Cass. civ., sez. V trib., sentenza 29/03/2019, n. 08812

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 29/03/2019, n. 08812
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 08812
Data del deposito : 29 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 15801 del ruolo generale dell'anno 2014 proposto da: Manuli Rubber Industries s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura a margine del ricorso, dagli Avv.ti G Z, C L e M S V, presso lo studio dei quali in Roma, via Crescenzio n. 91, è elettivamente domiciliata;
- ricorrente e controricorrente incidentale -

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;
- con troricorrente e ricorrente incidentale - per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 134/14/1, depositata in data 24 dicembre 2013;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 settembre 2018 dal Consigliere G T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott. F S, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale;
uditi per la società gli Avv.ti G Z e C L e per l'Agenzia delle entrate l'Avvocato dello Stato P P.

Fatti di causa

La Manuli Rubber Industries s.p.a. ricorre con _sei) motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in epigrafe, con la quale è stato rigettato l'appello principale da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano. Con successivo ricorso l'Agenzia delle entrate censura con cinque motivi la medesima pronuncia nella parte in cui ha rigettato il proprio appello incidentale. Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l'Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente tre avvisi di accertamento con i quali, relativamente all'anno di imposta 2005, aveva accertato una maggiore Ires, Irap e Iva;
avverso i suddetti atti la società contribuente aveva proposto separati ricorsi, riuniti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano;
avverso i suddetti avvisi di accertamento aveva proposto ricorso la contribuente che era stato parzialmente accolto;
avverso la pronuncia del giudice di primo grado aveva proposto appello principale la società e appello incidentale l'Agenzia delle entrate. La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l'appello principale della società e l'appello incidentale dell'Agenzia delle entrate. In particolare, per quanto di interesse, ha ritenuto che: con riferimento all'appello principale, relativo alla questione della ripresa per omessa contabilizzazione di ricavi conseguente al mancato addebito delle royalties alle controllate estere, lo stesso era da considerarsi infondato sia perché basato su di un motivo di censura nuovo, sia in quanto, non sussistendo i contratti per la regolamentazione dei rapporti commerciali tra la società capogruppo e quelle controllate impegnate nella produzione dei beni, l'art. 110, comma 7, del TUIR era stato applicato solo per accertare il valore normale dei beni in una misura, pari al 3,5 per cento del valore della produzione, ritenuto congruo;
con riferimento al motivo di appello incidentale relativo all'omessa contabilizzazione di ricavi conseguenti al mancato rimborso di costi per prestazioni fornite dalla società in favore delle controllate mediante l'utilizzo di proprio personale, lo stesso era infondato in quanto si era trattato di un distacco di lavoratori per avviare l'attività di un nuovo stabilimento cinese nell'ambito delle funzioni di direzione e coordinamento della capogruppo;
era infondato il motivo di appello incidentale relativo alla non deducibilità di costi per operazioni intercorse con soggetti residenti in Stati con regimi fiscali privilegiati, in quanto la società aveva correttamente applicato le convenzioni contro le doppie imposizioni, in particolare la clausola di "non discriminazione" che, in quanto norma speciale, aveva efficacia prevalente su quella generale di cui all'art. 110 TUIR;
era infondato il motivo di appello incidentale relativo alla non deducibilità di costi, in quanto non inerenti, per viaggi e trasferte di sette dipendenti, effettuati presso le società estere presso le quali i medesimi dipendenti rivestivano cariche sociali, in quanto, essendo gli stessi anche titolari di cariche sociali non operative, i costi rientravano nella funzione di direzione e coordinamento di cui all'art. 2497 cod. civ.. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso principale la contribuente affidato a tSeij motivi di censura. L'Agenzia delle entrate si è costituita depositando controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato a cinque motivi di censura. La società ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale dell'Agenzia delle entrate. La contribuente ha altresì depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Sui motivi di ricorso principale Preliminarmente va osservato che con il ricorso principale la ricorrente ha limitato le ragioni di censura della sentenza impugnata unicamente al punto della decisione relativa alla questione della omessa contabilizzazione di ricavi conseguente al mancato addebito delle royalties alle controllate estere.

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale, la società censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per falsa applicazione dell'art. 57, comma 1, del decreto legislativo n. 546/1992, per avere ritenuto che il motivo di appello, relativo alla carenza di motivazione della pronuncia di prima grado sulla questione dei vantaggi tributari conseguiti dalla società contribuente, doveva essere considerato inammissibile in quanto nuovo.Il motivo è infondato. Il giudice del gravame ha ritenuto che il motivo di appello, con il quale si era contestata la pronuncia del giudice di primo grado per avere omesso di pronunciarsi sulla questione del difetto di motivazione degli avvisi di accertamento con riferimento al profilo degli asseriti vantaggi tributari conseguiti dalla contribuente a seguito della omessa contabilizzazione di ricavi conseguente al mancato addebito delle royalties alle controllate estere, era da considerarsi nuovo, perché la contribuente, con il ricorso introduttivo, si era limitata a contestare gli avvisi di accertamento sotto il profilo della errata applicazione della normativa sui prezzi di trasferimento. Sul punto, va osservato che la stessa parte ricorrente evidenzia che benché sia vero che nel ricorso introduttivo la Società non abbia esplicitamente dedotto il difetto di motivazione, la denuncia di questo vizio era da considerarsi implicita negli argomenti sviluppati nel predetto ricorso (pag. 19 ricorso principale). Ciò evidenzia che la questione dei vantaggi tributari conseguiti dalla contribuente era stata prospettata al fine di contestare la legittimità della ripresa, non come autonomo vizio motivazionale dell'atto impositivo censurato che, invece, doveva costituire autonoma ragione di censura rispetto ad altri e diversi profili parimenti posti a fondamento della ritenuta illegittimità della pretesa. In sostanza, il fatto che, fin dal ricorso introduttivo, la parte aveva posto a fondamento delle ragioni di doglianza la circostanza che gli avvisi di accertamento non avevano adeguatamente motivato circa il vantaggio derivato dal transfer price, non implica, di per sé, che sia stato richiesto, con il ricorso introduttivo, l'annullamento dei medesimi atti per un vizio di forma, segnatamente per mancanza di motivazione, ove non formalmente precisato in tal senso.

1.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 85 e 110, comma 7, del d.P.R. n. 917/1986, per avere ritenuto rilevante l'assenza di un "aumento del reddito" per effetto dell'omessa contabilizzazione di royalties contestata con gli avvisi di accertamento. In particolare, parte ricorrente evidenzia che, ai fini dell'applicabilità, in caso di cessioni infragruppo, della previsione di cui all'art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917/1986, l'accertamento del valore normale dei beni ceduti è condizionato dalla verifica dell'aumento del reddito, profilo su cui il giudice del gravame avrebbe del tutto omesso ogni valutazione. Il motivo è infondato. La questione prospettata, invero, relativa alla mancata verifica dell'aumento del reddito ai fini della corretta applicazione della previsione di cui all'art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917/1986, presuppone che la fattispecie in esame debba essere inquadrata nell'ambito della disciplina del transfer pricing, che implica uno spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti ed in ordine alle quali il prezzo di vendita risulta inferiore a quello normale. La fattispecie in esame, tuttavia, si colloca su un piano differente. La pronuncia in esame precisa che «l'art. 110, comma 7, del TUIR è stato, invece, applicato solo per la determinazione dei predetti ricavi omessi, relativi a beni oggetto di transazioni tra società italiane e società estere, operazioni che vanno stimate attraverso il "valore normale", sia infine, perché mancano i contratti che regolamentano i rapporti commerciali intercompany tra la capogruppo e le società controllate polacca e cinese impegnate nella produzione dei beni». La stessa, quindi, ha chiarito che quel che si contesta non è l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, ma la mancata contabilizzazione dei ricavi conseguenti all'utilizzo di beni immateriali di cui la società contribuente era titolare, in ordine al cui accertamento l'ufficio ha ritenuto di potere applicare, in via induttiva, ai fini della individuazione del "valore normale", la disciplina prescritta in materia di transfer pricing. Sotto tale profilo, la censura in esame, fondata sulla mancata considerazione del requisito dell'aumento del reddito, non è conferente con la ratio decidendi della pronuncia impugnata che, come chiarito, ha posto la ragione della pretesa impositiva al di fuori dei presupposti per la configurabilità di una vicenda di transfer pricing.
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