Cass. civ., sez. V trib., sentenza 23/09/2022, n. 27935
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Testo completo
1. L'Impresa P. & C. Spa e la consolidante M. Spa impugnarono gli avvisi di accertamento che, facendo seguito ad un PVC della Guardia di Finanza, rettificavano, ai fini Ires e Irap, per varie annualità (dal 2004 al 2010, e per quanto qui interessa per il 2006), la base imponibile dichiarata, per effetto del disconoscimento, per inesistenza del costo, della quota annuale di ammortamento dell'avviamento (iscritto a bilancio nel 2004 per Euro 30.168.138) pagato dall'Impresa P. per l'acquisto del ramo di azienda " T.", che comprendeva anche una partecipazione del 12 per cento al capitale sociale del Consorzio Cepav 2, aggiudicatario delle opere della linea ferroviaria dell'alta velocità (---).
2. La Commissione tributaria provinciale ("C.T.P.") di Bologna accolse il ricorso della società, con sentenza riformata dalla Commissione tributaria regionale ("C.T.R.") dell'Emilia-Romagna, la quale, sulla base delle seguenti considerazioni, ha ritenuto che l'ufficio avesse correttamente negato la deducibilità delle quote di ammortamento dell'avviamento, a partire dal 2004: (i) era infondata l'eccezione della società di decadenza dell'azione accertatrice posto che, nella specie, in presenza di una notitia criminis della Guardia di Finanza di Parma, trovava applicazione il raddoppio del termine di accertamento;
(ii) il prezzo pagato dalla contribuente non si riferiva al costo dell'avviamento del ramo di azienda acquisito, che quindi non era ammortizzabile, ma alla rivalutazione della partecipazione al Consorzio Cepav 2, aggiudicatario della gara milionaria per lavori ferroviari;
(iii) non era in linea con la giurisprudenza di legittimità l'affermazione del primo giudice secondo cui il giudicato esterno sull'imposta di registro, per il medesimo contratto di acquisto, non consentiva un giudizio sulle imposte dirette.
3. Le contribuenti ricorrono, con nove motivi, per la cassazione della sentenza di appello;
l'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
a. Preliminarmente, quanto all'avviso di accertamento n. (---), relativo all'Ires, per il 2006, con istanza datata 27/05/2019 l'Impresa P. & C. Spa ha chiesto la sospensione del giudizio, dando atto di avere presentato, in data 17/05/2019, domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, artt. 6, 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136, e di avere provveduto al pagamento (con modello F24), della prima delle venti rate (pari ciascuna a Euro 16.676,84), dell'intero importo (pari a Euro 333.536,80) dovuto per la definizione agevolata. L'istanza di sospensione del giudizio è corredata della documentazione di riscontro.
b. Entro il 31/12/2020 nessuna delle parti ha presentato l'istanza di trattazione di cui del citato D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13, nè risulta intervenuto diniego della definizione, poi impugnato;
pertanto, ai sensi di tale del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13, il processo si è estinto con il decorso del termine del 31 dicembre 2020 e, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 13, le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.
c. La declaratoria di estinzione del giudizio esclude (rispetto all'impugnazione del suindicato atto impositivo) l'applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, relativo all'obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all'atto della proposizione dell'impugnazione (negli stessi termini, Cass. 08/07/2021, n. 19419;
nonchè: Cass. 12/10/2018, n. 25485, in tema di definizione agevolata D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11, conv. con mod. dalla L. n. 96 del 2017;
Cass. 10/10/2019, n. 25529, in tema di definizione agevolata D.L. n. 193 del 2016, ex art. 6, conv. con mod. dalla L. n. 225 del 2016).
1. Per quanto attiene all'impugnazione dell'avviso di accertamento n. (---) (Irap, 2006), con il primo motivo di ricorso ("1. Omessa pronuncia in merito all'eccepita violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, nonchè della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 3 e 10 e dell'art. 97 Cost.. Violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)"), si censura la nullità della sentenza impugnata che non ha pronunciato sul motivo di appello attinente alla decadenza della amministrazione finanziaria dal potere di accertamento avente durata triennale, nella specie maturato il 31/12/2009, posto che la cessione del ramo di azienda era avvenuta in data 23/07/2003.
1.1. Il motivo non è fondato.
La censura collide con il tenore della sentenza impugnata, la quale, a prescindere dalla correttezza o meno della statuizione (si ricorda, al riguardo, che qui si esamina esclusivamente l'accertamento ai fini dell'Irap), si è cimentata con la questione del maturare o meno del termine di decadenza dell'azione accertatrice del fisco ed è pervenuta alla conclusione che il termine dell'accertamento non era decorso trattandosi di termine raddoppiato in presenza di una notitia criminis.
2. Con il secondo motivo ("2. Violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, nonchè della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 3 e 10 e dell'art. 97 Cost.. Violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)"), la sentenza impugnata è censurata sotto diversi profili - compresi quello attinente alla lesione del principio dell'affidamento, nonchè del principio di buona amministrazione e di unitarietà dell'azione amministrativa -, per non avere rilevato che l'atto impositivo riguardante la cessione del ramo di azienda, registrata in data 23/07/2003, avrebbe dovuto essere notificato entro il 31/12/2006 (n.d.r.: nel primo motivo invece si indica il 31/12/2009 come scadenza del termine di accertamento), e non già a distanza di nove anni dalla registrazione dell'atto di cessione del ramo di azienda.
2.1. Il motivo non è fondato.
Posto che si controverte dell'accertamento ai fini Irap per il 2006 e che l'avviso di accertamento è stato emesso nel 2011, è errato il riferimento della parte ricorrente al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 76, comma 2, che fissa in tre anni, decorrenti dalla registrazione dell'atto, il termine di decadenza entro il quale l'amministrazione finanziaria deve chiedere di altro e diverso tributo quale l'imposta di registro.
3. Con il terzo motivo ("3. Nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione alla asserita indeducibilità della quota di ammortamento relativa all'avviamento in conseguenza dell'acquisto del ramo di azienda " T.". Violazione dell'art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell'art. 111 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)"), si censura la motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile della sentenza impugnata che, dopo avere correttamente affermato che si era in presenza di un acquisto a titolo oneroso di un ramo di azienda e che soltanto in caso di avviamento "a titolo derivato" è possibile iscrivere in bilancio la relativa quota di ammortamento, conclude del tutto incomprensibilmente che alla contribuente non era consentito portare in deduzione detta quota di ammortamento in quanto il ramo di azienda acquisito sarebbe stato privo di un avviamento "a titolo originario".
3.1. Il motivo non è fondato.
Per giurisprudenza pacifica (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053;
Sez. U. 18/04/2018, n. 9558;
Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) "nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, in quanto attiene all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione". Nel nostro caso, diversamente da quanto sostiene parte ricorrente, una motivazione esiste e, in sostanza, il giudice tributario di appello, una volta fissata la nozione di avviamento in base al codice civile e all'OIC 24, ha negato che sussistessero i presupposti per riconoscere la deduzione della quota di ammortamento dell'avviamento in ragione del fatto che (cfr. pag. 6 della sentenza) "l'azienda acquistata non aveva alcuna capacità autonoma di produrre reddito e che (...) non disponeva di un avviamento originario da vendere".
4. Con il quarto motivo ("4. Nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione alla asserita indeducibilità della quota di ammortamento relativa all'avviamento in conseguenza dell'acquisto del ramo di azienda " T.". Violazione del "principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)"), si censura la sentenza impugnata che, nell'affermare che in caso di cessione a titolo oneroso di ramo di azienda la quota di ammortamento non può essere dedotta per asserita inesistenza di un avviamento a titolo "originario"