Cass. civ., sez. II, sentenza 24/06/2013, n. 15792
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Per identificare un contratto di vendita "su campione", ai sensi dell'art. 1522 cod. civ., è necessaria una volontà delle parti espressa nel senso di assumere il campione come esclusivo paragone per la qualità della merce, o così ricostruibile oltre ogni ragionevole dubbio; in caso contrario, la vendita deve intendersi, ai sensi del secondo comma, "su tipo di campione", dovendosi ritenere che le parti, come avviene normalmente, abbiano assunto il campione per indicare in modo approssimativo la qualità della merce venduta.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F F - Presidente -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17967/2007 proposto da:
EFFECIESSE SRL in persona del legale rappresentante pro tempore 01546011006, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BERTOLONI 44, presso lo studio dell'avvocato D V G, rappresentato e difeso dall'avvocato M M;
- ricorrente -
contro
MATTOLI SRL 00091890426, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 42, presso lo studio dell'avvocato G F, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato M G;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 297/2006 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 12/05/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/04/2013 dal Consigliere Dott. A S;
udito l'Avvocato G F, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R R G, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso limitatamente ai motivi 3 e 4, assorbiti gli altri. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Ancona, con sentenza n. 2410 del 2003, revocava il decreto ingiuntivo emesso a richiesta della soc. F.lli Mattoli srl a carico della soc. FCS EFFECIESSE srl sul presupposto di un insoluto residuo relativo ad una fornitura di mattonelle effettuata in favore della società CFS. Secondo il Tribunale era fondata la domanda riconvenzionale con la quale la predetta società acquirente aveva fatto valere i vizi della fornitura difforme dal campione cui le parti avevano fatto riferimento e rivelatasi inidonea all'uso pattuito. Pertanto, il Tribunale di Ancona, ritenendo che nella specie il vizio della merce fornita poteva farsi valere ai sensi dell'art. 1495 c.c., comma 3, e ritenendo il grave inadempimento della fornitrice dichiarava risolto il contratto di compravendita e condannava la stessa ditta fornitrice al risarcimento del danno derivato da vizi della predetta partita di materiali da rivestimento difettosi determinando tali danni in Euro 11.930,15 con gli interessi legali dalla domanda al saldo e la rivalutazione monetaria se eccedenti gli stessi.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società FCS srl, deducendo l'ingiustizia della sentenza impugnata in relazione alla quantificazione dei danni da ritenersi sproporzionata per difetto rispetto agli elementi di valutazione ricavabili dalla stessa CTU e, pertanto, chiedeva condannarsi la parte appellata a corrispondere il maggiore importo risarcitorio ritenuto di giustizia. Si costituiva la società F.lli Mattoli, contestando l'appello e proponendo appello incidentale per la riforma della sentenza impugnata in ordine al presunto vizio della merce fornita ed, eccependo, comunque, che il compratore a tutto concedere era decaduto dall'azione di garanzia per tardività della prescritta denuncia. Chiedeva, pertanto, la conferma del decreto ingiuntivo oltre ad accessori di legge.
La Corte di appello di Ancona con sentenza n. 297 del 2006 accoglieva l'appello e riformava la sentenza impugnata, respingeva l'opposizione a suo tempo proposta dalla società FCS EFFECIESSE avverso il decreto ingiuntivo emesso a suo carico su istanza della società f.lli Mattoli confermando tale decreto ingiuntivo e ponendo a carico della predetta parte gli ulteriori interessi legali dal provvedimento monitorio al saldo nonché le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio. Secondo la Corte anconetana nella specie non si era in presenza di una cosiddetta vendita a campione in senso proprio, quale delineata dall'art. 1522 c.c. (nel cui caso qualsiasi difformità dal campione anche se minima determina la facoltà di risoluzione del contratto), ma si era, invece, in presenza dell'ipotesi di vendita su tipo di campione, cui al comma 2 del citato art. 1522 c.c. (nel cui quadro il riferimento campione si intende solo al fine di determinare la tipologia categoriale del prodotto) atteso che dagli atti non emergeva che le parti, in sede di perfezionamento della volontà contrattuale, avessero pattuito una conformità rigorosamente specifica rispetto allo schema di un campione, e, pertanto, il campione nel caso in esame si doveva intendere assunto a riferimento tipologico, solo ai fini dell'individuazione del genus morfologico con la conseguente facoltà di chiedere la risoluzione del contratto, solo se la difformità fosse apprezzabile notevolmente. Comunque specifica la Corte anconetana la difformità o il vizio avrebbero dovuto essere tempestivamente denunciati pena la decadenza dell'azione di garanzia ad ogni effetto di cui all'art. 1492 c.c.. Ciò posto, era agevole secondo al Corte di merito, notare che nella specie la denuncia della difformità avvenne a quasi due mesi di distanza dall'ultima consegna, quindi, con un ben difficilmente spiegabile intervallo temporale rispetto al momento in cui le caratteristiche del prodotto era state percepite, essendo del resto agevolmente ed immediatamente percepibili ad un semplice confronto visuale con il campione che rappresentava lo "standard" di qualità del prodotto richiesto. E di più, in atto di opposizione la stessa parte opponente dava atto che al momento stesso della consegna fu costatata la difformità del campione, onde non vi era dubbio che da tale momento decorreva il termine di otto giorni per la denuncia a pena di decadenza (ed invece, sino alla denuncia trascorsero quasi due mesi).
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società EFFECIESSE per otto motivi accorpati per due. La società F.lli Mattoli hanno resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.= Con i primi due motivi del ricorso, accorpati dalla stessa ricorrente, la società Effeciesse lamenta: a) la violazione o falsa applicazione dell'art. 1522 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché, b) l'insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Avrebbe errato la Corte di Ancona, secondo la ricorrente, nell'aver qualificato la fattispecie in questione quale vendita su "tipo di campione", ai sensi dell'art. 1522 c.c., comma 2 e non quale vendita a campione ai sensi dell'art. 1522 c.c., comma 1, atteso che nel caso di specie le parti avrebbero fatto riferimento per stabilire la qualità della merce ad un esemplare che avrebbe dovuto fungere da mezzo di accertamento della conformità del materiale consegnato a quello promesso. Insomma, ritiene la ricorrente, il campione sarebbe stato elemento costitutivo dell'accordo negoziale quale criterio vincolante d'identificazione dell'oggetto nel contratto nelle sue qualità essenziali. Pertanto, conclude la ricorrente, la Corte dovrà verificare se il campione di materiale sul quale è intervenuto l'accordo negoziale abbia rappresentato un criterio vincolante per la identificazione dei beni oggetto di fornitura, facendo quindi applicazione della previsione di cui all'art. 1522 c.c., comma 1 e che, quindi, vi è stata da parte della Corte di Appello violazione e falsa applicazione dell'art. 1522 c.c.. 1.1.= Entrambi i motivi sono infondati.
Intanto, è appena il caso di evidenziare che stando alla formulazione del quesito di diritto la ricorrente chiederebbe a questa Corte una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali che non può essere proposta nel giudizio di legittimità, soprattutto, perché le ragioni che hanno condotto la Corte di merito ad identificare una vendita su tipo di campione di cui all'art. 1522 c.c., comma 2, sono chiare, esaustive e coerenti con i presupposti di fatto offerti dalle parti nel corso del giudizio.
Tuttavia, premesso che spetta al giudice di merito qualificare e interpretare il contratto sulla base dei fatti e degli elementi di giudizio dedotti dalle parti ed alla luce dei criteri ermeneutici previsti dalla legge, senza, peraltro, che egli sia vincolato ne' dal nomen iuris, dato dai contraenti al contratto stesso, ne' da una loro dichiarazione che escluda espressamente l'inquadramento del contratto in una determinata fattispecie tipica, non ha errato la Corte di appello di Ancona nel qualificare, nella fattispecie sottoposta al suo esame, il contratto intercorso tra le parti, come vendita su tipo di campione, e non come vendita su campione, secondo lo schema di cui all'art. 1522 c.c., comma 2. Come ritiene la dottrina più attenta, infatti, per identificare un contratto di vendita "a campione", ai sensi del primo comma dell'art. 1522 c.c., è necessario che la volontà delle parti di assumere il campione come esclusivo paragone per la qualità della merce risulti espressa e/o, comunque, ricostruibile oltre ogni ragionevole dubbio, perché, in caso contrario, bisogna ritenere che le parti, abbiano assunto il campione, così come avviene normalmente, ai sensi dell'art. 1522 c.c., comma 2, per indicare in modo approssimativo la qualità del
bene oggetto della vendita. Ora, nel caso concreto, la Corte di merito, come è affermato nella sentenza impugnata, ha verificato che dagli atti non emergeva che le parti in sede di perfezionamento della volontà contrattuale avessero pattuito una conformità rigorosamente specifica rispetto allo schema di un campione e, pertanto, il campione nel caso in esame si doveva intendere assunto a riferimento tipologico solo ai fini dell'individuazione del genus morfologico. 2.=La ricorrente con il terzo e il quarto motivo, accorpati dalla stessa ricorrente, lamenta: a) la violazione o falsa applicazione dell'art. 1495 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché, b) l'insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Avrebbe errato la Corte di Ancona, secondo la ricorrente, nell'affermare che la società F.C.S. sarebbe decaduta dai termini di cui all'art. 1495 c.c. (a cui l'art. 1522 c.c., comma 3, rimanda sia per la vendita "a
campione" e sia per la vendita su "tipo di campione") in quanto non avrebbe prevveduto a denunciare la presenza dei vizi oggetto di lite entro gli otto giorni successivi alla data dell'ultima consegna, perché, come sarebbe stato dimostrato dalla società odierna ricorrente la società F.C.S, aveva potuto constatare solo visivamente che la merce consegnata fosse difforme dal campione, ma, non appena si è resa conto della diversità oggettiva delle mercè recapitatale avrebbe provveduto prima verbalmente e poi per iscritto a denunciare tale difformità alla Mattoli srl con lettera del 24 aprile 1987. Piuttosto, è stato dimostrato, specifica la ricorrente,
che la FCS avrebbe provveduto alla denuncia del vizio nel termine previsto considerato che quel termine decorreva dalla certezza obiettiva dell'esistenza del vizio stesso e non, semplicemente, dall'ultima consegna, come avrebbe sostenuto la Corte di merito. Pertanto, conclude la ricorrente: "Accerti la Corte, dato atto che la società FCS ha tempestivamente denunziato i vizi della merce, ed in presenza del riconoscimento dei vizi e difetti stessi da parte della venditrice, che l'odierna ricorrente non è incorsa in alcuna decadenza per cui è evidente la violazione e falsa applicazione dell'art. 1495 c.c., da parte della Corte di Appello" di Ancona. 2.1.= I motivi così come accorpati, dalla stessa ricorrente, sono inammissibili sotto due diversi profili:
a) intanto, la ricorrente non ha tenuto presente che la decisione si fonda su due diverse rationes decidendi, epperò, una delle due (inesistenza dei vizi) non è stata contestata. Come ha già affermato questa Corte in altra occasione (Cass. n. n. 6339 del 23/11/1982) è improponibile per difetto di interesse il motivo di ricorso per Cassazione con il quale si censuri una sola delle due autonome rationes decidendi sulle quali è fondato il giudizio del giudice del merito, in quanto il profilo non contestato, anche se inesatto, resta valido in tutta la sua efficacia, per la diversa giustificazione data e non è suscettibile di controllo per difetto della necessaria sollecitazione di parte b) stando alla formulazione del quesito di diritto la ricorrente chiederebbe a questa Corte un riesame del fatto, che non può essere proposto nel giudizio di
legittimità, soprattutto, perché la Corte di merito ha valutato correttamente le risultanze istruttorie.
3.= La ricorrente, con il quinto e sesto motivo di ricorso, accorpati anche questi dalla stessa ricorrente, lamenta: a) la violazione o falsa applicazione dell'art. 1236 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) nonché, b) insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe errato nel non riconoscere che la condotta della ditta Mattoli integrava gli estremi di una remissione del debito ai sensi dell'art. 1326 cod. civ., atteso che risulterebbe documentamele provato che proprio il sig. Mattoli legale rappresentante della società Mattoli riconosceva che il materiale fosse di pessima qualità e dichiarava di essere disposto a rilasciare una fideiussione bancaria a favore della FCS srl a garanzia di tutto quello che la ditta avrebbe potuto subire e contemporaneamente dichiarava di rinunziare al residuo credito per le forniture fatte. Secondo la ricorrente, illuminante ai fini di configurare la pretesa remissione del debito, sarebbe la circostanza che l'esponente avrebbe agito a distanza di tre anni dalla fornitura eseguita.
Anche con riferimento a tale determinante questione la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe sempre secondo la ricorrente, insufficiente oltre che contraddittoria. Pertanto conclude la ricorrente: "dato atto che la società Mattoli ha espressamente comunicato la rinuncia al proprio credito facendo corretta applicazione delle previsioni di cui all'art. 1326 c.c., la Corte dovrà dichiarare l'intervenuta remissione del debito per cui è causa, affermando che vi è stata violazione e falsa applicazione dell'art. 1326 c.c., da parte della Corte territoriale. 3.1.= Questi motivi, così come raggruppati dalla stessa ricorrente, sono inammissibili, perché privi di specificità e di autosufficienza, e sia, perché, in ordine al vizio di motivazione, manca il c.d. quesito di fatto.
a) La ricorrente, pur dichiarando che la ditta Mattali avrebbe riconosciuto la difformità del materiale fornito, ha omesso di precisare "quando" e "dove", si possa rinvenire il documento di quel presunto riconoscimento e, comunque, ha omesso di allegare (al) o riportare nel ricorso il contenuto del documento di cui si dice considerato che la Corte anconetana alla corrispondenza intercorsa tra le parti ha attribuito altra valenza che non quella di una remissione del debito ai sensi dell'art. 1236 c.c.. b) Inoltre, con i motivi in esame, la ricorrente, prospetta un'eccezione e/o una difesa nuova non proponibile in cassazione. Come ha avuto modo di chiarire questa Corte in altra occasione (Cass. n. 5561 del 19/03/2004) nel giudizio di legittimità non è consentita la prospettazione di questioni nuove pur quando si tratti di questioni rilevabili d'ufficio, laddove esse implichino una modifica dei termini della controversia sviluppatasi nei precedenti gradi di merito o, comunque, presuppongano o richiedano nuovi accertamenti di fatto.
c) Ed, altresì, il motivo di ricorso in esame nella parte in cui denuncia l'insufficiente o contraddittoria motivazione è privo dell'apposito momento di sintesi. Come è stato già affermato da questa Corte in altra occasione (Cass. n. 24255 del 18/11/2011) è inammissibile il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l'indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la "ratio" che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l'errore commesso dal giudice di merito.- 4.= La ricorrente con il settimo e ottavo motivo, lamenta: a) la violazione o falsa applicazione dell'art. 1497 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) nonché, b) l'insufficiente o contraddittoria motivazione su un
fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente nel caso in esame sussisterebbero tutti presupposti per l'applicazione dell'art. 1497 c.c., che prevede che qualora la cosa venduta non ha le qualità promesse o quelle essenziali per l'uso cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento. In definitiva, l'intera fornitura del materiale consegnato dalla Mattoli è risultata inadeguata alle attese del committente e per tale motivo il contratto va considerato risolto con conseguente riconoscimento di tutti i danni subiti dalla FCS. Pertanto, conclude la ricorrente "poiché per le ragioni viste la FCS non è incorso in alcuna decadenza sussistendo i presupposti per l'applicazione della previsione di cui all'art. 1497 c.c., accerti la Corte che vi sia stata violazione e falsa applicazione dell'art. 14967 c.c.. 4.= Anche questi motivi sono inammissibili sia perché il quesito di diritto è inconferente sia perché in ordine al vizio di motivazione manca il c.d. quesito di fatto.
a) Il quesito di diritto è inconferente perché ammesso pure che il caso in esame integrasse gli estremi della fattispecie di cui all'art. 1497 c.c., anche tale ipotesi, come pure evidenzia la ricorrente, non potrebbe prescindere dal termine di decadenza di cui all'art. 1495 c.c., che come ha già affermato la Corte Anconetana, nel caso in esame, non era stato rispettato.
b) i motivi in esame sono, altresì, inammissibili per quelle stesse ragioni che sono state già indicate esaminando i motivi precedenti atteso che la ricorrente, anche con i motivi in esame, pur denunciando un vizio motivazionale, non ha formulato il c.d. quesito di fatto, la cui semplice lettura avrebbe consentito a questa Corte Suprema di comprendere quale fosse l'errore commesso dal giudice di merito.
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannata al pagamento delle pese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.