Cass. pen., sez. I, sentenza 13/05/2019, n. 20494
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DI NEPI SETTIMIO nato a ROMA il 14/03/1939 avverso la sentenza del 28/06/2016 della CORTE APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere M V;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. ssa M D N che conclude chiedendo declaratoria di inammissibilita del ricorso. E' presente l'avvocato PATANE' ANTONELLO, del foro di ROMA, in difesa di DI NEPI SETTIMIO che conclude per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Per quanto qui ancora interessa: la Sky Fin s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 8 febbraio 1995;la Piave s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 11 febbraio 1994;la Leon D'Oro s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza del 24 febbraio 1994;la Renée s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 11 gennaio 1995;la Di Rena s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 28 settembre 1994;la Agricola 88 s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 8 marzo 1995;la Salgari s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 28 febbraio 1994;la Allservice s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 22 agosto 1994;la Fauché s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 10 febbraio 1994;la Impianti Italia s.r.l. venne dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza emessa il 2 febbraio 1995;tali società, formanti il c.d. "gruppo Di Nepi", erano direttamente ovvero indirettamente controllate da Settimio Di Nepi che ne fu anche amministratore di fatto. 2. Ancora per quanto qui ancora interessa, questa Corte - Sezione 5, con sentenza n. 7129 del 5 dicembre 2011, dep. 2012, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma: annullò la sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma il 2 dicembre 2008 che, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Roma il 18 aprile 2005, ebbe a dichiarare estinti per prescrizione i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale relativi alle sopra indicate società per la cui commissione Settimio Di Nepi era stato condannato con la citata sentenza di primo grado;rinviò ad altra sezione della Corte di appello di Roma per un nuovo giudizio. 3. Sempre per quanto di residuo interesse, con sentenza emessa il 28 giugno 2016 a definizione del giudizio di rinvio, la Corte di appello di Roma: confermò l'accertamento di responsabilità di Settimio Di Nepi quanto alla commissione dei delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione di danaro e di beni dai rispettivi patrimoni delle società Sky Fin (capo A), Piave (capo D), Leon D'Oro (capo G), Salgari (capo L), Renée (capo 0), Agricola 88 (capo 00), Di Rena (capo R), Allservice (capo U), Fauché (capo Z), Impianti Italia (capo CC), nonché dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale relativi alle società Sky Fin (capo B), Piave (capo E), Leon D'Oro (capo H), Salgari (capo M), Renée (capo P), Di Rena (capo S), Fauché (capo AA) e Agricola 88 (capo PP);accertò che tali reati vennero commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso;concesse circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate;rideterminò la pena da infliggere in misura pari a sei anni di reclusione;confermò nel resto le statuizioni, anche civili, contenute nella sentenza di primo grado. 3.1 In risposta a motivo di appello dell'imputato, la sentenza afferma che: la disciplina recata dall'art. 2497 cod. civ. in tema di responsabilità da direzione e coordinamento fra società non ha inciso in maniera sostanziale sull'autonomia patrimoniale delle singole società del gruppo e sugli obblighi incombenti sui relativi amministratori ai sensi dell'art. 2380-bis cod. civ.;per escludere la natura distrattiva di una operazione infragruppo è necessario che l'imputato fornisca evidenza del vantaggio compensativo conseguito dalla società che subisce il depauperamento derivante dalla sua appartenenza al gruppo;nel caso concreto, il fallimento a catena delle società del gruppo al cui vertice vi era il ricorrente dimostra di per sé l'illiceità delle operazioni di trasferimento di beni e danaro operate in assenza di corrispettivo in stato di incipiente insolvenza, in quanto le singole vicende decettive non possono che prescindere dalla considerazione degli interessi del gruppo societario;nel caso di specie, i fatt.i distrattivi contestati sono qualificabili come bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, non anche quale infedeltà patrimoniale (art. 2634, terzo comma, cod. civ.), dal momento che nessun vantaggio, di natura compensativa, derivò alle società del gruppo dagli atti distrattivi di beni e danaro in favore delle altre società del gruppo;invero, la deduzione dell'imputato di avere impiegato i beni per finalità aziendali «è assiomatica e radicalmente contraddetta dall'assenza di riscontri contabili (nei casi in cui le scritture risultano reperite) ovvero dalla mancanza del corredo documentale, perché gravemente deficitario, non conferito alle curatele ovvero oggetto di innplausibili denunzie di furto (come nel caso del fallimento Piave s.r.I.)» 3.2 Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, la motivazione è nel senso che: all'imputato sono da concedere circostanze attenuanti generiche, in considerazione della distanza temporale dai fatti;tali circostanze sono equivalenti alle contestate circostanze aggravanti, avendo l'imputato «orgogliosamente avocato a sé le fondamentali scelte finanziarie e gestionali del gruppo»;il reato più grave è quello di bancarotta fraudolenta per distrazione di danaro e beni dal patrimonio della Di Rena s.r.I (capo R).;per tale reato è confermata la pena di quattro anni di reclusione inflitta con la sentenza di primo grado;tale pena è aumentata, ex art. 81 cod. pen., di due mesi di reclusione per ciascuno dei delitti rispettivamente indicati nei capi di imputazione A, D G, 0, 00, di un mese e quindici giorni per ciascuno dei delitti rispettivamente indicati nei capi di imputazione L, Z, CC, 11, e di un mese di reclusione per ciascuno dei delitti )tr4 rispettivamente indicati nei capi B, E, H, M, P, S, AA, PP. 4. Per la cassazione di tale sentenza Di Nepi ha proposto ricorso mediante due atti: il primo, personalmente sottoscritto dal ricorrente, contiene due motivi di impugnazione;il secondo, sottoscritto dal difensore, avvocato Antonello Patané, critica la sentenza per due motivi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con il primo motivo contenuto nell'atto dal ricorrente sottoscritto la sentenza impugnata è da questi censurata per non avere preso in alcuna considerazione la propria richiesta, avanzata con i motivi di appello, di applicazione di pena (artt.444, 448 cod. proc. pen.) non disposta in primo grado in ragione del dissenso manifestato dal pubblico ministero. 1.1 II motivo, per come formulato, è da un lato non autosufficiente (il ricorrente non indica specificamente: quale fosse il contenuto specifico del motivo di appello;quando avrebbe avanzato la proposta di applicazione di pena;quale fosse il contenuto di tale proposta), e dall'altro, non tiene conto che con la sentenza di primo grado il ricorrente venne assolto dalle accuse di avere commesso i reati descritti, rispettivamente, nei capi di imputazione 01.31 e R10 ed altresì prosciolto dalle accuse rispettivamente indicate in dispositivo ed in motivazione per essere i reati estinti per prescrizione;con conseguente inefficacia sopravvenuta della proposta di applicazione di pena (avente per oggetto tutti i reati al ricorrente contestati) e, per tale ragione, non sussistenza di obbligo di motivazione sul punto da parte del giudice di appello. Il motivo è dunque inammissibile. 2. Con il primo motivo dell'atto sottoscritto dal difensore il ricorrente deduce che la sentenza ha fatto erronea applicazione degli artt. 216, 219 e 223 I.fall., in quanto: dalla disciplina contenuta nell'art. 2497 cod. civ. non deriva l'obbligo per gli amministratori delle società controllate di non conformarsi alle direttive ad essi impartite dagli amministratori della società controllante;tale disciplina ha scalfito in maniera apprezzabile il principio di autonomia economica e soggettiva delle società controllate e collegate, dal momento che il terzo comma dell'art. 2497 cod. civ., nell'attribuire a soci e creditori della controllata il diritto di aggredire, in subordine, il patrimonio della controllante, evidenzia la stretta interferenza, non solo economica, fra controllante e società satellite;tale norma stabilisce una subordinazione dell'interesse sociale della controllata a quello della holding o di altra società del gruppo, a condizione che tale compressione di autonomia sia giustificata dalla quantomeno fondata previsione di vantaggi compensativi derivanti dall'appartenenza al gruppo;quando si è in presenza di spostamenti di risorse infragruppo (mediante pagamenti per cassa;mediante fideiussioni o giro di assegni), la fattispecie è quella prevista dall'art. 2634 cod. civ., in relazione all'art. 223, secondo comma, n. 1), I.fall., avente natura speciale rispetto al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione contestato ad esso ricorrente anche quale titolare del potere di direzione e coordinamento delle società del "gruppo Di Nepi";invero, è stata riscontrata la sussistenza di atti dispositivi di beni delle società controllate nell'interesse del gruppo, «per il raggiungimento di vantaggi fondatamente prevedibili, quali la trasformazione dell'attività imprenditoriale del settore commerciale all'ingrosso e al dettaglio in industria alberghiera»;gli atti dispositivi hanno assunto un significato diverso dalla volontà distrattiva e la Corte di appello ha omesso di considerare che «qualora il saldo finale delle operazioni compiute nella logica di un interesse del gruppo non dovesse essere positivo, il fatto di reato che si riferisca a rapporti economico-finanziari intercorsi fra società appartenenti al medesimo gruppo dovrà essere inquadrato nella fattispecie di cui agli articoli 2634 c.c. e 223 L.F., e saranno punibili sotto il profilo penale, laddove sia emerso nel giudizio di merito il fine del dolo specifico, accompagnato dalla consapevolezza di causare il dissesto della società»;erroneamente il giudice di rinvio ha disatteso la richiesta di esso ricorrente di perizia d'ufficio volta a «dimostrare la direzione infragruppo delle disposizioni che hanno causato il dissesto e avrebbe consentito di conoscere in ordine alla chiusura del fallimento e l'eventuale attivo dello stesso».
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