Cass. civ., SS.UU., sentenza 03/11/2009, n. 23198
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiMassime • 2
Con riferimento all'art. 7 del d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1989, n. 61 (che in relazione alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione di cui all'art. 27 della legge n. 392 del 1978 dispone, nel primo comma, la sospensione sino al 31 dicembre 1989, dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione alla scadenza del periodo transitorio, prevedendo - inoltre - nel secondo comma, che, per il periodo di sospensione, la somma dovuta ai sensi dell'art. 1591 cod. civ. è pari all'ultimo canone corrisposto, aumentato del 100 per cento), la percezione da parte del locatore dell'aumento del canone è condizionata alla previa offerta, da parte sua ed in favore del conduttore, dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, sicchè, una volta avvenuta tale offerta, il conduttore, versando in mora nella restituzione della cosa locata, può scegliere se percepire l'indennità e restituire la cosa, così rinunciando alla sospensione legale del provvedimento di rilascio, oppure rimanere nella detenzione della cosa stessa fino alla sospensione della cessazione legale, corrispondendo al locatore il raddoppio del canone. Tale soluzione, da un lato, non determina alcuna ingiustificata disparità di trattamento, rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost., tra conduttori aventi diritto all'indennità e quelli che non possono invocare tale tutela, versandosi in situazioni oggettivamente diverse; dall'altro, non comporta la sovrapposizione della disciplina della sospensione "ex lege" a quella generale di cui alla legge n. 392 del 1978, avendo la prima efficacia strettamente processuale.
In tema di nullità della sentenza, l'interlineatura, nella parte dispositiva, del nome di uno dei componenti del collegio, astenutosi e sostituito da altro giudice, non comporta alcuna illegittimità della decisione (riconducibile ad una difettosa costituzione del collegio o a un contrasto tra dispositivo e motivazione) né può qualificarsi come errore materiale, posto che quest'ultimo si sostanzia in una mera svista che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una divergenza fra l'ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente Aggiunto -
Dott. VITTORIA Paolo - Presidente di sezione -
Dott. VIDIRI Guido - Consigliere -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere -
Dott. SALMÈ Giuseppe - Consigliere -
Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17209/2004 proposto da:
NU MA ([...]), NU IO, NU AT, tutti nella loro qualità di eredi di NU AS elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CARSO 71, presso lo studio dell'avvocato ARIETA Giovanni, che li rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
ET LA, ET AN, ET AR ES, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MOCENIGO 26, presso lo studio dell'avvocato MONACCHIA Umberto, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato PASSINO LUIGI, per procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -
e contro
AU NA vedova ET;
- intimata -
avverso la sentenza n. 252/2004 della CORTE D'APPELLO di Cagliari - Sezione distaccata di SASSARI, depositata il 29/04/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 29/09/2009 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
uditi gli avvocati Giovanni ARIETA, Luigi PASSINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso enunciando il principio che nel periodo di operatività della sospensione della esecuzione degli sfratti disposta dal D.L. n. 551 del 1988, art. 7, comma 1, come convertito dalla L. n. 61 del 1989,
il locatore è tenuto a corrispondere l'indennità di occupazione nella misura ivi indicata indipendentemente dalla corresponsione o dalla offerta dell'indennità per la perdita dell'avviamento, atteso anche che la sospensione ex lege dell'esecuzione non fa venire meno la mora del locatario che rimane nella detenzione dell'immobile nonostante la cessazione del rapporto e, quindi, è obbligato alla restituzione anche se tale obbligo non può temporaneamente essere oggetto di esecuzione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I locatori PI citarono in giudizio il conduttore CA perché fosse condannato a risarcire i danni cagionati all'immobile commerciale locato, nonché a pagare una somma di danaro a titolo di canoni o indennità di locazione. Il Tribunale di Sassari accolse la domanda, rilevando: che il CA per il periodo 1 gennaio 1989 - 31 dicembre 1990 aveva corrisposto ai locatori la somma di L. 8 milioni, mentre ai sensi della L. n. 61 del 1989, art. 7, egli avrebbe dovuto corrispondere un canone doppio nel periodo di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, essendo dunque tenuto al pagamento dell'ulteriore somma di L. 16 milioni;
che il conduttore stesso era tenuto a versare ai locatori la somma necessaria per l'integrale ripristino del locale rilasciato in condizioni precarie;
che un'ulteriore somma di danaro era dal medesimo dovuta per il valore delle migliorie illegittimamente asportate.
L'appello proposto dal CA è stato respinto dalla Corte di Cagliari - sez. distaccata di Sassari, la quale, confermando la prima sentenza:
a) ha respinto l'eccezione pregiudiziale di nullità degli atti istruttori compiuti nel primo grado del giudizio conseguente al tardivo mutamento del rito senza concessione del termine per l'eventuale integrazione degli atti introduttivi (in particolare il giudice ha ritenuto che siffatto vizio del procedimento non è di per sè motivo di nullità ma può diventarlo solo nel caso in cui ne siano derivati pregiudizi o limitazioni al diritto di difesa;
i quali, nel caso in esame, non erano ravvisabili);
b) ha respinto le doglianze relative alla condanna al pagamento delle somme necessarie per il ripristino dei locali e di quelle corrispondenti al valore delle migliorie illegittimamente asportate (ritenendo che gli accertamenti del merito avevano dimostrato la fondatezza delle relative pretese);
c) circa la pretesa del doppio del canone per il periodo di sospensione legale dell'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile, ha dato atto dell'esistenza di due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità ed ha accolto quello secondo cui, ai fini della corresponsione del menzionato aumento del canone nella misura del 100%, è irrilevante la circostanza che sia stata preventivamente offerta e corrisposta l'indennità per la perdita di avviamento commerciale (ritenendo che le disposizioni contenute nella L. n. 61 del 1989, art. 7 e nella L. n. 392 del 1978, art. 34 operano sotto diversi profili che non si
trovano in reciproco conflitto ed imporre al locatore l'anticipato versamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento senza poter ottenere in cambio la disponibilità dell'immobile di fatto vanificherebbe il compenso patrimoniale che la prima delle menzionate disposizioni intende accordargli).
Gli eredi del CA, frattanto defunto, propongono ricorso per la cassazione della sentenza d'appello mediante quattro motivi. Rispondono con controricorso gli intimati PI. Accogliendo l'istanza di questi ultimi, il Primo Presidente ha disposto la rimessione della causa alle sezioni unite della S.C.. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 - I primi tre motivi del ricorso.
Infondato è il primo motivo con il quale i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza perché sul dispositivo compare il nome di un giudice (Dr. Auzzas), originariamente astenutosi, "interlineato" e sostituito con il nome di un altro giudice (Dr. Diez). Dalla circostanza deducono: che il primo giudice abbia illegittimamente partecipato alla decisione, che, riguardo alla composizione del collegio, vi sia contrasto tra il dispositivo e la sentenza;
che, anche a voler considerare quello in questione un mero errore materiale, non sarebbe stata seguita la prescritta procedura. Nella specie non è ravvisabile ne' un'ipotesi di nullità, ne' la violazione del procedimento per la correzione dell'errore materiale. Così come esposto dagli stessi ricorrenti, nella redazione del dispositivo vi è stata la mera sostituzione di uno dei giudicanti che non ha partecipato alla decisione con quello che vi ha effettivamente partecipato, attraverso l'utilizzazione del modulo già predisposto secondo la precedente formazione del collegio, l'interlineatura di un nome e la sovrascrittura dell'altro nome. Prassi questa assolutamente frequente presso gli uffici giudiziari, rispetto alla quale non è dato ravvisare profili di illegittimità (per difettosa costituzione del collegio o per contrasto tra dispositivo e sentenza) e che non è neppure identificabile come errore materiale, il quale, come è noto, si sostanzia in una mera svista del giudice che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una divergenza tra l'ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica (tra le varie in tal senso, cfr. Cass. 9 settembre 2005, n. 17977). 1.2 - Il secondo motivo censura la sentenza d'appello per avere respinto l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado, derivante dal fatto che era stato tardivamente mutato il rito senza l'assegnazione alle parti del termine espressamente previsto dall'art. 426 c.p.c., comma 1. La sentenza non è censurabile sul punto, per essersi correttamente adeguata al consolidato principio (che occorre qui ribadire) in ragione del quale la doglianza relativa alla mancata adozione di un diverso rito, dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato, in quanto l'esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita in relazione alla determinazione della competenza ovvero al contraddittorio oppure al diritto di difesa (tra le varie, cfr. Cass. 17 maggio 2005, n. 10341;
18 settembre 2003, n. 13351). Premesso siffatto principio, il giudice ha rilevato non solo che, nel procedimento in trattazione, non era ravvisabile (per ragioni che qui non è neppure il caso di ribadire) alcun nocumento alla difesa (concreto nocumento al quale neppure il ricorso oggi in esame fa specifico riferimento), ma che, peraltro, la questione posta dalla parte era superabile dall'ulteriore e decisiva considerazione che il mutamento di rito può essere disposto anche in appello. 1.3 - Con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza nel punto in cui ha condannato il conduttore al pagamento della somma corrispondente al valore delle migliorie asportate, nonché al pagamento della somma necessaria al ripristino dei locali. Essi sostengono che il giudice avrebbe errato laddove, nel distinguere tra migliorie ed addizioni, ha tenuto conto della destinazione economica del locale e non della utilizzazione specifica delle addizioni e della materiale enucleabilità di queste rispetto all'immobile. Siffatto errore (ossia, ritenere le addizioni apportate dal conduttore alla stregua di migliorie) avrebbe, dunque, comportato l'altro, consistito nella condanna del conduttore al ripristino dei danni arrecati per il legittimo asporto di quelle opere. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. È inammissibile sia nella parte in cui lamenta l'errata interpretazione della clausola contrattuale in questione, senza neppure enunciare i canoni interpretativi legali che sarebbero stati