Cass. pen., sez. III, sentenza 07/02/2023, n. 05235

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 07/02/2023, n. 05235
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 05235
Data del deposito : 7 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: OM SE nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 11/03/2021 del TRIBUNALE di MARSALAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DOMENICO SECCIA, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
letta la memoria dell'AVV. SALVATORE ERRERA, difensore dell'imputato, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. ricorso trattato ai sensi ex art. 23, comma 8 del D.L. n. 137/2020

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. EP ND ha proposto appello avverso la sentenza dell'11/03/2021 del Tribunale di Marsala che lo ha dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 e lo ha condannato alla pena di 2.000,00 euro di ammenda (abbandono incontrollato di acque di vegetazione provenienti dalla molitura delle olive'.

1.1.Con unico motivo deduce la violazione del divieto di "bis in idem" perché, afferma, per i fatti oggetto di odierna condanna era già stato processato e assolto. Sul piano amministrativo aveva provveduto a presentare tempestivamente le richieste di autorizzazione e ad acquisire le relative accettazioni senza rilievo alcuno. Il riscontrato "lagunaggio", inoltre, non era di certo addebitabile alla sua persona ma al dipendente dell'impresa incaricata del trasporto che aveva contravvenuto alle sue precise disposizioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è parzialmente fondato in relazione alla dedotta violazione del divieto di bis in idem;
è inammissibile nel resto.

3.11 ricorrente risponde del reato a lui ascritto perché, quale produttore dei rifiuti consistenti in acque di vegetazione prodotte dalla molitura delle olive effettuata presso il frantoio della società «ND Service S.r.l.», da lui amministrata, agendo in concorso con il sig. NN LI, titolare dell'impresa incaricata del trasporto e dello sversamento dei rifiuti, mediante più sversamenti ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, aveva abbandonato in modo incontrollato ingenti quantitativi di acque di vegetazione sul fondo sito in Campobello di Mazara, c.da Misiddi, distinto in catasto nel foglio di mappa n. 10, particelle 104, 106 e 108 di proprietà dei sigg.ri Milioto Calogera e ZO MA, terreno incolto, non adibito a coltivazioni agricole, ubicato in zona SIC (sito di interesse comunitario), non idoneo allo spandimento. Il fatto è contestato come commesso in Campobello di Mazara dal settembre 2017 al 22/11/2017. 3.1.Ritenutane la penale responsabilità, il Tribunale lo aveva condannato alla pena di euro 2.000,00 di ammenda.

3.2.L'imputato aveva proposto appello deducendo la violazione del divieto di "bis in idem"e protestando la propria innocenza.

3.3.Trattandosi di sentenza inappellabile (art. 593, u.c., cod. proc. pen.), la Corte di appello ha trasmesso gli atti a questa Corte di cassazione ai sensi dell'art. 568, u.c., cod. proc. pen.

3.4.Sono noti gli arresti di Sez. U, n. 45371 del 31 ottobre 2001, Bonaventura, Rv. 220221 e della coeva Sez. U, n. 45372 del 31/10/2001, De PA, n.m. secondo i quali «allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto deve limitarsi, a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente» (da ultimo, nello stesso senso, Sez. 6, n. 38253 del 05/06/2018, Rv. 273738). Alla Corte di cassazione, quale giudice competente, in questo caso, a conoscere dell'impugnazione, è riservata ogni valutazione sull'ammissibilità dell'impugnazione stessa, alla luce dei motivi per i quali il ricorso per Cassazione è tassativamente consentito (cfr. sul punto, in motivazione, le sentenze testé citate).

3.5.Secondo un diverso indirizzo, più recentemente ribadito da Sez. 2, n. 41510 del 26/06/2018, Rv. 274246, l'impugnazione proposta con un mezzo di gravame diverso da quello prescritto è inammissibile quando dall'esame dell'atto si tragga la conclusione che la parte abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di gravame non consentito dalla legge (nello stesso senso, Sez. 3, n. 21640 del 18/12/2017, Rv. 273149;
Sez. 2, n. 47051 del 25/09/2013, Rv. 257481;
Sez. 6, n. 7182 del 02/02/2011, Rv. 249452). Tale indirizzo affonda le proprie radici nel principio affermato da Sez. U, n. 16 del 26/11/1997, dep. 1998, Nexhi, Rv. 209336, secondo il quale, invece, «il precetto di cui al quinto comma dell'art. 568 cod. proc. pen., secondo cui l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l'ha proposta, deve essere inteso nel senso che solo l'erronea attribuzione del "nomen juris" non può pregiudicare l'ammissibilità di quel mezzo di impugnazione di cui l'interessato, ad onta dell'inesatta "etichetta", abbia effettivamente inteso avvalersi: ciò significa che il giudice ha il potere-dovere di provvedere all'appropriata qualificazione del gravame, privilegiando rispetto alla formale apparenza la volontà della parte di attivare il rimedio all'uopo predisposto dall'ordinamento giuridico. Ma proprio perché la disposizione indicata è finalizzata alla salvezza e non alla modifica della volontà reale dell'interessato, al giudice non è consentito sostituire il mezzo d'impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato ma inammissibilmente proposto dalla parte, con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamente ammissibile: in tale ipotesi, infatti, non può parlarsi di inesatta qualificazione giuridica del gravame, come tale suscettibile di rettifica "ope iudicis", ma di una infondata pretesa da sanzionare con l'inammissibilità».

3.6.Tale principio è stato espressamente confutato dalle citate sentenze "gemelle" BO PA con ampia ed articolata motivazione della quale non ha tenuto conto Sez. 5, n. 8104 del 25/01/2007, Rv. 236521, che nel ribadire il principio affermato dalla Sez. U, Nexhi, non si è confrontata con le opposte ragioni a sostegno del suo superamento (né lo hanno fatto le successive Sez. 3, n. 23651 del 21/05/2008, Rv. 240053, Sez. 5, n. 35442 del 03/07/2009, Rv. 245150, Sez. 2, n. 41510 del 26/06/2018, cit.). In altre pronunce, l'applicazione della Sez. U, Nexhi, ha fatto seguito ad un esame sostanziale e non formale del mezzo di gravame la cui inammissibilità è stata dichiarata per l'insuscettibilità dello stesso ad essere qualificato alla stregua di un ricorso per cassazione. In questi casi, l'effettiva volontà dell'impugnante di proporre appello si è tradotta nella stesura di motivi e richieste del tutto estranei al petitum tipico del ricorso per cassazione, con conseguente inconvertibilità dell'appello (Sez. 6,

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