Cass. civ., sez. III, ordinanza 16/05/2023, n. 13363

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 16/05/2023, n. 13363
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13363
Data del deposito : 16 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n.12480/2019 R.G. proposto da : M B, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. G D P e dall’avv. C F, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Paolo Segneri, n. 14 -ricorrente -

contro

LORIA MARIA ANTONIA, MARRAS SILVIA EMANUELA, MARRAS CINZIA MARIA NUNZIA, MARRAS GIANBATTISTA, MARRAS SIMONA, nella qualità di eredi di M G -intimati – avverso la sentenza della Corte d’ a ppello di Cagliari – Sezione di Sassari -n. 444/2018, pubblicata in data 25 ottobre 201 8 ;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 marzo2023 dal C onsigliere dott.ssa P asqualina A. P. C ondello Rilevato che:

1.G M convenne in giudizio il fratello B M al fine di chiedere che venisse dichiarato risolto il contratto di affitto di azienda stipulato tra le parti in data 1° maggio 1994, in forza del quale l’attore, quale titolare dell’omonima impresa individuale, aveva concesso in affitto al convenuto l’azienda di bar caffè, tavola calda e generi di monopolio e tutte le attività annesse, corrente in Sassari;
chiese altresì che il convenuto venisse condannato al pagamento dei canoni di affitto d’azienda, non corrisposti, dal 2012 al 2014, alla restituzione dell’azienda, ed in particolare dei relativi beni come descritti nel contratto di affitto, nonché al risarcimento dei danni. Dedusse che la durata del contratto era stata convenuta in dieci anni, tacitamente prorogata fino al maggio 2014, e che nel 2012 B M gli aveva restituito il ramo d’azienda relativo alla gestione dei Monopoli di Stato, mantenendo per sé quello attinente all’attività di bar-tavola fredda. Si costituì in giudizio B M che eccepì l’intervenuta prescrizione dell’azione di restituzione e spiegò domanda riconvenzionale affinché l’azienda venisse dichiarata di sua proprietà per averla usucapita;
evidenziò che il contratto, di cui dedusse la nullità, era comunquecessato in data 30 aprile 2004, che l’azienda in realtà era di proprietà di Maria Nuvoli, madre delle parti, che il contratto di affitto era stato concluso per consentire la gestione diretta dell’azienda da parte dello stesso convenuto e che negli ultimi mesi del 1994 era stato raggiunto un accordo che prevedeva l’attribuzione del ramo relativo alla rivendita di generi di monopolio all’attore e di quello pertinente alla vendita degli altri prodotti allo stesso convenuto. Evidenziò pure che le parti avevano pattuito che l’intera attività dell’azienda sarebbe stata da lui stesso esercitata, ma che avrebbe corrisposto al fratello gli utili di gestione del ramo d’azienda relativo alla vendita di generi di monopolio, quantificati forfettariamente in lire 1.000.000 da corrispondersi ogni sabato, pattuizione questa che era stata attuata sino al 31 dicembre 2011, allorquando l’attore aveva preso a curare direttamente l’attività. Chiese, pertanto, che l’azienda venisse dichiarata di sua esclusiva proprietà per averla egli realizzata ex novo o comunque per averla acquistata per effetto di usucapione ventennale;
in via subordinata, che venisse dichiarata la nullità del contratto di affitto per avere l’attore affittato l’azienda esercente la vendita di generi di monopolio in violazione di disposizioni imperative e che l’ attore venisse condannato a restituirgli quanto percepito in forza delle pattuizioni contrattuali ed a risarcirlo del pregiudizio subito, poiché, in costanza del rapporto, non aveva potuto detrarre fiscalmente dai propri redditi quanto corrisposto al fratello per il ramo di gestione di azienda pertinente la vendita di generi di monopolio;
in via ulteriormente subordinata, chiese che fosse dichiarata l’impossibilità di restituire i beni mobili di arredo della vecchia azienda e c he l’attore venisse condannato al pagamento in suo favore dell’indennità spettante per gli incrementi, le innovazioni e le migliorie apportate all’azienda. Il Tribunale di Sassari dichiarò risolto il contratto di affitto d’azienda per effetto del recesso formulato da G M con comunicazione del 12 dicembre 2013, condannò il convenuto al pagamento in favore dell’attore della somma di euro 28.896,00 a titolo di canoni di affitto non corrisposti dal 1° gennaio 2012 al 30 aprile 2014 ed a restituite a G M l’azienda commerciale nello stato in cui si trovava, nonché al pagamento del canone di affitto convenuto dal 30 aprile 2014 sino all’effettiva riconsegna dell’azienda a titolo di risarcimento del danno per ritardata restituzione.

2. Interposto gravame da B M, la Corte d’appello di Cagliari –Sezione Distaccata di Sassari - ha rigettato l’appello. Ha, in particolare, osservato che: a) il comportamento tenuto dalle parti al momento della conclusione del contratto e quello successivo nella esecuzione dello stesso consentiva di ritenere provato che effettivamente le parti avevano inteso concludere un contratto di affitto di azienda, cosicché l’affermazione contenuta in contratto, laddove si leggeva ‹‹ fatto letto sot toscritto le parti dichiarano quanto sopra non conforme alla loro volontà››, costituiva frutto di un mero refuso;
b) correttamente il primo giudice, a fronte delle contestazioni sollevate da G M,aveva ritenuto prive di riscontro probatorio le circostanz e che la proprietà dell’azienda appartenesse alla madre delle parti in causa e che fosse intervenuto tra le parti un accordo di ripartirsi l’azienda;
c) quanto all’asserita proroga del contratto, non era contestato che dopo la scadenza del 2004 B M aveva continuato a detenere l’azienda ed a corrispondere il canone di affitto, fino al 2012, per un periodo (pari a 8 anni) ulteriore rispetto a quello fissato in contatto;
d) era infondata l’eccezione di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, in quanto non era stata ceduta la concessione del monopolio, ma era stata concessa in affitto l’azienda;
e) nessuna prova era stata offerta da B M in merito alla eventuale interversio possessionis, per cui la domanda di usucapione dell’azienda non poteva trovare accoglimento;
f) parimenti da rigettare era la domanda diretta ad accertare che la vecchia azienda era stata sostituita da una nuova azienda ed ad ottenere il rimborso dei miglioramenti e delle addizioni apportate all’immobile, in quanto dal combinato disposto degli artt. 2561, quarto comma, e 2562 cod. civ. emergeva che la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio ed al termine dell’affitto era regolata in denaro, sulla base dei valori correnti al termine del rapporto;
del tutto correttamente, pertanto, il Tribunale aveva respinto la domanda di pagamento delle indennità spettanti per incrementi, innovazioni e migliorie apportate all’azienda, ritenendola generica e sfornita di prova, non potendo le fatture di acquisto prodotte dimostrare il valore dei beni al momento della cessazione del contratto di affitto e non potendo neppure l’espletamento di c.t.u. consentire di effettuare un confronto tra il valore dei beni indicati nel contratto del 1994 e quelli attuali, posto che lo stesso conduttore aveva dichiarato di avere rimosso e smaltito i mobili precedentemente presenti in azienda.

3. Per la cassazione della suddetta decisione ricorre B M, con otto motivi. M A L, S E M, C M N M, G M e S M, eredi di G M,non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.

1. cod. proc civ. Nonsono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Considerato che

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui agli artt. 115 cod. proc. civ. e 2556 e 2697 cod. civ. per avere la Corte d’appello ritenuto non provata la circostanza che l’azienda fosse di proprietà della madre delle parti in causa. Sostiene che, pur avendo specific amente contesta to la domanda di restituzione dell’azienda, G M non aveva provato di esserne proprietario, né di esserne possessore, ma si era limitato a mere contestazioni generiche, con la conseguenza che la Corte d’appello non aveva fatto corretta applicazione del principio di non contestazione ed aveva i mpropriamente richiamato l’art. 2556 cod. civ., che non può trovare applicazione nella specie in difetto di allegazione di un trasferimento a titolo derivativo della proprietà.

2. Con il secondo motivo, censurando la decisione gravata per violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui agli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. e per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il ricorrente assume che, a fronte dell’eccezione di usucapione sollevata, G M ha controdedotto che avrebbe dovuto essere provata l’interversio possessionis, senza tuttavia contestare che tale interversio si fosse verificata, per cui doveva ritenersi provato che egli avesse liberamente goduto e disposto anche del ramo d’azienda relativo ad attività diverse dalla rivendita di generi di monopolio, per essersi comportato come proprietario in modo continuo e pacifico per oltre venti anni, ossia dagli ultimi mesi del 1994 e sino al 4 novembre 2015, data in cui gli era stato notificato l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado. Neppure – prosegue il ricorrente – G M aveva mosso contestazioni specifiche in merito al danno da mancato risparmio fiscale ed alla relativa domanda di restituzione, con la conseguenza che la decisione impugnata, là dove afferma che G M aveva ‹‹ contestato ogni domanda eccezione e difesa›› non aveva correttamente applicato il principio di non contestazione.
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