal momento in cui si verifichi, per disposizione di legge o per volontà delle parti, l'effetto reale della trasmissione della proprietà (sent. 5 dicembre 1977 n. 5272);
in altre occasioni si è affermato che l'eventuale trasmissione immediata del compossesso è connotato normale, anche se non inderogabile, della vendita ad effetti reali (sent. 9 giugno 1987 n. 5042), che mal si concilia con quella situazione di aspettativa attribuita al terzo, in caso di vendita di beni determinati, fino allo scioglimento della comunione (sent. 22 gennaio 1985, cit.). È pacifico che l'indagine di merito, diretta ad accertare, ai fini dell'ammissibilità del retratto successorio, se la vendita compiuta da un coerede abbia avuto per oggetto la quota ereditaria (o una sua frazione) ovvero bene determinati, costituisce apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici (sent. 4 gennaio 2011 n. 97). Secondo l'orientamento di questa Corte, poi, la alienazione della quota di un coerede sull'unico cespite ereditario non è sufficiente a realizzare le condizioni per l'esercizio del retratto successorio, occorrendo anche in tale ipotesi accertare se le parti abbiano inteso, comunque, rendere partecipe l'acquirente di tutti i rapporti e di tutte le situazioni giuridiche attive e passive che fanno capo alla comunione ereditaria.
Per alcune decisioni nella relativa indagine il criterio oggettivo acquista un peso particolare, costituivo di una presunzione a favore degli altri eredi che intendano esercitare il retratto (sent. 18 marzo 1981 n. 1609;25 maggio 1982 n. 3181;12 aprile 1983 n. 2574;
22 gennaio 1985 n. 246;20 gennaio 1986 n. 369;13 aprile 1988 n. 2934;9 aprile 1997 n. 3049;30 gennaio 2006 n. 1852;28 ottobre 2010 n. 22086), in quanto, verificandosi in tale ipotesi il sostanziale esaurimento dell'intero complesso ereditario, occorre che dalla indagine circa l'effettiva intenzione delle parti emergano elementi sicuri e convincenti onde ritenere, con riferimento al contenuto complessivo del contratto ed all'atteggiamento delle parti che queste non abbiano inteso, comunque, rendere partecipe l'acquirente di tutti i rapporti e di tutte le situazioni attive e passive che fanno capo alla comunione ereditaria (sent. 24 maggio 1973 n. 1537;25 maggio 1982 n. 3181). Tale presunzione può tuttavia essere vinta da altri elementi sintomatici di una diversa volontà delle parti, quale la mancanza di ogni riferimento alla consistenza del compendio ereditario o all'accollo di eventuali passività (sent. 23 luglio 1993 n. 8259;nel senso che non sarebbe sufficiente, per superare la presunzione, la previsione nel preliminare della stipulazione del definitivo all'esito del giudizio di divisione, cfr. sent. 2 agosto 1990 n. 7749;sulla irrilevanza del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo, cfr. 9 aprile 1997 n. 3049). Non mancano decisioni, peraltro, secondo le quali la circostanza che la alienazione abbia ad oggetto la quota dell'unico bene dell'eredità non autorizza di per sè a presumere la ricorrenza di una vendita di quota ereditaria, ma integra un mero elemento indiziario, valutabile unitamente a tutti gli altri, per stabilire se detto coerede, che invochi il riscatto, abbia assolto l'onere di provare tale vendita di quota ereditaria (sent. 20 gennaio 1986 n. 369;2 febbraio 1988 n. 950;29 aprile 1992 n. 5181). 4.6. - Osserva il collegio che alla luce della giurisprudenza esposta il confine tra le alienazioni soggette a retratto e quelle che non lo sono viene ad essere molto nebuloso, il che significa che non si può prevedere con una certa sicurezza se il giudice deciderà in un modo piuttosto che in altro, come è dimostrato dalla esistenza di casi quasi identici risolti in modo del tutto antitetico. Si può in proposito ricordare che la sentenza di questa Corte 3 agosto 1962 n. 2348 ha negato l'esperibilità del retratto nei confronti di una alienazione dei diritti di comproprietà, pari alla metà, sull'unico immobile ereditario, perché erano esclusi i diritti su beni mobili aventi valore di circa lire 20.000, mentre la sentenza 24 luglio 1964 n. 2008 ha ammesso l'esercizio del retratto rispetto ad una alienazione che aveva per oggetto tutti gli immobili con esclusione di mobili di scarso valore.
Per trovare una soluzione soddisfacente al problema occorre prendere le mosse dalle prime decisioni di questa Corte in tema di alienazioni di eredi su singoli beni ereditari, le quali affermarono che la parte di quota di cui all'art. 732 cod. civ. non sarebbe altro che una frazione matematica del patrimonio ereditario, considerato come complesso di rapporti giuridici attivi e passivi, per cui non darebbe luogo a retratto successorio l'alienazione di beni determinati, non potendo essere la parte che una porzione omogenea rispetto al tutto. In senso contrario non varrebbe invocare l'art. 768 cod. civ. (il quale considera la vendita di beni singoli come vendita di parte della porzione del coerede), in quanto in tale disposizione il legislatore ha avuto cura di parlare di alienazione "porzione" o di "parte di essa" e non di alienazione di quota e ha negato a quell'alienazione il valore di conferma della divisione quando gli oggetti alienati (che però sono diventati in toto di proprietà dell'alienante) abbiano valore minimo, non in senso assoluto, ma in rapporto alla quota, che viene presa in considerazione unicamente come termine di paragone e non come oggetto della vendita (sent. 7 agosto 1946 n. 1104). Si è anche affermato che l'esclusione del retratto successorio nel caso di vendita di diritti spettanti all'erede su un bene determinato della comunione dipende dal fatto che tale alienazione avrebbe lo stesso contenuto e la stessa natura della vendita di un bene comune in toto;in entrambi i casi l'alienazione è subordinata alla condizione sospensiva che la cosa comune ed indivisa venga assegnata in tutto o in parte al coerede alienante, secondo quanto disposto dall'art. 757 cod. civ. e quindi non produrrebbe quegli effetti reali immediati che sono il presupposto per l'esercizio del retratto successorio (sent. 7 agosto 1946, cit.;26 novembre 1950 n. 2658;9 luglio 1953 n. 2199). Alcune delle fattispecie sulle quali questa Corte era stata chiamata a pronunciarsi riguardavano, però, alienazioni in cui le parti, pur non parlando espressamente di vendita di quota, trasferivano i diritti del coerede su tutti gli immobili facenti parte della comunione ereditaria, specificamente indicati, senza far cenno dei diritti mobiliari, per lo più di scarso valore.
Di fronte a tali alienazioni si ritenne che, dal momento che non vi sono formule sacramentali da osservare, la individuazione dei beni nell'atto di vendita non è di ostacolo all'esistenza di una vendita di quota (sent. 26 novembre 1950, cit.;9 luglio 1953, cit.). Come l'indicazione di beni determinati non esclude che il chiamato sia ritenuto erede e non legatario, in base all'art. 588 cod. civ., quando risulti che il tastatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio, così la indicazione di beni determinati non è di ostacolo a che vi sia alienazione di quota o di porzione della stessa (sent. 26 novembre 1950, cit.;9 luglio 1953, cit.). Occorre perciò indagare caso per caso se le parti abbiano inteso sostituire il terzo al coerede nella comunione ereditaria oppure vendere cose determinate subordinatamente all'attribuzione di esse al coerede venditore in sede di divisione, tenendo conto anche del fatto che le parti potrebbero avere maliziosamente mascherato nelle forme dell'alienazione di cose determinate l'intendimento di realizzare una cessione di quota ereditaria (sent. 9 luglio 1953, cit.). 4.7. - In tal modo venivano affermati alcuni principi della cui esattezza non si può dubitare: 1) il retratto successorio è esperibile soltanto nel caso di alienazione della quota spettante al coerede o di una frazione matematica di essa;2) l'alienazione dei diritti (o di una frazione matematica di essi) spettanti ad un coerede su un singolo bene ereditario non costituisce vendita di parte di quota ai fini dell'esercizio del retratto successorio;3) la alienazione dei diritti (o di una frazione matematica di essi) spettanti ad un coerede su tutti i beni immobili ereditari comporta l'ingresso dell'acquirente nella comunione ereditaria, con conseguente esperibilità del retratto successorio, solo quando risulti che le parti hanno, in realtà, inteso trasferire i diritti (o una frazione matematica di essi) dell'erede su tutti i beni ereditari.
Ad un certo punto, però, intervenne una decisione in una fattispecie particolare, costituita dalla vendita, da parte di alcuni coeredi, dei loro diritti su un azienda elettrica, che costituiva il bene di maggior valore dell'eredità, la quale comprendeva peraltro altri beni mobili ed immobili di notevole valore, per cui era da escludere che le parti, pur facendo riferimento solo ad alcuni dei diritti spettanti agli alienanti sull'eredità, avessero in realtà inteso trasferire le quote nel loro complesso. Questa Corte si limitò ad affermare che "la legge consente il retratto anche nel caso di cessione di parte (intesa come pars quota) di quota ereditaria" (sent. 21 agosto 1953 n. 2824). Successivamente a tale decisione si è fatto strada l'orientamento illustrato, favorevole alla esperibilità del retratto successorio nel caso di alienazione di singoli diritti ereditari quando le parti abbiano considerato gli stessi come espressione di un rapporto col patrimonio ereditario visto nel suo complesso di rapporti giuridici e passivi, in quanto in tal caso si potrebbe parlare di alienazione di parte di quota.
4.8. - Fa eccezione a tale orientamento una decisione secondo la quale nella vendita, specificamente riferita ai diritti di comproprietà del coerede su determinati beni, può ravvisarsi, per presunzione iuris tantum, un trasferimento sostanzialmente rivolto a far subentrare l'acquirente nella globalità delle posizioni riconducibili alla comunione ereditaria, e, quindi, una vendita della quota ereditaria, soggetta, a norma dell'art. 732 c.c., alla prelazione ed al riscatto degli altri coeredi, solo quando detti beni esauriscano i cespiti della comunione ereditaria (Cass. 12 aprile 1983 n. 2574). 4.9. - Rimeditata la questione, ritiene il collegio di non poter condividere l'orientamento secondo il quale in astratto anche la vendita dei diritti spettanti ad un coerede su singoli beni ereditar possa integrare quella alienazione di parte di quota che comporta il subentro dell'acquirente nella comunione ereditaria. Non viene spiegato, in primo luogo, per quale motivo se taluno vende i propri diritti su uno solo dei beni comuni, ma in funzione di quota del patrimonio, si abbia alienazione di parte di quota, con conseguente intromissione dell'estraneo nella comunione, mentre se la stessa alienazione viene compiuta senza che possa dirsi venduta una parte di quota debba negarsi tale conseguenza. Se, in altri termini, dall'art. 757 cod. civ. è ricavabile il principio generale secondo il quale la vendita dei diritti spettanti ad un coerede su un singolo bene ereditario non può avere effetti reali immediati, non si capisce perché questa regola possa subire una eccezione se le parti hanno considerato tale diritto non a sè stante, ma in quanto frazione del patrimonio ereditario, in mancanza di una disposizione che consenta tale deroga.
Nè vale invocare l'art. 588 c.c., comma 2, il quale riconosce che la volontà del testatore può derogare al principio generale espresso del comma 1, in base al quale la attribuzione di beni determinati può comportare la attribuzione al beneficiario della qualità di erede, e non di semplice legatario.
L'art. 757 cod. civ., invece, non attribuisce alle parti alcun potere di derogare al principio secondo il quale la vendita di singoli beni da parte dell'erede (o dei diritti a questi spettanti su di essi) non comporta un effetto reale immediato, con conseguente insussistenza dei presupposti per l'esercizio del retratto successorio. Ciò senza considerare che in al modo si consentirebbe alle parti, attraverso l'alienazione dei diritti spettanti ad un coerede su un singolo bene ereditario, di ottenere l'abnorme risultato di far partecipare l'acquirente alla comunione su tutti i beni ed alla divisione di essi.
4.10. - Alla luce di quanto esposto, infine, è evidente che non può condividersi la decisione secondo la quale può accadere che, pur alienando tutti i beni componenti la quota, ciò le parti abbiano voluto solo con effetto obbligatorio, conservando all'alienante la posizione giuridica di partecipante alla comunione ereditaria (sent. 25 maggio 1973 n. 1537). L'adesione all'orientamento criticato, poi, comporterebbe che la misura della parte di quota trasferita non sarebbe determinabile ex ante, ma solo ex post, sulla base del raffronto tra il valore dei singoli diritti trasferiti ed il valore dell'intero attivo ereditario.
Tutto ciò non vale, naturalmente, nelle ipotesi in cui risulti, anche attraverso il comportamento delle parti (rappresentato, ad es., dall'inserimento dell'acquirente nella gestione della comunione) l'intenzione delle stesse, pur attraverso la menzione dei soli beni economicamente più significativi (in genere gli immobili) di trasferire l'intera quota spettante all'alienante. 4.11. - In definitiva, ritiene il Collegio che si debba affermare il seguente principio di diritto: "Ai sensi dell'art. 757 c.c. la alienazione da parte di un coerede dei diritti allo stesso spettanti su alcuni beni facenti parte della comunione ereditaria non fa subentrare l'acquirente nella comunione stessa, a meno che non risulti, anche attraverso il comportamento delle parti (rappresentato, ad es., dall'inserimento dell'acquirente nella gestione della comunione), l'intenzione delle stesse, pur attraverso la menzione dei soli beni economicamente più significativi, di trasferire l'intera quota spettante all'alienante". Sulla base di tali premesse il primo motivo del ricorso deve essere accolto.
5. - Per le stesse ragioni va accolto il secondo motivo, con il quale si contesta la legittimazione alla partecipazione alla divisione della soc. Aurea Domus. È vero che quest'ultima si è resa assegnataria in sede di concordato fallimentare della quota spettante a Mario Duches su tutti gli immobili facenti parte della eredità, ma non è meno vero che, come risulta dalla sentenza impugnata, dal trasferimento sono stati esclusi i diritti spettanti all'erede sui beni mobili (tra l'altro di notevolissimo valore), il che era sufficiente ad escludere, ai sensi del più volte citato art. 757 c.c., l'efficacia reale immediata del trasferimento, contrariamente a
quanto affermato dalla sentenza impugnata, che parla di integrale sostituzione, in detti limiti, della società nei rapporti nascenti dalla comunione.
6. - Resta assorbito dall'accoglimento del primo e del secondo motivo l'esame del terzo, con il quale si deduce la carente, insufficiente, omessa motivazione in ordine alla valutazione del compendio immobiliare costituito dal palazzo di Cles.
7. - Conclusivamente, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo. Le sentenze impugnate vanno cassate in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata ad un diverso giudice - che si individua in altra sezione della Corte d'appello di Trento, cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio - che riesaminerà la controversia alla luce del principio di diritto enunciato sub 4.11.