Cass. pen., sez. V, sentenza 01/04/2022, n. 12214
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: COSTANZO VINCENZO nato a GELA il 03/07/1976 COSTANZO CONCETTA ANTONELLA nata a GELA il 01/10/1974 COSTANZO SANTO nato a GELA il 04/10/1945 COSTANZO CARMELO nato a GELA il 27/07/1961 avverso l'ordinanza del 14/04/2021 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTAudita la relazione svolta dal Consigliere P B;lette le conclusioni del Procuratore generale T E, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. L'ordinanza impugnata è stata pronunziata il 14 aprile 2021 dalla Corte di appello di Caltanissetta, che — quale Giudice del rinvio dopo annullamento della prima sezione penale di questa Corte — ha accolto parzialmente l'istanza avanzata nell'interesse di V, S, C e C C tesa ad ottenere l'annullamento delle partite di credito con cui era stata disposta l'iscrizione dei ruoli esattoriali, la conseguente riscossione coattiva e l'emissione di cartelle esattoriali nei loro confronti. I crediti per cui è stata attivata la procedura di riscossione coattiva attengono alle spese per l'amministrazione giudiziaria della Induplast, oggetto di confisca nel procedimento che ha visto i predetti condannati. La prima sezione penale aveva annullato la prima ordinanza emessa dalla Corte di appello nissena in quanto quest'ultima aveva affermato la competenza del Giudice civile. Più precisamente, questa Corte aveva, in primo luogo, ritenuto ammissibile il ricorso giacché la pronunzia andava nella sostanza reputata un non luogo a provvedere e non una pronunzia di incompetenza e, in secondo luogo, aveva ritenuto errata la statuizione assunta, in quanto la contestazione delle parti atteneva non già al quantum debeatur — per cui sarebbe stato effettivamente competente il Giudice civile — ma all'an debeatur, di competenza del Giudice penale. La prima sezione ha altresì indicato alcuni principi cui attenersi;in primo luogo, affermando che i condannati non potevano essere ritenuti gravati delle spese di custodia anche per il periodo successivo alla definitività della confisca (avendo il bene fatto ingresso, da quel momento, nel patrimonio dello Stato);in secondo luogo che le spese maturate prima, in base al disposto di cui all'art. 535, comma 1, cod. proc. pen., dovevano essere sopportate dai condannati. 2. Contro l'ordinanza di cui sopra V, S, C e C C hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo del comune difensore di fiducia. 2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione degli artt. 104-bis d.a. cod. proc. pen., dell'art. 42, comma 3, d.lgs 159 del 2011 e dell'art. 627, comma 2, cod. proc. pen. Spiegano i ricorrenti che il dott. Barletta era stato nominato prima custode e poi amministratore giudiziario, qualifiche rivestite congiuntamente dal 2 febbraio 2007. Troverebbe applicazione, quindi, l'art. 104- bis d.a. cod. proc. pen. che richiama le norme di cui al libro I, titolo III, del d.lgs 159 del 2011. Nel citato titolo terzo si colloca l'art. 42, comma 3 secondo cui, anche in caso di confisca e qualora per le spese per i compensi dell'amministratore giudiziario non si sia potuto provvedere nell'ambito della gestione dell'azienda sequestrata, lo Stato, che deve anticiparle, non ha nessun diritto al recupero. La ratio di questa disposizione riposa sulla necessità di evitare un doppio pregiudizio per il condannato che, se dovesse sopportare anche le spese per l'amministrazione, subirebbe il doppio danno di non poter godere dei frutti dell'azienda sequestrata e, nel contempo, di dover sostenere i costi dell'amministrazione necessaria a produrre quei frutti. Non rileva — proseguono i ricorrenti — che la disposizione di cui all'art. 104-bis comma 1-bis, d.a. cod. proc. pen. sia stata introdotta solo con la I. 17 ottobre 2017 n. 161, in quanto, con la novella, è stato solo normativizzato un principio già insito nel sistema. Di contro il d.P.R. n. 115 del 2002 nulla prevede. L'interpretazione propugnata sarebbe quella più consona al rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità e ragionevolezza, perché eviterebbe un trattamento deteriore per coloro che si sono macchiati di reati meno gravi rispetto a quello riservato ai destinatari di una misura di prevenzione ovvero a coloro che siano stati condannati per un reato di mafia.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi