Cass. civ., sez. I, sentenza 01/07/2004, n. 12022
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La legittimazione ad opporsi alla stima amministrativa di terreni espropriati spetta al proprietario del fondo (tale essendo, presuntivamente, chi è iscritto come tale negli atti catastali), il quale è il titolare del credito indennitario; ne consegue che è privo di legittimazione al riguardo il terzo detentore a titolo di comodato del fondo espropriato il quale, senza poter vantare alcuna vicenda traslativa della proprietà del fondo medesimo a proprio favore, abbia costruito sul suolo altrui manufatti ed esercitato, su di esso, un'attività industriale come imprenditore.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D M R - Presidente -
Dott. P U R - Consigliere -
Dott. C W - Consigliere -
Dott. S S - rel. Consigliere -
Dott. P C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI GABBIA ADOLFO E FIGLIO DI GIUSEPPE DI GABBIA &C. S.A.S., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA LUNGOTEVERE FLAMINIO 46, presso STUDIO GREZ, rappresentata e difesa dall'avvocato C N, giusta mandato in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSORZIO MONTENERO S.C.A.R.L. COSTITUITO TRA LE IMPRESE IMPREGILO (GIÀ LODIGIANI) CO.E.STRA. - EDILINDUSTRIE, in persona del Liquidatore Dott. P R, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CELIMONTANA 38, presso l'avvocato B P, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIERUG O MONTORZI, ALBERTO GUALANDI, giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
ENTE NAZIONALE DELLE STRADE - A.N.A.S.;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n. 22163/01 proposto da:
ENTE NAZIONALE DELLE STRADE A.N.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
ADOLFO DI GABBIA &FIGLIO DI GIUSEPPE DI GABBIA &C. S.A.S.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 987/00 della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 29/05/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2004 dal Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato BARESE che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale;
udito per il resistente Consorzio, l'avvocato che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Firenze con sentenza del 29 maggio 2000 n. 987 ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della s.n.c. A. Di G &figlio a richiedere l'indennità per l'avvenuta occupazione temporanea e successiva espropriazione di alcuni terreni e sovrastanti impianti industriali da parte del Consorzio Montenero, onde realizzare per conto dell'ANAS la variante di Livorno della via Aurelia.
Ha osservato al riguardo che unico soggetto legittimato a proporre opposizione alla stima, ovvero a chiedere la determinazione dell'indennità e il proprietario dell'immobile che nella specie risultava essere Giuseppe Di G;che la società non aveva prodotto alcun atto di conferimento dei terreni in suo favore;e che nessun rilievo avevano a tal fine le dichiarazioni ICI, ovvero la richiesta di concessione in sanatoria dei fabbricati, ne il contratto di comodato intercorrente con il proprietario, non opponibile all'espropriante.
Per la cassazione della sentenza la s.n.c. Di G &figlio ha proposto ricorso per un motivo;cui resistono con controricorso sia il Consorzio Montenero che l'ANAS, il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale condizionato per un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno, anzitutto riuniti ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. perché proposti contro la medesima sentenza.
Con quello principale la soc. Di G, denunciando violazione degli art. 10 e segg. della legge 865 del 1971, 16 e 51 della legge 2359 del 1865 e 100 cod.proc.civ. censura la sentenza impugnata per aver
dichiarato il proprio difetto di legittimazione a richiedere la determinazione giudiziale della indennità di espropriazione che aveva avuto per oggetto non solo i terreni, ma anche le costruzioni da essa realizzate al fine di svolgervi attività industriale, senza considerare che detta legittimazione spetta (anche per giurisprudenza del tutto pacifica) ai soggetti che negli atti catastali risultino proprietari del bene;e che i manufatti in questione risultavano accatastati a nome di essa società che aveva peraltro presentato apposita domanda di sanatoria edilizia. Rileva ancora che lo stesso art. 19 attribuisce detta legittimazione non soltanto ai proprietari del suolo, ma anche agli "altri interessati" in cui perciò rientrava la società che con l'esercizio dell'attività industriale aveva conferito ai terreni un plusvalore da calcolare nella stima dell'indennizzo;e che essendo essa comodataria di questi ultimi aveva il diritto per il disposto degli art. 27, 52 e segg. della legge generale del 1865 di agire o intervenire in giudizio a tutela delle proprie ragioni indennitarie.
Il ricorso è infondato.
Tanto la sentenza impugnata, guanto il ricorrente hanno riferito che l'espropriazione ha avuto per oggetto un appezzamento di terreno esteso mq. 4400 iscritto nel N.C.E.U. del comune di Livorno al L.g. 48 part. 574 onde consentire agli enti convenuti la realizzazione di una variante che congiunge detto comune con la strada statale denominata "via Aurelia";per cui è proprio con riferimento a detto immobile non scindibile e considerato nella sua globalità (Cass. 45/1991) che andava applicata la regola ricordata dalla società e
tratta dagli art. 16 e ss. della legge 2359 del 1865, 10 e segg. della legge 865 del 1971 e da ultimo, dall'art. 3 della legge 1 del 1978, che la procedura espropriativa deve svolgersi per quanto
riguarda la individuazione del soggetto passivo, (art. 10 della legge 865/1971) nei confronti del proprietario iscritto negli atti
catastali (l'elenco dei quali deve essere allegato a corredo della relazione esplicativa dell'opera da realizzare), e proseguire nei confronti di detto soggetto fino alla pronuncia del decreto di espropriazione, da effettuarsi (art. 13, stessa legge) "sulla base dei dati risultanti dalla documentazione di cui all'art. 10". Detta normativa consente, infatti, all'amministrazione espropriante sia di individuare le aree da espropriare in base alle mappe catastali (art. 10, 1^ comma), sia di eseguire gli avvisi di deposito, nonché le notifiche degli atti del procedimento ablativo (esclusivamente) a coloro che risultano proprietari del terreno sulla base delle risultanze catastali, senza esser gravata dall'onere di accertare l'identità di coloro che sono effettivamente titolari della proprietà, e senza che ne risulti perciò compromessa la legittimità della procedura (Cons. St. 1200/2002;3850/2000;
2940/2000), ritenendo il legislatore irrilevante al riguardo la corrispondenza o meno delle risultanze catastali all'effettiva situazione proprietaria e le successive variazioni che dovessero intervenire nelle more della procedura medesima. E consente altresì, secondo la giurisprudenza tanto di questa Corte, quanto dai giudici amministrativi, di riconoscere presuntivamente la legittimazione ad opporsi alla stima amministrativa di terreni espropriati (non a tutti i soggetti che chiedano e/o ottengano l'accatastamento dei suoli espropriati e/o dei manufatti che su di essi insistono, bensì) a chi sia indicato negli atti del procedimento ablativo come proprietario del fondo, e quindi titolare del credito indennitario fino a quando non si deduca e dimostri un errore al riguardo;sicché limitatamente a quest'ultimo soggetto non sono necessaria ulteriori allegazioni o prove in ordine alla spettanza del diritto di proprietà, essendo per un verso la sua legittimazione insita nella coincidenza dell'opponente con il soggetto indicato in quella fase come titolare dei diritti indennitari, e, per altro verso, vertendosi in tema di tutela di posizioni creditorie, e non di rivendicazione o, comunque, di azioni di natura reale (Cass. 710/1995;1116/1994;11178/1992). Pertanto siccome nel caso concreto la Corte di appello ha accertato che l'intera procedura ablativa è stata condotta nei confronti di Giuseppe Di G, intestatario catastale (al fg. 48, part. 574) dei terreni espropriati, ivi comprese quelle aree su cui la società ha realizzato i manufatti per l'esercizio della propria attività industriale, e, comunque nessuna delle parti ha sollevato dubbi in merito alla titolarità dei suddetti immobili in capo a costui, del tutto correttamente ha attribuito soltanto al Di G la legittimazione a proporre opposizione alla stima dell'indennità, escludendola invece nei confronti della società.
Il che non comporta che a quest'ultima (così come a qualsiasi titolare di pretesi diritti reali sugli stessi immobili) sia stato impedito di agire autonomamente per chiedere la determinazione dell'indennità relativa a porzioni dell'immobile asseritamente acquisite e successivamente espropriate (Cass. 14587/1999), posto che la relativa legittimazione era subordinata alla prova della sua qualità di proprietaria effettiva - in contrasto con quella risultante dalla procedura ablativa - delle aree suddette contenenti le costruzioni;in relazione alla quale, dunque, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che era necessaria la dimostrazione del titolo di acquisto del bene (dal Di G o da altri) comportante il passaggio di proprietà ad essa società:
applicando la giurisprudenza del tutto consolidata della Cassazione, che a tal fine non sono sufficienti le risultanze delle mappe catastali ed a maggior ragione quelle ricavabili dalle iscrizioni catastali (e/o ipotecarie), in quanto forme di pubblicità prive di effetti costitutivi sulla titolarità del diritto dominicale (Cass. 5635/2002;6885/1999;515/1994).
Ed in affetti la ricorrente ha dedotto a tal fine anche in questa sode di legittimità di avere essa realizzato le costruzioni per cui è controversia sul suolo del Di G, di averle accatastatele che la circostanza non solo era assolutamente pacifica, ma trovava conferma nel provvedimento di sanatoria di detti immobili rilasciatole dall'autorità amministrativa;nonché nel sistematico pagamento dell'imposta ICI ad essi relativa.
Ma quanto al primo di detti elementi, non ha considerato che il regime dei manufatti costruiti su suolo altri non è disciplinato ne' dalle risultanze catastali, ne' dalle dichiarazioni (e/o ammissioni) delle parti al riguardo, ma direttamente ed inderogabilmente dalle disposizioni del codice civile che vietano, per un verso la possibilità di mantenere divise la proprietà del suolo e quella delle costruzioni su di esso realizzate (se non nei limiti di cui all'art. 952 cod.civ. che qui non vengono in discussione);e stabiliscono di conseguenza, che la loro proprietà si acquista immediatamente al proprietario di questo, per effetto e nel momento della loro incorporazione (art. 934), senza attribuire alcun effetto reale alla circostanza obbiettiva che le stesse siano state realizzate (e/o accatastate) da un terzo cui spettano soltanto (nei confronti del proprietario del suolo) lo ius tollendi e/o il diritto di credito nei limiti ed alle condizioni previsti dagli art. 936 segg. cod.civ.. Con la conseguenza ulteriore che solo il proprietario del terreno espropriato può chiedere che l'indennità venga rapportata anche al valore delle (ormai proprie) costruzioni che stabilmente vi insistono e sono state in questo incorporate (Cass. Sez. un. 1465/1977), se la loro valutabilità non è esclusa dalla legge (art. 42 e 43 della legge n. 2359/1865). Vero è che lo stesso art. 934 esclude il principio dell'accessione tutte le volte in cui risulti diversamente dal titolo o dalla legge. Ha nel caso, la Corte territoriale ha accertato che la società non ha prodotto alcun atto traslativo dell'immobile (o delle porzione di esso su cui insistono le costruzioni) in suo favore, costituente il titolo necessariamente richiesto dal precedente art. 922 per acquistarne la proprietà unitamente alla legittimazione a richiedere l'indennità per la relativa porzione di immobile espropriata;ragion per cui del tutto correttamente ha escluso che l'atto traslativo richiesto da dette norme potesse essere sostituito da equipollenti, fra i quali la richiesta di accatastamento dei manufatti e quella di sanatoria anche perché le stesse possono essere avanzate pure da soggetti non proprietari dell'immobile (cfr. art. 13 della legge 47 del 1985 che legittima ad ottenere la concessione in sanatoria "il
responsabile dell'abuso").
Nè siffatta legittimazione poteva derivare alla società dal disposto dell'art. 19 della legge 869 del 1971 che faculta a proporre opposizione alla stima dell'indennità "i proprietari e gli altri interessati", avendo guasta Corte già specificato che i primi vanno identificati nei soggetti iscritti nei registri o negli atti catastali di cui si e detto avanti, con possibilità di estensione agli eredi o aventi causa, mentre i secondi sono immediatamente individuabili nei titolari di diritti o pretese reali sul bene, in concorso ovvero in conflitto con la posizione dei proprietari: come esemplificativamente avviene per l'usufruttuario cui l'art. 27 della legge 2359 del 1865 già attribuiva il diritto di pretendere dal
proprietario indennizzato la corresponsione della parte di indennità che gli spetta, nonché quello di agire o di intervenire nel giudizio di opposizione per chiedere che nell'indennità da attribuirai al proprietario venga ricompresa anche la somma che quest'ultimo dovrà corrispondergli.
In realtà la società attraverso la prospettazione di una questione di legittimazione, ha inteso tutelare "la posizione del comodatario" (pag. 43), pur esso leso dall'espropriazione che ha comportato la risoluzione incolpevole del contratto, sul duplice presupposto che la stessa sia equiparata a quella del conduttore (cui infatti si riferisce la giurisprudenza di questa Corte trascritta nel ricorso) e che anche il suo pregiudizio, nella specie consistito nella cessazione e/o trasferimento in altro immobile dell'azienda sia indennizzabile con i medesimi criteri previsti per la stima dell'indennità dovuta al proprietario, quale quello cd. differenziale di cui all'art. 40 fondato appunto sulla differenza fra il valore dell'intero immobile prima dell'espropriazione e quello della porzione residua dopo di essa.
Ma è proprio l'assunzione di detti presupposti a disvelarsi erronea ed a viziare in radice la prospettazione della ricorrente perché, per quanto riguarda i rapporti obbligatori instaurati dell'espropriato, l'art. 17 della legge 865 del 1971 attribuisce la legittimazione a chiedere la determinazione dell'indennità aggiuntiva introdotta dalla norma esclusivamente "al fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno" in conseguenza dell'espropriazione;per cui fra di essi non rientra il contratto di comodato in ordine agli immobili (poi) espropriati che le parti hanno dedotto essere intercorso tra il loro proprietario e la soc. Di G &figlio. E neppure quest'ultima dubita della inestensibilità della norma, anche in conformità della sua "ratio" a soggetti diversi da coloro che, essendo coltivatori diretti del fondo espropriato, sono privati per effetto dell'espropriazione dell'oggetto della loro attività lavorativa (Cass. 8578/1998). Il comodatario, poi, non è incluso neppure fra i destinatari del ricordato art. 27 della legge del 1865 che soltanto "al conduttore" del fondo attribuiva le facoltà evidenziate a proposito della posizione dell'usufruttuario;ai quali peraltro è attribuita dagli art. 52 e segg. la parte di indennità corrispondente ai frutti del fondo non percepiti ed al mancato raccolto oltre agli eventuali miglioramenti allo stesso apportatile non anche un'ulteriore autonomo indennizzo rivolto a compensare il pregiudizio per le attività di fatto espletate sull'immobile ed interrotte dall'espropriazione (Cass. sez. un. 5809/98 cit. nonché 12253/1993;4960/1993;
11609/1992).
Pertanto, con riguardo all'attività industriale svolta dalla società attraverso il godimento del terreno poi espropriato ed i manufatti su di esso installati, non è possibile l'applicazione di alcuna di siffatte norme, ne' di quelle contenute negli art. 39 e 40 della stessa legge invocate dalla società che si riferiscono esclusivamente alla "indennità dovuta all'espropriato" per la perdita del suo diritto dominicale a seguito dell'espropriazione totale (art. 39) o parziale (art. 40) del suo immobile, in conformità del resto alla ratio ed al contenuto dell'intera legge la quale non prevede che all'imprenditore di esso non proprietario, costretto dall'espropriazione ad abbandonarlo, spetti un'indennità, per il fatto di vedere dissolta l'organizzazione aziendale di cui costituiva elemento il diritto di godimento sull'immobile espropriato considerando l'estinzione dei minori diritti personali una conseguenza dell'espropriazione del diritto di proprietà (Cass. sez. un. 30 marzo 1972 n. 1008), di cui essi costituiscono una frazione da un punto di vista giuridico, e quindi, un effetto naturale del ricorso allo strumento ablativo, quale che sia il motivo di pubblico generale interesse per cui l'espropriante decide di richiederne l'impiego, di cui, dunque le conseguenze economiche restano regolate soltanto dalle pattuizioni intercorse tra proprietario e titolari dei diritti suddetti.
D'altra parte, questa Corte ha ripetutamele affermato, anche a sezioni unite (cfr. Cass. 5609/1998, nonché 6388/2000;5505/1981):
1) che l'indennità di espropriazione è unica, per cui è su di essa che, come risulta dagli art. 52 e segg. della legge 2359/1865 deve trovare soddisfazione la pretesa di coloro che, già titolari di un diritto di godimento sul bene espropriato, vengono a risentire un pregiudizio per effetto dell'estinzione di quel diritto, pure provocata dall'espropriazione;2)che essendo l'indennità destinata a tener luogo del bene espropriato, non può superare in nessun caso il valore che esso presenta, in considerazione della sua concreta destinazione (il valore cioè che il proprietario ne ritrarrebbe se decidesse di porlo sul mercato ex art. 39 della legge n. 2359 del 1865), e nelle singole fattispecie, neppure quello derivante dal
criterio di valutazione posto dalla legge applicabile per determinarlo;3) il termine di riferimento dell'unica indennità è quindi rappresentato dal valore di mercato del bene espropriato quale gli deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, e soprattutto dal criterio previsto dalla legge per apprezzarle;e non anche (all'infuori delle ipotesi previste dal menzionato art. 17 della legge 865/71) dal pregiudizio che il proprietario od altro titolare di minore diritto di godimento risente come effetto del non potere ulteriormente svolgere mediante l'uso dello stesso immobile la precedente attività. E la stessa va rapportata, perfino con riferimento ai titolari dei diritti considerati dall'art. 27 della legge 2359/1865, e come il bene si presenta, prescindendo dalle aspettative dei soggetti aventi diritto a soddisfarsi su di essa per il pregiudizio che l'espropriazione arreca loro.
Sicché anche quando sull'immobile espropriato siano stati costruiti edifici ed installate attrezzature, al fine di imprimergli una destinazione industriale, il fatto che, estinto il diritto di proprietà, e quindi il minore diritto di godimento, risulti impedito sul luogo l'ulteriore svolgimento dell'impresa che utilizzava gli immobili per fornire i propri servizi, non comporta che l'espropriazione si estenda al diritto dell'imprenditore, ne' che sia acquisita all'espropriante l'azienda da costui organizzata, sì che il valore del bene espropriato debba comprendere quello dell'azienda. Per cui anche sotto tale profilo è precluso alla società il recupero di quella legittimazione, che la legge sulle espropriazioni le disconosce proprio per aver recepito il principio opposto a quello da essa apoditticamente enunciato, che il rapporto disciplinato dal diritto pubblico tra espropriante ed espropriato debba restare Indifferente alle obbligazioni di diritto privato da quest'ultimo assunte in ordine al fondo, nei confronti dei terzi. Ai quali non è di conseguenza consentito di contestare la vicenda traslativa del bene, così come di avanzare (con l'eccezione avanti ricordata) pretese sull'indennità di espropriazione, e, quindi, sui criteri di stima, e non è a fortiori consentito al proprietario di superare detta preclusione e di tutelarne le ragioni attraverso la propria legittimazione ad opporsi alla determinazione dell'indennizzo (solo) ad esso spettante anche perché comunque ancorato a parametri che non prendono in alcuna considerazione esistenza, consistenza ed estinzione (con le conseguenze pregiudizievoli) dei suddetti rapporti obbligatori.
Assorbito, pertanto il ricorso incidentale condizionato dell'ANAS il collegio deve condannare la soccombente soc. Di G alla refusione delle spese processuali come da dispositivo.