Cass. pen., sez. feriale, sentenza 02/09/2019, n. 36844
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da RE JU, nata in [...] il [...];
avverso la sentenza emessa il 31/07/2019 dalla Corte di appello di Venezia;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore Generale, dott. Luigi Biritteri , che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito il difensore, avv. Giovanni Binotto, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Venezia ha disposto la consegna allo Stato di Slovenia di RE JU, sottoposta alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e destinataria di un mandato di arresto europeo processuale emesso dal Tribunale di Ljubjana per il reato di truffa, relativo ad un fatto commesso nel 2010. Il mandato di arresto è stato disposto per consentire nuovamente la celebrazione del processo nei riguardi di RE in Slovenia a seguito del mutamento del giudice.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore della imputata articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo si deduce la violazione dell'art. 7 della legge 22 aprile 2005, n. 69, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto sussistente nella specie il presupposto della doppia incriminabilità del fatto per cui si procede. L'imputazione farebbe riferimento ad una condotta in cui RE, in qualità di legale rappresentante di una società, avrebbe stipulato e firmato un contratto di leasing finanziario per un determinato veicolo per un importo totale di circa 29 mila euro ed in questo modo avrebbe ingannato la società concedente che avrebbe erogato un finanziamento in relazione al quale sarebbe stata pagata in seguito solo la somma di circa 10 mila euro;
il pagamento delle singole rate non sarebbe stato corrisposto e, secondo l'assunto accusatorio, la società conduttrice, in ragione delle sue condizioni patrimoniali, avrebbe avuto sin dall'origine la volontà di non adempiere. Secondo la ricorrente, invece, il fatto, per come decritto, non costituirebbe reato per l'ordinamento interno, ma solo un inadempimento civilisticamente rilevante, per il quale non sarebbe dunque consentita la consegna;
il "fatto" di stipulare e sottoscrivere un contratto, si assume, non integrerebbe tecnicamente la condotta fraudolenta idonea a trarre in inganno l'altro contraente, non potendo attribuirsi nella specie rilevanza al mero silenzio;
nella descrizione del reato non si sarebbe peraltro considerato: a) l'avvenuta restituzione del veicolo da parte della società conduttrice;
b) il pagamento successivo di cinque rate;
c) il carattere professionale della società di leasing che, si assume, non potrebbe non avere compiuto i necessari accertamenti sulla società richiedente prima di concedere il finanziamento.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta la omessa motivazione quanto alle esigenze cautelari poste a fondamento del provvedimento restrittivo. Il mandato di arresto sarebbe stato finalizzato solo a garantire la presenza dell'imputata nel processo di primo grado e sarebbe scollegato da una valutazione di pericolosità: né sarebbe stato indicato un termine di cessazione della esigenza cautelare indicata.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la mancata indicazione di termini per la privazione della libertà;
non sarebbe stato spiegato se l'arresto sia stato chiesto per consentire la presenza della ricorrente al processo o se si "sostanzi" (così il ricorso) in una qualche forma di privazione della libertà per la durata del processo.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge in relazione all'art. 696 ter cod. proc. pen.;
la Corte di appello avrebbe fatto riferimento alla sopravvenuta estinzione per prescrizione del reato di truffa per l'ordinamento interno e tuttavia non avrebbe rifiutato la consegna in relazione all'art. 18, lett. n), legge n. 69 del 2005, in quanto il motivo di rifiuto in questione sarebbe subordinato alla sussistenza delle condizioni di procedibilità del fatto anche in Italia, ai sensi dell'art. 9 cod. pen., che, nella specie, sarebbero state tuttavia mancanti.Sostiene il ricorrente invece che la disciplina della legge n. 69 del 2005 sarebbe sul punto regressiva rispetto a quella prevista in tema di estradizione, per la quale la estinzione del reato per prescrizione è di per sé preclusiva della consegna. In tale contesto si fa riferimento all'art. 696 ter cod. proc. pen. ed alla tutela dei diritti fondamentali della persona, fra i quali sarebbe ricompreso il diritto di difesa e, dunque, quello ad una ragionevole durata del processo. Nel caso di specie, il processo si sarebbe già in parte svolto in Slovenia e l'imputata vi avrebbe già partecipato;
il mandato di arresto sarebbe finalizzato a garantire nuovamente la presenza della imputata a seguito del mutamento dell'organo giudicante. Secondo la difesa la ricorrente non potrebbe essere costretta a partecipare ad una "replica del processo" ed in tal senso si chiede che la Corte di cassazione prenda in considerazione la possibilità di sollevare incidente di costituzionalità dell'art. 18 lett. n) della legge n. 69 del 2005 in relazione all'art. 111 Cost.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato, limitatamente ai primi tre motivi.
2. E' fondato il primo motivo.
2.1. Sia che si voglia avere riguardo ai casi di consegna obbligatoria previsti dall'art. 8 della legge n. 69 del 2005 - il cui comma 2, tuttavia, demanda all'autorità giudiziaria italiana il compito di accertare se la definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna corrisponda alle fattispecie indicate al primo comma della norma in questione - sia che si abbia riguardo alla condizione di doppia punibilità di cui all'art. 7 della legge n. 69 del 2005, la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato la necessità che l'ordinamento italiano contempli come reato, al momento della decisione sulla domanda dello Stato di emissione, il fatto per il quale la consegna è richiesta. Si è precisato che non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell'ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell'ordinamento italiano, ma è sufficiente che il fatto - per come in concreto descritto- corrisponda sul piano qualificatorio ad una delle ipotesi di consegna obbligatoria previste dalla legge ovvero, quanto alla condizione di cui all'art. 7 della legge in esame, che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l'eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (Sez. 6, n. 27483 del 29/05/2017, Majkowska, Rv. 270405;
Sez. 6, n. 22249 del 03/05/2017, Bernardo Pascale, Rv. 270405).Tali conclusioni non mutano anche ove dovessero applicarsi alla fattispecie in esame la disposizione di cui alla lettera e) dell'art. 10 d. Igs. n. 161 del 2010, di attuazione delle decisione quadro 2008/909/GAI relative all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea, disposizione che espressamente richiama la punibilità del fatto indipendentemente dagli elementi costitutivi e dalla qualificazione giuridica che ne sono dati