Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 24/03/2004, n. 5913
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Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. I G - Presidente -
Dott. M S - rel. Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PAGLIUCA PASQUALE, elettivamente domiciliato in ROMA viale BRUNO BUOZZI 51, presso lo studio dell'avvocato G S, rappresentato e difeso dall'avvocato EMILIO D'AMORE, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
A.I.R. AUTOSERVIZI IRPINI S.P.A. (già GESTIONE TRASPORTI IRPINI IRPINI), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato E G, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 117/01 del Tribunale di ARIANO IRPINO, depositata il 03/09/01 - R.G.N. 621/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/03 dal Consigliere Dott. S M;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE E A che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Avellino P P, dipendente della Gestione Trasporti Irpini ed in servizio presso la sede di Ariano Irpino, premesso che con sentenza definitiva era stato riconosciuto il suo diritto al trasferimento nella sede di Avellino e che a tale provvedimento non era stata data esecuzione in relazione al periodo 3 marzo 1983-27 aprile 1987, chiedeva condannarsi detta Azienda al risarcimento del danno in suo favore, danno da commisurarsi alla indennità di trasferta contrattualmente prevista. Rigettata la domanda dal Pretore, il P proponeva appello dinanzi al Tribunale della medesima città, che confermava la sentenza impugnata sul presupposto che il ricorrente non avesse assolto l'onere della prova circa l'an ed il quantum del risarcimento, non ritenendo assumibile come parametro il trattamento economico previsto dal contratto collettivo per la trasferta del lavoratore.
Il P proponeva allora ricorso per Cassazione e questa Corte, con sentenza n. 94/96, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa al Tribunale di Ariano Irpino, stabilendo: 1) che il diritto del P al risarcimento del danno doveva ritenersi implicito nel fatto che egli aveva dovuto lavorare in sede diversa da quella per la quale aveva suo tempo inoltrato domanda di trasferimento;2) e che, quanto al parametro risarcitorio, era applicabile il trattamento contrattuale per la trasferta, indicato proprio dal P, essendo sempre riferibile al datore di lavoro l'esecuzione della prestazione lavorativa in luogo diverso da quello in cui il dipendente doveva essere adibito.
Riassunto il giudizio dal P, il Tribunale designato, con sentenza del 3 settembre 2001, dopo aver disposto una consulenza tecnica di carattere contabile, affermava - per quanto qui ancora interessa - che il danno subito dal ricorrente doveva essere commisurato al trattamento economico previsto, dal contratto collettivo applicabile nella fattispecie, per la trasferta inferiore alle 12 ore e superiore alle 7, pari pertanto al 15% della quota giornaliera della retribuzione normale. E nel riformare la sentenza impugnata, condannava la G.T.I. al pagamento della somma così determinata in relazione ai giorni di effettiva presenza al lavoro del P nel periodo considerato.
Avverso tale sentenza il P propone ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso la A.I.R. - Autoservizi Irpini s.p.a., subentrata alla Gestione Trasporti Irpini. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso il P - nel denunciare violazione degli artt. 394 cod. civ. (rectius c.p.c.), degli artt. 416 e 434 c.p.c., nonché motivazione illogica, inconferente e contraddittoria
(in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) - afferma che, non avendo la convenuta sollevato in primo grado alcuna eccezione in ordine alla misura dell'indennità di trasferta da lui indicata quale parametro utile per la determinazione del danno risarcibile e vigendo nel giudizio di appello il divieto dello "ius novorum", il giudice del rinvio avrebbe dovuto ragguagliare il risarcimento del danno dovutogli all'intera indennità di trasferta prevista dalle fonti collettive, pari al 90% della retribuzione giornaliera. Deduce che detto giudice ha, peraltro, omesso anche di uniformarsi al principio espresso da questa Corte nella sentenza sopra indicata, avendo essa fatto riferimento alla "trasferta comprensiva di diaria e pernottamento" e comportando, del resto, la prestazione lavorativa in sede fissa la obbligatoria residenza in loco. Aggiunge che erroneamente il giudice del rinvio ha aderito alle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., che aveva espresso valutazioni di merito contrastanti con principi inderogabili, e che non rispondeva al vero che - come asserito dal Tribunale - le parti avessero raggiunto un accordo sull'iter argomentativo seguito dall'ausiliare, accordo parvero limitato al solo numero delle giornate lavorative da lui effettuate fuori sede.
Il motivo è infondato.
Con sentenza n. 761 del 23 gennaio 2002 le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato, per quanto qui interessa, che nel rito del lavoro il difetto di specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore per la quantificazione del credito oggetto di domanda di condanna, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l'esistenza del credito avversario, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti, non semplicemente alle regole legali e contrattuali di elaborazione dei conteggi medesimi, e sempre che si tratti di fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull'an debeatur.
Nella specie, il P, nel ricorso introduttivo di primo grado (che può essere preso in esame dal Collegio in quanto è stato da questi denunziato un error in procedendo), ha affermato che il risarcimento del danno dovutogli andava commisurato alla indennità di trasferta contrattualmente prevista, omettendo cioè di dedurre che egli si era, nel periodo in questione, allontanato da Avellino per l'intero arco di 24 ore (o, comunque, per oltre 12 ore) in coincidenza con le giornate lavorative e limitandosi al riguardo ad indicare nel 90% della retribuzione il trattamento a suo dire spettantegli. Già sotto questo profilo, pertanto, non può ravvisarsi, a carico della parte allora convenuta, alcun onere di contestazione, con la conseguenza che il giudice del rinvio - non avendo il P offerto alcun elemento di prova al riguardo, ne' potendosi d'altro canto presumere (come questi pur sostiene) che la prestazione lavorativa da lui svolta ad Ariano Irpino comportasse la obbligatoria residenza in sede - ha legittimamente ritenuto che il danno dal predetto subito dovesse essere ragguagliato al trattamento economico previsto, dal contratto collettivo applicabile nel caso in esame, per una trasferta superiore alle 7 ma inferiore alle 12 ore, pari - a norma di contratto collettivo - al 15% della retribuzione. Nè risponde al vero che, nel pervenire a tali conclusioni, il giudice di rinvio si sia discostato dai principi fissati da questa Corte.
In realtà, con la sentenza n. 94/96 la Corte ha affermato: a) che il diritto del ricorrente al risarcimento del danno doveva ritenersi implicito nel fatto di aver dovuto lavorare in sede diversa da quella per la quale aveva a suo tempo proposto domanda di trasferimento;b) che il giudice di appello non aveva considerato, quanto al parametro risarcitorio, che il trattamento contrattuale per la trasferta era stato indicato dal ricorrente quale forma di risarcimento per equivalente e che, nonostante la diversità tra il caso concreto e quello disciplinato dalla contrattazione collettiva, tale criterio doveva pertanto ritenersi valido.
Coerentemente al ruolo assegnatole, la Corte si è limitata, quindi, a stabilire che ai fini della determinazione del danno da risarcire al ricorrente ben poteva essere utilizzato il parametro da questi indicato, vale a dire il trattamento contrattuale per la trasferta, ma si è naturalmente astenuta dal precisare quale fosse in concreto la specifica disciplina che, nell'ambito di quell'istituto di origine pattizia, avrebbe dovuto nella specie trovare applicazione, essendo peraltro evidente che la soluzione di tale questione comportava una indagine di fatto che non poteva che essere rimessa al giudice di rinvio.
Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, restando assorbite nei rilievi svolti le ulteriore censure formulate dal ricorrente in ordine all'asserito sconfinamento del c.t.u. dall'incarico assegnatogli ed all'erronea asserzione, contenuta nella sentenza impugnata, circa l'intervenuto accordo tra le parti quanto al percorso argomentativo da questi seguito.
Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste a carico del ricorrente, nella misura di cui al dispositivo.