Cass. civ., sez. V trib., sentenza 25/11/2005, n. 24990
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiMassime • 1
L'art. 16, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui, prevedendo che l'impugnativa dei provvedimenti di diniego della definizione agevolata delle liti fiscali venga proposta dinanzi all'organo giurisdizionale dinanzi al quale le liti medesime pendano, individua nella Corte di cassazione il giudice competente a conoscere di detta impugnativa quando il giudizio si trovi nella fase di legittimità, ha carattere di assoluta eccezionalità; esso è pertanto applicabile soltanto in presenza di tutte le condizioni che, in base al suo dettato, ne legittimano l'operatività, mentre in ogni altro caso i provvedimenti di diniego possono essere impugnati dinanzi agli altri giudici individuati dalla medesima disposizione, ovvero dinanzi ai giudici tributari ordinariamente competenti. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il provvedimento con cui l'Amministrazione finanziaria aveva negato la definizione agevolata in riferimento ad un giudizio già pendente in sede di legittimità, ma definito con sentenza anteriore alla proposizione dell'istanza di definizione).
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P G - rel. Presidente -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. C M M - Consigliere -
Dott. F E - Consigliere -
Dott. D B A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B L, elettivamente domiciliato in Roma, via Baldo degli Ubaldi n. 66, presso l'avv. R V, che lo rappresenta e difende, insieme all'avv. R M del foro di Ferrara, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, Ufficio di Adria e AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata quest'ultima dall'Avvocatura generale dello Stato e con questa elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
- controricorrente -
avverso il provvedimento di diniego di definizione di lite pendente prot. n. 16122 del 29 giugno 2004, adottato dall'Ufficio di Adria dell'Agenzia delle entrate;
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 21 ottobre 2005 dal Presidente relatore Dr. G P;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C P, il quale ha concluso chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Ufficio di Adria dell'Agenzia delle entrate, con provvedimento prot. n. 16122 del 29 giugno 2004, notificato all'interessato il 9 luglio 2004, ha sancito il diniego della definizione agevolata, à termini della L. 27 dicembre 2002 n. 289, art. 16, della lite fiscale promossa, a suo tempo, da L B per contestare la cartella n. 817.749.096 recante intimazione del pagamento di irpef ed ilor (con relativi accessori) liquidate a mente del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 600, art. 36 bis con riferimento al 1990 dal, già operante, Centro
di servizio delle imposte dirette di Venezia, lite nel quadro della quale risultava pronunciata sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 124/24/01 del 16 gennaio 2002, impugnata con ricorso per Cassazione del 14 novembre 2002: ha motivato la statuizione così adottata osservando, "preliminarmente", che "nella domanda di definizione (di) lite fiscale è stato indicato che la lite è pendente in C.T.R. di Venezia, (mentre) in realtà è pendente presso la Corte di Cassazione coma da ricorso notificato in data 14/11/2002", e che "erronea è altresì il tipo di atto impugnato: trattasi di cartella di pagamento e non di avviso di irrorazione sanzioni;evidenziando, quindi, avere la lite discussa riguardo ad impugnativa di cartella concernente liquidazione, come detto fatta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, di tributi dovuti "per omessi e carenti versamenti, "sulla base dei dati esposti nella dichiarazione dei redditi per i quali l'Ufficio non ha provveduto a rettificarne il valore";considerando che, pertanto, "tale atto non rappresenta ne' un avviso di accertamento, ne' altro tipo di atto impositivo condonabile ai sensi della L. n. comma 3;
richiamando, in proposito, la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 12 E del 21 febbraio 2003, par. 11.3.3., alla stregua della quale "gli avvisi di liquidazione, l'ingiunzione e il ruolo, in considerazione della natura di tali atti, non riconducibili alla categoria degli atti impositivi, non sono definibili ai sensi della L. n. 289 del 2000, art. 16, in quanto sono atti finalizzati alla mera liquidazione e riscossione del tributo e degli accessori". L B, con ricorso proposto nei confronti dell'Ufficio di Adria della Agenzia delle entrate e notificato a tale ufficio, nonché all'Avvocatura generale dello Stato fra il 21 ed il 25 ottobre 2004, ha impugnato dinanzi a questa Corte Suprema, a norma della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8, il provvedimento suindicato, del quale ha chiesto, con due mezzi, l'annullamento. Il B, con una prima censura, titolata "violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.c., n. 3 (L. n. 212 del 2000, art. 1) prospetta quanto segue:
"I rapporti fra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Poiché la lite pendente è stata promossa dalla stessa Agenzia delle Entrate a difesa di un atto dalla stessa emanato, appare quantomeno singolare che questa invochi quale primo motivo di reiezione della istanza di definizione della lite pendente l'erronea indicazione del giudice avanti il quale è incardinato il giudizio.
Lo stesso dicasi per l'erronea indicazione dell'atto impugnato (avviso di irrogazione sanzioni anziché cartella di pagamento):
l'Ufficio ben conosce l'atto di cui trattasi, avendolo emanato. L'errore, quando è agevolmente riconoscibile, come nel caso di specie, non può inficiare la validità dell'atto, come ha statuito la Suprema Corte in più occasioni...".
Il ricorrente, poi, con una seconda doglianza, titolata "violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c. n. 3, (L. n. 289 del 2002, art. 16)", svolge le seguenti considerazioni.
"La controversia già pendente avanti la Ecc.ma Corte di Cassazione concerne l'annullamento della cartella esattoriale e dell'iscrizione a ruolo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis disposta dalla C.T.R. di Venezia.
Il punto della controversia concerne la legittimità dell'operato dell'Ufficio, che ha proceduto alla liquidazione ex art. 36 bis c.c. e alla iscrizione a ruolo nonostante il contribuente avesse già presentato dichiarazione integrativa ex L. n. 413 del 1991 (condono tombale) e versato tutto quanto dovuto in base alla stessa. Con il provvedimento di diniego che qui si impugna, l'Ufficio contesta, in senso lato, l'ammissibilità dei ricorsi avanti le Commissioni Tributarie, ritenendo che la L. n. 413 del 1991, art. 57 consenta di procedere ex art. 36 bis c.c. a prescindere dall'avvenuta presentazione dell'istanza di condono, e contesta, in senso stretto, la possibilità che il ricorso pendente avanti l'Ecc.ma Corte di Cassazione rientri fra quelli di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16. La tesi dell'Ufficio è completamente fuori luogo: è pacifico che sussista una lite fiscale pendente ed il relazione ad essa il sig. B Luigi ha inteso avvalersi della normativa di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16. Riguardo all'ambito di applicazione della normativa in questione, va precisato che, a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 27 del 2003, è stato esteso l'ambito di applicazione della chiusura delle
liti fiscali anche alle controversie pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione.
La definizione è comunque ammessa, a mente del disposto della citata L. n. 289 del 2002, art. 16, il quale si riferisce a qualunque controversia avente come oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni e, più in generale, ogni altro atto di imposizione, senza nessuna esclusione. Va evidenziato che Vari 16 in esame, utilizzando la generica dicitura ogni altro atto di imposizione, non può che comprendere anche le liti relative all'impugnazione di un ruolo o di una cartella, ovvero di un avviso di liquidazione emesso sulla base degli stessi elementi forniti dal contribuente.
Tale generica dicitura è tanto più significativa se confrontata con la specifica enunciazione degli atti contenuta nella Legge Finanziaria del 2003, art. 15 e nel D.L. 30 settembre 1994 n. 564, art. 2 quinquies. Comunque, possono venire definite attraverso l'art. 16 c.c. le controversie sorte in base alla del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, quando, come nel caso di specie, la cartella non si limita a
richiedere somme già incontrovertibilmente determinate, o semplicemente calcolate in base a dati forniti dal contribuente, ma contiene una, sia pur sintetica, richiesta di imposta in contrasto con la tesi seguita dal contribuente, cui vengono disconosciute deduzioni ed oneri.
In questi termini si è espressa la stessa Agenzia delle Entrate con le circolari n. 12/E del 21/02/2003, par. 11.3.5 e n. 3/E del 15/01/2003, par. 10.3.
Pertanto, la lite pendente può essere definita ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16". L'Agenzia delle entrate resiste al ricorso con controricorso del 30 novembre 2004, nel quale sostiene:
"Il ricorso è inammissibile sotto molteplici profili: anzitutto esso è stato proposto contro l'Ufficio locale di Adria dell'Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t. di quell'Ufficio (mentre unico soggetto legittimato a stare in giudizio, dinanzi all'Ecc.ma Corte, è l'Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore Centrale p.t.). Non va, poi, sottaciuto che codesta Ecc.ma Corte con sentenza 16212 (che si produce) pronunciata il 3 maggio 2004 e depositata il 19 agosto 2004, ha deciso il ricorso proposto dall'Erario avverso la suddetta sentenza n. 124 del 2001 della C.T.R. di Venezia, cassando quest'ultima e decidendo nel merita, rigettando l'originario ricorso del sig. B (avverso la cartella). È dunque evidente che il ricorso che si confuta proposto (il 25 ottobre 2004) quando la lite non era più pendente dinanzi all'Ecc.ma Corte ed anzi era stata definita con sentenza passata ingiudicato è inammissibile". È poi evidente che il ricorso che si confuta è infondato: la lite che ex adverso si voleva definire era relativa a cartella esattoriale emessa a seguito di liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, della dichiarazione dei redditi;dunque si tratta di lite
insuscettibile di definizione L. n. 289 del 2002, ex art. 16". Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) - Pregiudiziale rispetto all'esame di ogni altra questione è la verifica (esperibile d'ufficio e, comunque, sollecitata sostanzialmente dalla p.a. controricorrente con la deduzione intesa a prospettare essere il delibato ricorso immeritevole di ingresso perché "proposto quando la lite non era più pendente dinanzi alla Ecc.ma Corte ed anzi era stata definita con sentenza passata in giudicato") della competenza di questa Corte Suprema a provvedere sul merito della discussa impugnazione di provvedimento di diniego della definizione agevolata, ai sensi della L. 27 dicembre 2002 n. 289, art. 16, della vertenza di cui in narrativa e, quindi,
dell'ammissibilità, sotto il profilo considerato, dell'impugnazione detta.
2) - A) - In proposito, innanzi tutto, giova evidenziare, in punto di fatto, che il ricorso in argomento risulta essere stato proposto il 21 ottobre 2004, e cioè quando sulla vertenza della definibilità agevolata della quale si tratta questa Corte Suprema aveva provveduto, con sentenza n. 16212 del 15 agosto 2004, sanzionando, ex art. 384 cod.proc.civ., comma 1, la reiezione nel merito delle istanze fatte valere dall'attuale ricorrente nel quadro della stessa (e cosi, implicitamente ma inequivocabilmente, dando per presupposta la relativa non condonabilità a mente della L. n. 289 del 2002). B) - Ciò posto, è da dire che la norma cui si correla la
proposizione nella presente sede dell'esaminato gravame, ossia della ripetuta L. 27 dicembre 2002 n. 289, art. 16, comma 8, nella parte nella quale, prevedendo che l'impugnativa dei provvedimenti di diniego della definizione agevolata delle liti fiscali venga proposta dinanzi all'organo giurisdizionale dinanzi al quale le liti medesime pendano, individua nella Corte Suprema di cassazione il giudice competente a conoscere di detta impugnativa quando il giudizio si trovi nella fase di legittimità, ha carattere di assoluta eccezionalità, e, perciò, è suscettibile di applicazione soltanto nella riscontrata sussistenza di tutte le condizioni che, sulla base del suo dettato, ne legittimano l'operatività (sulla natura eccezionale della norma in discorso, cfr, Cass. Sez. trib., sent. n. 3427 del 21/02/2005). C) - La norma di cui alla lettera precedente, dunque, per come risulta dal suo testo, prevede la competenza di questa Corte Suprema a conoscere delle impugnative del genere di quella qui in discussione nel caso che le impugnative stesse vengano proposte con riferimento a, e/o nel quadro di, giudizi attualmente pendenti in sede di legittimità (restando in ogni altro caso i provvedimenti dell'amministrazione finanziaria recanti diniego della definizione agevolata delle liti fiscali contestabili o dinanzi agli altri giudici individuati à termini della ridetta L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8, ovvero, in ipotesi residuali, dinanzi ai giudici
tributari ordinariamente competenti ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546). D) - Alla stregua del dato normativo considerato, e nella rilevata esclusione di ogni possibilità di applicazione analogica della surrichiamata disposizione enucleabile dalla L. 27 dicembre 2002 n. 289, art. 16, il fatto, posto in risalto sub A), che il ricorso di
che trattasi sia stato introdotto con riferimento a giudizio non più attualmente pendente in fase di legittimità nel momento della relativa proposizione, perché già in precedenza definito (nei termini illustrati) dalla sentenza n. 16212 del 2004 dianzi ricordata, comporta che esso debba essere ravvisato, e dichiarato, senz'altro inammissibile in ragione dell'incompetenza di questa Corte Suprema a conoscerne.
3) - Tutte le altre questione, da ritenersi sottordinate, restano assorbite.
4) - Le spese vengono compensate fra le parti.