Cass. civ., sez. III, sentenza 12/02/2013, n. 3291

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Massime1

Le sentenze che statuiscono sulla competenza - ad eccezione delle decisioni della Corte di cassazione in sede di regolamento di competenza - non sono suscettibili di passare in cosa giudicata in senso sostanziale, poiché la decisione sulla questione di competenza, emessa dal giudice di merito con sentenza non più impugnabile, dà luogo soltanto al giudicato formale, il quale si concreta in una preclusione alla riproposizione della questione soltanto davanti al giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un distinto giudizio promosso dalle stesse parti dinanzi ad un giudice diverso.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 12/02/2013, n. 3291
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 3291
Data del deposito : 12 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. U F - Presidente -
Dott. M M - Consigliere -
Dott. F R - Consigliere -
Dott. C F M - Consigliere -
Dott. V E - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 13926/2007 proposto da:
C A, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA STAZIONE DI MNTE MARIO

9, presso lo studio dell'avvocato G A, rappresentato e difeso dall'avvocato M G con studio in LECCE,

PIAZZA LUDOVICO ARIOSTO

19, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
M RA MIRSO51L42G535A, TORSELLO DAVIDE TRSDVD72I28B936X, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BUCCARI

11, presso lo studio dell'avvocato P F, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato C A giusta delega in atti;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 335/2006 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 03/05/2006, R.G.N. 89/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2012 dal. Consigliere Dott. E V;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G A, che ha concluso per l'inammissibilità. RITENUTO IN FATTO
1. - Antonio C, con ricorso del 14 gennaio 1992, adiva il Tribunale di Lecce, sezione specializzata agraria, per sentire condannare Rosa M e Davide T, quali eredi di T Giovanni, al risarcimento dei danni patiti, nella misura di L. 177.763.206, per due episodi di spoglio verificatisi sul fondo, denominato "Termite", che aveva in affitto dal medesimo T, il quale ne era proprietario.
A tal fine, l'attore esponeva: che, con ricorso del 7 ottobre 1985, aveva adito il Pretore di Alessano lamentando di esser stato spogliato del possesso di parte del fondo "Termite" ad opera dello stesso concedente T, che vi aveva effettuato lavori di scavo (profondo circa sei metri e di rilevanti dimensioni), asportando la terra;
che la domanda di spoglio veniva accolta con sentenza del 28 aprile 1987, con condanna del T alla reintegrazione di esso C nel possesso dell'intero fondo;
che nel gennaio del 1988 si verificava un altro episodio di spoglio, tramite scavo di mq. 5 che il T aveva fatto effettuare da tal Chiarello, nei cui confronti esso C agiva con azione possessoria dinanzi al Pretore di Alessano;
che a seguito dei menzionati fatti di spoglio aveva subito un danno stimato in L. 177.763.206, per essergli stata preclusa la coltivazione delle porzioni di fondo interessate dagli scavi fino alla cessazione del contratto di affitto, prevista per il 20 aprile 2000;
che, pertanto, nel commettere i predetti atti di spoglio, il T, per un verso, si era reso inadempiente alle obbligazioni derivanti dal contratto di affitto e, per altro verso, aveva commesso un illecito ai sensi dell'art. 2043 cod. civ.. 1.1. - Nel contraddittorio delle parti, la domanda veniva dichiarata improcedibile, per mancato previo esperimento del tentativo di conciliazione, con sentenza del febbraio 1994, la quale era confermata dalla Corte di appello con sentenza del dicembre 1995. 1.2. - Esperito il tentativo di conciliazione, C Antonio adiva nuovamente il Tribunale di Lecce, sezione specializzata agraria, con ricorso del 29 gennaio 1999, riproponendo la stessa domanda già avanzata con il ricorso del 1992.
Instauratosi il contraddittorio, l'adito Tribunale, con sentenza del 10 luglio 2000, si dichiarava incompetente e ordinava riassumersi il giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce in composizione ordinaria. 1.3. - Il C, con citazione del 21 settembre 2000, riassumeva il giudizio e riproponeva la medesima domanda di danni di cui al ricorso del gennaio 1992.
I convenuti M e T eccepivano la prescrizione del diritto azionato e, comunque, l'infondatezza della domanda attorea. Il Tribunale di Lecce, con sentenza del febbraio 2003, in accoglimento dell'eccezione di prescrizione, rigettava la domanda proposta dal C.
2. - Avverso tale sentenza proponeva appello principale C Antonio ed appello incidentale la M ed il T, che venivano entrambi rigettati dalla Corte di appello di Lecce con sentenza resa pubblica l'8 maggio 2006.
La Corte territoriale, sull'appello principale, escludeva che il C potesse invocare la prescrizione decennale per aver proposto una domanda di risarcimento danni da inadempimento contrattuale, giacché sulla qualificazione dell'azione come domanda risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., si era formato giudicato per esser cosi stata qualificata l'azione con la sentenza di incompetenza del luglio 2000 del Tribunale di Lecce, sezione specializzata agraria, non impugnata e, dunque, passata in giudicato. Sicché, rilevando nella specie la prescrizione quinquennale da fatto illecito ex art. 2043, essa era decorsa tenuto conto del fatto di spoglio del 1985 e dell'azione di danno proposta nel 1992;
quanto poi all'episodio di spoglio del 1988, di esso non era stata fornita prova alcuna, ne' sarebbe stato al tal fine utile l'ammissione delle richieste ispezione dei luoghi e della c.t.u., "a mezzo delle quali potrebbe soltanto accertarsi la presenza dello scavo, ma non anche stabilirsi chi lo abbia eseguito".
Infine, la Corte territoriale rigettava il gravame incidentale degli appellati, sia perché mancante di interesse una volta respinta l'impugnazione principale, sia perché, comunque, infondato. 3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre C Antonio sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso Rosa M e Davide T. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Con il primo mezzo - assistito da quesiti ex art. 366 bis cod. proc. civ. - è denunciata violazione ed erronea applicazione degli
artt. 2909, 2043, 2947 e 2946 cod. civ., nonché omessa ed insufficiente motivazione.
La Corte territoriale avrebbe errato nel considerare essersi formato un giudicato implicito nella qualificazione dell'azione proposta da esso C in termini di responsabilità extracontrattuale e non già contrattuale a seguito della sentenza del 10 luglio 2000 del Tribunale di Lecce, sezione specializzata agraria, in quanto tale sentenza era solo e soltanto sulla incompetenza per materia e, a tal fine, avrebbe preso in considerazione unicamente il petitum e non già la causa, petendi, cioè il titolo di responsabilità, su cui pertanto non sussisterebbe il giudicato implicito. 1.1. - Il motivo è fondato.
Il ricorrente, in sede di riassunzione del giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce, in composizione ordinaria, a seguito di declaratoria, con sentenza del luglio 2000, di incompetenza funzionale del Tribunale di Lecce, sezione specializzata agraria, ha riproposto la domanda di risarcimento danni già originariamente avanzata con il ricorso del gennaio 1992, fondandola su un duplice titolo di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale. Il giudice della riassunzione ha qualificato la domanda attorea in termini di azione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale e ne ha dichiarato la prescrizione, sicché il C ha proposto motivo di gravame censurando tale statuizione anche sotto il profilo della mancata considerazione del termine decennale di prescrizione siccome correlato all'azione risarcitoria a titolo di responsabilità contrattuale, anch'essa proposta in concorso con quella a titolo di responsabilità aquiliana.
La Corte territoriale, invece di procedere alla qualificazione della domanda attorea, tenuto conto del prospettato concorso di titoli di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale), ha ritenuto che si fosse formato giudicato sulla qualificazione dell'azione in termini di illecito aquiliano, ex art. 2043 cod. civ., in forza della sentenza della sezione specializzata agraria del Tribunale di Lecce, in data 10 luglio 2000, che aveva dichiarato la propria incompetenza funzionale in ragione della qualificazione della domanda come da risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale. Sulla base di tale premessa, il giudice di appello ha, quindi, delibato esclusivamente la sussistenza della prescrizione quinquennale da illecito aquiliano, ritenendola maturata.
Tuttavia, è erronea la premessa stessa dalla quale la decisione muove, posto che essa contrasta con il principio per cui "le sentenze che statuiscono sulla competenza - ad eccezione delle decisioni della Corte di Cassazione in sede di regolamento di competenza - non sono suscettibili di passare in cosa giudicata in senso sostanziale poiché la decisione sulla questione di competenza, emessa dal giudice di merito con sentenza non più impugnabile, da luogo soltanto al giudicato formale, il quale si concreta in una preclusione alla riproposizione della questione soltanto davanti al giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un distinto giudizio promosso dalle stesse parti dinanzi ad un giudice diverso" (tra le altre, Cass., 7 gennaio 1983, n. 112;
Cass., 8 marzo 1995, n. 2697;
Cass., 14 novembre 2003, n. 17248;
Cass., 12 aprile 2005, n. 7514). In definitiva, il giudice di appello non avrebbe dovuto fare affidamento sull'anzidetto giudicato, con effetti soltanto preclusivi della riproposizione della medesima domanda dinanzi al giudice dichiaratosi incompetente, ma avrebbe dovuto procedere esso stesso alla qualificazione della domanda attorea ed alla congruente applicazione del termine prescrizionale consequenziale al risultato ermeneutico raggiunto.
2. - Con il secondo mezzo è dedotta violazione ed erronea applicazione degli artt. 1617, 1223 e 2 946 cod. civ., nonché omessa ed insufficiente motivazione. Il motivo è assistito da quesito ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ.. La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare che la domanda proposta da esso attuale ricorrente era di risarcimento danni per responsabilità contrattuale, per essere il dante causa dei convenuto inadempiente agli obblighi di cui all'art. 1617 cod. civ.. 2.1.- Il motivo risulta assorbito dall'accoglimento del mezzo che lo precede, il quale attiene alla presupposta questione della qualificazione della domanda proposta dal C, incidente dunque anche sul thema. decldendum prospettato con la doglianza in esame.
3. - Con il terzo mezzo è prospettata violazione ed erronea applicazione degli artt. 2935 e 2947 cod. civ., nonché omessa ed insufficiente motivazione.
Ci si duole che la decorrenza della prescrizione quinquennale sia stata fatta iniziare dalla data di commissione del comportamento dannoso, nell'ottobre 1985, senza però considerare che trattavasi di illecito permanente, non avendo il T eliminato gli effetti dello spoglio dopo la notifica del ricorso possessorio e sussistendo essi ancora alla data del 17 dicembre 1987 di immissione in possesso di esso C. Peraltro, il giudice di gravame avrebbe omesso di valutare la sussistenza della prova della permanenza dell'illecito, desumibile dal fatto che, con successivo ricorso giudiziale del gennaio 1988, era stata denunciata l'asportazione di altro terreno dal fondo coltivato da esso ricorrente. Viene formulato il seguente quesito: "Se il giudice di appello o comunque di merito, nei giudizi aventi ad oggetto domanda di risarcimento di danno ex art. 2947 c.c., debba ai fini della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c. accertare se sussiste un illecito permanente e quindi applicare la norma". 3.1. - Il motivo è inammissibile.
Dall'atto di appello, siccome riportato in sentenza (posto che il ricorrente non ne riporta i contenuti pertinenti e rilevanti), non risulta esservi alcuna doglianza sul fatto che l'illecito per cui era causa fosse di carattere permanente, ne' risultano esservi allegazioni congruenti rispetto a siffatta qualificazione, essendo stata soltanto postulata una decorrenza della prescrizione dall'aprile 1987 e cioè dalla data della sentenza pretorile che aveva accertato lo spoglio.
In tal senso, il motivo si palesa, per l'appunto, inammissibile, posto che, nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che (ma ciò non riguarda la fattispecie in esame) si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (tra le tante, Cass., 26 marzo 2012, n. 4787). Peraltro, non può non rilevarsi, in consonanza con quanto sopra evidenziato, che il giudice di appello ha deciso sulla prescrizione assumendo che lo spoglio si fosse concluso nell'ottobre 1985 e ciò in forza della stessa prospettazione di parte appellante, posto che l'illecito si era concretato in uno scavo e conseguente asportazione di terra, evento determinato da una condotta ben circoscritta temporalmente e non già protrattasi oltre i suoi effetti. Sicché la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato principio secondo cui, "in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un'azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica" (di recente, Cass. , sez. un., 14 novembre 2011, n. 23763). 4. - Con il quarto mezzo è denunciata violazione ed erronea applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ., nonché omessa ed insufficiente motivazione.
La Corte territoriale, in violazione dell'art. 115 cod. proc. civ., non avrebbe esaminato la documentazioni in atti e, in particolare, le deduzioni di esso ricorrente con il ricorso del 14 gennaio 1992 dinanzi al Tribunale, sezione agraria, con le quali si denunciava l'ulteriore spoglio del gennaio 1988 ad opera di C B e la memoria di costituzione di quest'ultimo, con la quale, adducendo rapporti contrattuali con il T, "riconosceva di aver asportato il terreno, ma ne rivendicava il diritto". Viene formulato il seguente quesito: "Se il giudice del merito, nei procedimenti per risarcimento del danno debba verificare i fatti pacifici ed ammessi dalle parti, ai fini della applicazione dell'art.115 c.p.c.". 4.1. - Il motivo è inammissibile.
Esso, anzitutto, è da concentrarsi nel vizio di motivazione dedotto ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, in siffatti limiti risultando apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, anche la prospettata lesione dell'art. 115 cod. proc. civ., in quanto norma che attiene alla materia della valutazione delle prove (Cass., 12 febbraio 2004, n. 2707;
Cass., 20 giugno 2006, n. 14267). Ciò precisato, dalla mera lettura del quesito sopra riportato risulta, però, evidente che lo stesso si presenta del tutto generico rispetto alla articolata vicenda processuale ed è ben lungi dal concretare una adeguata formulazione (necessaria a pena di inammissibilità, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata l'8 maggio 2006 e, dunque, nella vigenza della disciplina dettata dall'art. 366-bis cod. proc. civ., che spiega i suoi effetti ratione temporis) del ed. quesito di fatto che deve corredare il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, attraverso l'esplicitazione di apposito momento di sintesi, anche quando l'indicazione del fatto decisivo controverso (che nel quesito anzidetto è del tutto assente) sia rilevabile dal complesso della formulata censura (che, invero, nella specie non appare neppure chiaramente intelligibile), attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l'errore commesso dal giudice di merito (più di recente, Cass., 18 novembre 2011, n. 24255). 5. - Deve, pertanto, trovare accoglimento il primo motivo di ricorso, con correlato assorbimento del secondo motivo, mentre vanno dichiarati inammissibili il terzo ed il quarto mezzo. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, che dovrà procedere alla qualificazione della domanda attorea, anche ai fini del termine prescrizionale ad essa applicabile.
Il giudice del rinvio dovrà provvedere, altresì, alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

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