Cass. civ., sez. V trib., sentenza 31/01/2019, n. 2848

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In tema di imposta sul reddito, la "comunione familiare montana" rientra tra gli enti gestori del demanio collettivo esenti dall'IRPEG ai sensi dell'art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986 (ora art. 74 del medesimo decreto, applicabile "ratione temporis") purché svolga in via esclusiva attività di interesse collettivo ed il godimento del territorio oggetto della stessa spetti all'intera collettività e non ai soli partecipanti della comunione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 31/01/2019, n. 2848
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 2848
Data del deposito : 31 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 51/01/2011, depositata dalla CTR del Friuli Venezia-Giulia il 14.02.2011.

Ha riferito che il Consorzio Agrario di Ratece aveva impugnato il silenzio rifiuto all'istanza di rimborso dell'Irpeg relativa alle annualità comprese tra il 2000 ed il 2004.

L'Ente si doleva del rifiuto perchè, avendo natura giuridica di "Comunione familiare montana", era riconducibile alla categoria degli enti gestori del demanio collettivo, soggetti esenti dall'Irpeg ai sensi dell'art. 88 TUIR (ratione temporis vigente, ora art. 74).

La Commissione Tributaria Provinciale di Udine aveva accolto il ricorso dell'ente con sentenza n. 120/03/2008. La Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, con la pronuncia ora impugnata, aveva rigettato l'appello dell'Ufficio.

L'Agenzia censura con tre motivi la sentenza.

Con il primo per violazione e falsa applicazione degli artt. 73 e 74 Tuir e della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 3 del 1996, art. 1, comma 1, per aver erroneamente compreso il Consorzio agrario di Ratece tra i soggetti esentati dall'Irpeg ex art. 74 cit.;

con il secondo per violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente applicato le regole di distribuzione dell'onere della prova in tema di istanze di rimborso;

con il terzo per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver adeguatamente affrontato, sul piano motivazionale, la controversa questione.

In conclusione ha chiesto la cassazione della sentenza.

La contribuente si è costituita, insistendo sulla infondatezza delle pretese della Agenzia e chiedendo il rigetto del ricorso. Ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c. All'udienza pubblica del 15 ottobre 2018, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa &
stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

I tre motivi, che possono essere trattati unitariamente perchè sostanzialmente accomunati dalla critica alla pronuncia del giudice regionale che, tanto sul piano ermeneutico del dato normativo, quanto in riferimento agli elementi di riscontro delle attività e finalità della contribuente, ha ritenuto ad essa applicabile il regime di esenzione dall'Irpeg ai sensi dell'allora vigente art. 88 TUIR, sono fondati e trovano accoglimento.

La sentenza impugnata ha evidenziato che la L. n. 1102 del 1971, art. 10 (legge sulle comunità montane), trattando delle comunioni familiari montane, rinvia "ai rispettivi statuti e consuetudini con l'intento di garantire finalità di godimento, amministrazione e organizzazione dei beni agro-silvo-pastorali, anche in applicazione di leggi regionali per quanto riguarda la pubblicità di statuti, di bilanci e di nomine dei rappresentanti legali e ai fini del legame del patrimonio antico delle comunioni nella funzione inalienabile, indivisibile e vincolata alle attività agro-silvo-pastorali, blindando la primitiva consistenza forestale del patrimonio comune dei beni acquistati fino al 1952". Ha quindi attestato che le "regole di comunione familiare" sono testimonianza del millenario legame tra le comunità locali e il territorio, avendo attualmente funzione di conservazione e valorizzazione dell'ambiente, attente alla sostenibile fruizione del territorio, un tempo di diritto pubblico, oggi di diritto privato a partire dalla L. 1102 del 1971. Ha poi avvertito che il Consorzio Agrario di Ratece è una entità minuscola rispetto ad altri più consistenti, che pur non avendo ancora "acquisito lo statuto a termini della normativa specifica regionale" (per il costo delle procedure notarili) persegue al pari degli altri enti i fini di valorizzazione del territorio, sicchè l'assenza del Decreto del Presidente della Giunta Regionale di acquisizione di personalità giuridica può ritenersi superato, ai fini della esenzione dall'imposta, "dalla notoria e antica funzione svolta....quale associazione gestore del demanio collettivo nella piccola e remota comunità alpina.".

Di contro l'Ufficio ha evidenziato che l'esclusione della soggettività all'imposta debba riguardare soggetti pubblici, laddove nel caso di specie l'ente assumeva personalità giuridica di diritto privato;
ha riscontrato peraltro che l'ente svolgeva attività agrituristica, di natura commerciale, con presenza nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni in contestazione (2000-2004) non solo di redditi da terreni e fabbricati "ma anche di redditi diversi di importo non esiguo";
ha evidenziato che nell'art. 2 dello statuto è previsto che l'utilizzo del territorio è riservato solo agli associati e non all'intera collettività del territorio, per essere vincolata alla titolarità della proprietà e dei diritti reali di godimento sui beni ubicati nell'area del consorzio, e dunque con facoltà di godimento ristretta a talune categorie di soggetti e non alla collettività nella sua interezza.

Va premesso che la L.R. Friuli Venezia Giulia n. 3 del 1996, recante "Disciplina delle associazioni e dei consorzi di comunioni familiari montane", ha previsto il riconoscimento della "personalità giuridica di diritto privato alle associazioni e ai consorzi di comunioni familiari montane o ad organizzazioni di similare natura" (art. 1) "aventi per scopo l'esercizio ed il godimento collettivo di diritti reali su fondi di natura agro-silvo-pastorale di comune proprietà (...)" (art. 2). La citata L.R. del 1996, art. 3, stabilisce che con il provvedimento di concessione della personalità giuridica "è approvato anche lo statuto dell'associazione", mentre il successivo art. 4 prevede l'istituzione di un "pubblico elenco regionale delle associazioni, che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica".

Anche la recente L. 20 novembre 2017, n. 168, denominata "norme in materia di domini collettivi" ha previsto che "gli enti esponenziali delle collettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà colletiva hanno personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria.".

L'art. 74 (già 88) TUIR, la cui rubrica è dedicata allo "Stato ed enti pubblici", elenca nel comma 1 gli organi dello Stato e gli altri enti non assoggettati all'Irpeg (oggi Ires). La norma, nella sua formulazione originaria riportava un elenco più limitato, ampliato solo con L. n. 449 del 1997, la quale con l'art. 22 aggiunse i "consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani collettivi". Ciò sta ad intendere che tali ultimi enti sino all'1.01.1998 erano assoggettati ad Irpeg e che comunque il suddetto elenco è da ritenersi tassativo. Secondo quanto precisa la circolare n. 40 del 1999 dell'AE, per beni demaniali collettivi devono intendersi i "beni soggetti a forme di proprietà collettiva di diritto pubblico" caratterizzati da un particolare regime giuridico consistente, in via generale, nell'inalienabilità, imprescrittibilità, inespropriabilità, inusucapibilità e nella perpetuità del vincolo "a favore di collettività". Talì collettività esercitano sui beni in questione "diritti civici perpetui di godimento di natura pubblicistica" per cui la loro disciplina è equiparata al regime della demanialità.

Alla luce della normativa introdotta con la L. 168 del 2017, risulta evidentemente superata la questione, controversa, della necessità che l'ente sia soggetto di diritto pubblico.

Ciò tuttavia, con riferimento al caso di specie, non supera ogni riserva sulla applicabilità alla contribuente del regime di esenzione dall'imposta.

Il particolare la giurisprudenza di questa Corte ha sul punto affermato che, in tema di agevolazioni tributarie, l'art. 88 (oggi 74) TUIR, data la sua specialità, è agevolazione applicabile esclusivamente ai soggetti ivi elencati e non può essere estesa ad emanazioni organizzative degli enti stessi o ad altri enti che si prefiggano il soddisfacimento di interessi particolari come quelli riguardanti una categoria ristretta di persone, in luogo della realizzazione dell'interesse generale o dei fini istituzionali propri dell'ente pubblico cui risultano collegati (Cass., sent. n. 1382/2004). Il principio assume rilievo non per il rinvio alla natura pubblica dell'ente, ma alla riconduzione della meritevolezza della fruizione di regimi agevolativi alla collettività, con esclusione dunque di compagini relative a categorie ristrette di persone.

Si è d'altronde affermato che costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell'assenza dei presupposti impositivi (Cass., sent. nn. 4490/2012, 29613/2011), ed è stato altresì sostenuto che la verifica dell'esercizio di funzioni che non costituiscono attività commerciali da parte dei soggetti contemplati dal citato art. 88 (oggi 74) va effettuata dal giudice di merito, in base al criterio delle finalità perseguite sulla scorta dell'atto costitutivo, ovvero sulla base dell'attività effettivamente esercitata (Cass., sent. n. 11755/2009). A tal fine anzi, in riferimento a consorzio tra enti locali, compreso nell'elenco dell'art. 74, comma 1, al pari degli enti gestori del demanio collettivo, si è addirittura affermato che "la qualifica di ente pubblico non può servire come scudo per svolgere, di fatto, un'attività soggetta ad imposta, sfuggendo all'imposta stessa" (cfr. n. 11755 cit.).

A conforto della relatività dello stesso vincolo di destinazione dei terreni di un consorzio, soccorre il principio secondo cui i beni oggetto di proprietà regoliera - cioè compresi nel patrimonio agro-silvo-pastorale collettivo, inalienabile, indivisibile ed inusucapibile, di gruppi familiari stanziati in territori montani - possono essere assoggettati ad espropriazione per pubblica utilità anche a prescindere dall'autorizzazione o dal consenso della Regola stessa, della quale peraltro è necessario il preventivo parere, di modo che l'amministrazione espropriante possa procedere ad una valutazione comparativa dell'interesse pubblico alla cui realizzazione è preordinato il provvedimento ablatorio e di quello, costituzionalmente rilevante ai sensi degli artt. 9 e 44 Cost., al mantenimento dell'originaria destinazione dei beni regolieri, quale mezzo di salvaguardia dell'ambiente, con ciò escludendo il vincolo di inespropriabilità (cfr. Cass., Sez. U, sent. n. 7021/2016 con riferimento a territori montani nel Veneto).

Infine il costante orientamento della giurisprudenza individua il vizio di omessa motivazione della sentenza nell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, o anche nell'ipotesi in cui li indichi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla illogicità del suo ragionamento (Cass. Sent. n. 890/2006;
9113/2012).

Ebbene, alla luce dei principi enunciati, ed in particolare della rigorosa perimetrazione dell'area entro cui è possibile escludere la soggettività dell'ente ai fini Irpeg, nonchè dei dati fattuali disponibili, la sentenza del giudice d'appello è errata sia sotto il profilo della interpretazione del dato normativo e delle regole di distribuzione dell'onere della prova, sia sotto l'aspetto della sufficienza motivazionale. La decisione è infatti supportata, in modo pressochè assorbente, dalla valorizzazione delle finalità perseguite dal consorzio di gestione del demanio collettivo, portatore di tradizioni e valori ambientali millenari, rispetto alle quali trascura ogni altro elemento da cui evincere la riconducibilità o meno del consorzio nell'alveo dell'art. 74 cit. (già 88). Non tiene conto invece della restrittiva interpretazione delle norme agevolative di esenzione dall'imposta.

In particolare, pur volendo trascurare la riconosciuta assenza di personalità giuridica, e pur superando in tutto la questione relativa alla natura pubblica o privata dell'ente collettivo, la sentenza non tiene conto degli ulteriori elementi di esclusione dal regime di esenzione dall'imposta evidenziati dall'Ufficio in sede di accertamento. In particolare della necessità dello svolgimento esclusivo di attività di interesse collettivo;
dell'incontestabile esercizio del'attività commerciale agrituristica (con redditi diversi di importo non esiguo);
del dato, altrettanto incontestato, del godimento dei beni ristretto ai soli partecipanti dell'ente, nella qualità di proprietari e titolari di diritti reali, con esclusione della collettività nella sua interezza. Su tali elementi essenziali alcuna prova in senso contrario è stata allegata dall'ente - che ne era onerato - mentre il giudice regionale ha mostrato, erroneamente, di non tenerne conto (per una fattispecie analoga, seppure in essa si valorizzi anche l'ulteriore elemento della assenza di natura pubblica dell'ente, cfr. Cass., ord. n. 29185/2017).

In conclusione la sentenza va cassata.

Non essendo peraltro necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2. A tal fine, tenuto conto delle emergenze probatorie e della natura del consorzio, quale ente collettivo - a prescindere dalla circostanza se lo stesso abbia o meno acquisito personalità giuridica di diritto privato - preposto all'amministrazione di beni oggetto di comunione, il cui godimento è rivolto però a favore dei soli partecipanti alla compagine associativa, e peraltro esercente anche attività commerciale, esso va escluso dai soggetti esenti ex art. 74 TUIR (già 88), dovendosi al contrario assoggettare all'imposta. Per l'effetto il ricorso introduttivo del contribuente va rigettato.

La complessità della vicenda al momento in cui essa è stata introdotta giustifica la compensazione delle spese di causa.

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