Cass. civ., sez. I, sentenza 13/10/2005, n. 19894

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Massime4

In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente, effettuate entro l'anno anteriore all'apertura della procedura concorsuale, deve ritenersi che il sistema informativo della Centrale dei rischi consente agli istituti di credito di conoscere elementi indicativi della situazione di insolvenza dei soggetti finanziati, quali la revoca degli affidamenti e l'emissione di decreti ingiuntivi. Tale sistema è, infatti, regolato da norme di legge e da disposizioni emanate dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio e dalla Banca d'Italia e si fonda sull'obbligo posto a carico degli intermediari partecipanti - a pena di sanzioni amministrative pecuniarie previste dall'art.144 del d.lgs. 1° settembre 1993 n.385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) - di segnalare mensilmente i rapporti di credito superiori a un certo importo in essere con la propria clientela. Da siffatta disciplina, deve quindi dedursi che la segnalazione dei crediti appostati a sofferenza, quali quelli rivenienti da conti affidati revocati o oggetto di iniziative giudiziarie di recupero, è usualmente praticata da tutti gli intermediari creditizi e che un banchiere, anche solo minimamente avveduto, sia solito compulsare tale fonte di informazione prima di concedere o rinnovare l'affidamento a un proprio cliente. (In base a detto principio, la Suprema Corte ha censurato l'affermazione del giudice del merito secondo cui l'assunto della curatela circa la conoscenza, acquisita dalla banca convenuta in revocatoria attraverso la Centrale dei rischi, della revoca degli affidi e della emanazione di decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi nei confronti dello stesso soggetto finanziato, era basata su una "praesumptio de praesumpto" ossia sulla doppia presunzione che gli istituti bancari avessero effettivamente segnalato alla Centrale dei rischi il passaggio dei loro crediti a sofferenza e che la banca interessata ne fosse venuta a conoscenza debitamente utilizzando tale strumento informativo).

L'art 190, comma secondo, cod. proc. civ., prescrivendo che le comparse conclusionali devono contenere le sole conclusioni già fissate dinanzi all'istruttore e il compiuto svolgimento delle ragioni di fatto e di diritto su cui esse si fondano, mira ad assicurare che non sia alterato, nella fase decisionale del procedimento, in pregiudizio dei diritti di difesa della controparte, l'ambito obiettivo della controversia, quale precisato nella fase istruttoria. Tale norma non impedisce, perciò, che l'attore, senza apportare alcuna aggiunta o modifica alle già precisate conclusioni, e, soprattutto, senza addurre nuovi fatti, esponga, nella comparsa conclusionale, una nuova ragione giustificativa della domanda rivolta al giudice adito, fondata su fatti in precedenza accertati o su acquisizioni processuali mai oggetto di contestazione tra le parti. (In base a tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, in controversia avente a oggetto la prova del presupposto soggettivo della revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente, aveva omesso di valutare, quale possibile elemento indiziario della conoscenza dello stato di insolvenza, la movimentazione del conto corrente nel periodo sospetto caratterizzata da versamenti intesi a diminuire l'esposizione debitoria, assumendo che la relativa deduzione era tardiva in quanto per la prima volta formulata nella comparsa conclusionale benché gli estratti conto riflettenti le operazioni in questione fossero stati acquisiti agli atti e allegati alla domanda di revocatoria).

La conoscenza, da parte del creditore, dello stato di insolvenza del debitore, sebbene in generale debba essere effettiva e non meramente potenziale, può tuttavia essere provata in via indiretta anche attraverso elementi indiziari attinenti alla conoscibilità dello stato di insolvenza, purché idonei, in quanto dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, a fornire la prova per presunzioni della conoscenza effettiva. Ai fini dell'accertamento in questione, deve tenersi conto della qualità e delle specifiche conoscenze tecniche del creditore; in particolare, quando il creditore sia una banca, va considerato il fatto che gli istituti di credito, disponendo di operatori professionali qualificati e di peculiari strumenti conoscitivi, sono in grado di acquisire informazioni sulla situazione patrimoniale ed economica dei propri debitori (specie per quanto concerne l'eventuale assoggettamento a procedure giudiziarie recuperatorie) in modo certamente più puntuale e tempestivo rispetto agli altri creditori.

Il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni si articola in due momenti valutativi; in primo luogo, occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi. È pertanto viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità - a tale sindacato sottraendosi l'apprezzamento circa l'esistenza degli elementi assunti a fonte di presunzione e la loro concreta rispondenza ai requisiti di legge soltanto se il relativo giudizio non risulti viziato da illogicità o da erronei criteri giuridici - la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 13/10/2005, n. 19894
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19894
Data del deposito : 13 ottobre 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C A - Presidente -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. D C S - rel. Consigliere -
Dott. S G M R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO E BAS S.R.L., in persona del Curatore Dr. M L, elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE MAZZINI

55, presso l'avvocato C G, rappresentato e difeso dall'avvocato G B giusta mandato in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
BANCA POPOLARE DI BERGAMO CREDITO VRESINO S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA VIALE MAZZINI

6, presso l'avvocato S P che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato M I, giusta delega a margina del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 357/02 dalla Corte d'Appello di BRZSCIA, depositata il 18/05/02;

udita la relazione dalla causa svolta nella Pubblica udienza del 08/07/2005 dal Consigliere Dott. S D G;

udito per il resistente, l'Avvocato S che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C G che ha concluso per l'accoglimento del primo e del quarto motivo del ricorso, assorbiti gli altri motivi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel dicembre 1994, il curatore del fallimento della s.r.l. E-Bas, dichiarato in data 25 marzo 1994, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Broscia la Banca Popolare di Bergamo chiedendo che, ai sensi dell'art. 67, comma 2, l. fall., fosse pronunciata la revoca dei versamenti, per il complessivo importo di lire 401.813.453, effettuati dalla società predetta nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, sul conto corrente scoperto intrattenuto con la banca.
La banca convenuta negò la scientia decoctionis e sostenne di avere concesso alla E-Bas fidi in virtù dei quali le rimesse a carattere solutorio non superavano la somma di lire 152.392.890. L'adito tribunale revocò i pagamenti in contestazione limitatamente al complessivo importo di lire 269.678.655 ritenendo provata in base a elementi presuntivi la conoscenza dello stato di insolvenza. In accoglimento del gravame della Banca Popolare di Bergamo, la Corte d'appello di Brescia rigettò la domanda, ritenendo che la curatela non era stata in grado di provare, com'era suo onere, la sussistenza del requisito soggettivo per l'utile esperimento dell'azione revocatoria, in quanto gli elementi di carattere presuntivo addotti non erano significativi o configuravano, a ben vedere, una praesumptio de praesumpto.
Della sopra compendiata sentenza il fallimento ha chiesto la Cassazione con ricorso affidato a quattro motivi, in seguito illustrati con memoria.
Resiste con controricorso la Banca Popolare di Bergamo - Credito varesino.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il fallimento denuncia violazione di norme di diritto e comunque omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Si duole che la corte bresciana, negando valenza indiziaria ai pur numerosi elementi addotti dalla curatela, abbia finito per pretendere la prova positiva della diretta conoscenza dello stato di insolvenza in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, intesa a valorizzare al riguardo la prova presuntiva e la conoscibilità degli indici rivelatori dell'insolvenza, specie in presenza di particolari aspetti della fattispecie Quali la qualità del creditore, la contiguità delle zone di operatività delle parti, la struttura organizzativa del banchiere.
Con il secondo, si denunzia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si addebita alla corte territoriale di avere esaminato solo atomisticamente le presunzioni offerte dalla curatela, laddove, nel caso di ricorso alla prova indiziaria mediante la deduzione di una serie di circostanze specifiche, la valutazione degli indizi va condotta con riferimento alla loro globalità.
Con il terso, si reitera la denunzia di violazione di norme di diritto e vizi motivazionali contenuta nel precedente motivo, si ascrive alla corte bresciana di avere comunque offerto una motivazione inadeguata e con vizi logici e giuridici a sostegno dai risultati dall'esame atomistico dai vari elementi indiziari con particolare riferimento ai decreti ingiuntivi chiesti dalla Banca Nazionale del Lavoro, i cui ricorsi sottolineavano in premessa la sussistenza di grave pregiudizio nel ritardo dell'esecuzione dell'emanando decreto, avendo la società debitrice inviato una lettera ai propri creditori per proporre una sistemazione stragiudiziale. La corte avrebbe dovuto ritenere provata la ricezione, da parte della Banca Popolare di Bergamo, della missiva, in quanto diretta al ceto creditorio, e valutarne il valore indiziario. Analogamente, la corte ha omesso di considerare che altri sei istituti di credito operanti sulla stessa piazza avevano quasi contestualmente revocato gli affidamenti alla E-Bas e che tale circostanza era sicuramente idonea a far presumere la conoscenza dello stato di insolvenza della società anche da parte della banca convenuta. Addirittura, la corte ha escluso siffatta conoscenza per l'anomalia insita nella perdurante fiducia concessa dall'appellante alla propria debitrice, dimenticando il principio giurisprudenziale secondo cui la concessione di ulteriore credito o il mantenimento dei rapporti in essere non è incompatibile con la conoscenza da parte della banca della situazione di crisi in cui è venuto a trovarsi il cliente. Si ascrive ancora alla corte di non avere riconosciuto valore indiziante al fatto che la banca interruppe il rapporto con la E-Bas nel momento in cui i fideiussori avevano revocato la garanzia, dimostrando di non nutrire nessuna fiducia sulla capacità di adempimento della società. Relativamente ai decreti ingiuntivi emessi a carico della società poi fallita, la corte bresciana ha ritenuto che tale genere di provvedimenti non può presumersi conosciuto da soggetti estranei ai singoli procedimenti, in mancanza di apposita forma di pubblicità, salvo poi a contraddirsi menzionando i registri di cancelleria, ai quali ha negato rilevanza atteso che l'esame degli stessi implica una ricerca mirata che già presuppone il sospetto. La corte avrebbe dovuto valutare se la menzionata forma di pubblicità fosse idonea a far ritenere conosciuti da un operatore qualificato, quale la banca, i decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi emessi nei confronti della E-Bas. Infine, per quanto riguarda la revoca degli affidamenti da parte degli altri istituti di credito e le azioni monitorie della Banca Nazionale del Lavoro, erroneamente la corte ha affermato che presumerne la conoscenza in quanto rilevabili attraverso la Centrale dei rischi integrava una praesumptio de Co. infatti, la comunicazione delle notizie sulla propria clientela alla Centrale di rischi costituisce un obbligo per gli istituti di credito e l'esistenza di una tale fonte di informazioni e idonea a far ritenere conosciute le situazioni ivi indicate, sì che ai suoi destinatari farebbe carico la prova della inesistenza della pubblicazione del fatto rilevante. Con il quarto e ultimo motivo, si denunziano ancora violazione di norme di diritto e omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia e si critica la sentenza nella parte in cui la corte del merito ha ritenuto tardiva, in quanto avanzata solo in comparsa conclusionale, la deduzione relativa alla natura dei movimenti del conto corrente a far tempo dal mese di aprile 1993;
al contrario, la curatela aveva già in primo grado prodotto gli estratti conto e richiamato l'attenzione sul fatto che tali movimentazioni riflettevano operazioni necessitate e indicative di una imposizione al rientro. Si critica anche quanto motivato per completezza dalla corte, secondo cui mancava comunque la prova che l'andamento al rientro fosse dipeso da un blocco di fatto del conto corrente, imposto dalla banca.
I riassunti motivi - che per la sostanziale unicità dell'argomento trattato (la ritenuta inscientia decoctionis) possono essere esaminati congiuntamente - si rivelano fondati nei sensi di cui alle considerazioni che seguono.
È d'uopo muovere da alcune premesse.
in ordine all'elemento soggettivo richiesto dall'art. 67, 2 comma, l. fall., questa Corte ha più volte ribadito che la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte del creditore, della cui dimostrazione è onerata la curatela, sebbene in generale debba essere effettiva e non meramente potenziale, può tuttavia essere provata anche attraverso elementi indiziari aventi i requisiti della gravità, precisione e concordanza;
salvo chef in contrasto con dette presunzioni, il convenuto in revocatoria non provi, mediante circostanze specifiche e concrete, che egli non era stato in grado di conoscere, usando l'ordinaria diligenza, lo stato del debitore all'epoca dei pagamenti. In altri termini, il presupposto soggettivo dell'azione revocatoria può basarsi anche su elementi di fatto che attengano alla conoscibilità dello stato di insolvenza, purché idonei a fornire la prova per presunzioni della conoscenza effettiva;

la dimostrazione, quindi, ben può essere indiretta, ossia sul piano della logica concatenazione di eventi e condotte del soggetto che, in base al criterio di normalità assunto a parametro di valutazione, consente la prova presuntiva della scientia decoctionis (cfr. Cass. nn. 1719/2001, 7757/1997, 7298/1997, 699/1997, 2230/1996).
La prima operazione che in tema di prova per perspicua iudicia deve essere compiuta dal giudice del merito consiste nell'effettuare un apprezzamento singulatim degli indizi al fine di vagliarne preventivamente la gravità, ossia la rilevanza, e la precisione, vale a dire la tendenziale unidirezionalità, e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere in un contesto articolato e globale, cioè nel giudizio di sintesi costituente l'operazione finale del procedimento. La legge stessa, quando esige la concordanza nella prova per presunzioni, vuole che di ciascun indizio che concorre a formarla sia preventivamente stabilita la portata e che questa sia raffrontata a quella di altri, parimenti assoggettati a un previo esame frazionato, per vedere appunto se concorrano nella stessa direzione e si armonizzino fra loro.
Pertanto, il procedimento che deve correttamente seguirsi per raggiungere una prova per presunzioni consta di due momenti valutativi: in primo luogo, occorre che il giudice proceda a valutare in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli che non abbiano rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficienza probatoria;
successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi (cfr. Cass. n. 13819/2003, 6050/1998, 6850/1982). È vero che, in materia di presunzioni, è riservato
all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito sia lo stesso ricorso a tale mezzo di prova, sia la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione. Tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., se la relativa motivazione non sia congrua - se cioè le argomentazioni giustificative del convincimento espresso dal giudice di merito non siano immuni da incoerenza logica e da vizi giuridici o da omissioni vertenti su elementi decisivi che abbiano formato oggetto di rituali deduzioni - e, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., se, violando i cennati criteri giuridici in tema di formazione della prova critica (enucleatali dagli artt. 2727 e 2729 c.c.), il giudice si sia limitato a negare valore indiziario ai singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso ove valutati nella loro sintesi. Alla stregua di tali principi, la sentenza impugnata non si sottrae alle critiche mosse dal fallimento ricorrente. Essa, anzitutto, ha erroneamente espunto dal quadro indiziario elementi degni di farne parte ove traguardati da un diverso angolo visuale o nella loro giusta valenza.
Si vuoi fare riferimento, da un lato, alla lettera circolare con la quale la E-Bas propose ai creditori un piano di rientro;
tale missiva era stata citata dalla Banca Nazionale del Lavoro nei ricorsi per decreti ingiuntivi presentati al Presidente del Tribunale di Broscia al fine di giustificare la richiesta di provvisoria esecuzione. La corta bresciana ha ritenuto mancante la prova che la lettera pervenne anche alla Banca Popolare di Bergamo e che in essa la società confessava il proprio stato di insolvenza. Non ha considerato che, comunque, poteva ritenersi provato che la lettera era pervenuta ad altri creditori, quale la Banca Nazionale del Lavoro, implausibile essendo che la ricorrente avesse potuto inventare la circostanza;
ne avrebbe potuto inferire che, in epoca sospetta, la società aveva vari creditori, specie nel circuito bancario, e non era in grado di adempiere interamente le proprie obbligazioni, tanto da proporre un piano di smobilizzo evidentemente non ritenuto conveniente dal predetto istituto di credito, che, non solo chiese i decreti ingiuntivi, ma prese spunto dalla lettera per ottenerne la provvisoria esecutività, stante il pericolo insito nel ritardo. Si vuole alludere, d'altro canto, alla revoca degli affidamenti comunicata dalla banca convenuta alla E-Bas con lettera 15 novembre 1993. La corte del merito sottolinea che la collocazione temporale di tale revoca consentirebbe di ritenere per certa la scientia decoctionis solo a partire da un'epoca posteriore all'ultimo dei pagamenti cui si riferisce l'azione revocatoria del fallimento. Epperò non considera che tutti i pagamenti oggetto dell'azione erano stati effettuati nel corso dello stesso anno 1993, a far tempo dal mese di aprile, e che l'ultimo di essi risaliva ad appena un mese prima della operata revoca (15 ottobre 1993). Ciò non senza considerare che, per come è notorio, la revoca del fido è provvedimento cui la banca si determina generalmente a seguito di andamento insoddisfacente del conto, protrattosi per un prolungato periodo.
Erra poi la corte nel non considerare, quale possibile elemento indiziario della conoscenza dello stato di insolvenza, la movimentazione del conto corrente nel periodo interessato dalle rimesse revocabili, caratterizzata da versamenti intesi a diminuire l'esposizione. La corte assume che la relativa deduzione era tardiva in quanto per la prima volta formulata nella comparsa conclusionale. A ragione la curatela si duole di questa affermazione, essendo incontestato che gli estratti conto riflettenti le operazioni in Questione erano stati acquisiti agli atti e allegati alla domanda di revocatoria (come è ovvio, dovendosene dimostrare l'elemento oggettivo della effettuazione delle rimesse in periodo sospetto), in un simile contesto, la deduzione configurava soltanto un profilo di diritto certamente formulabile per la prima volta anche in sede di comparsa conclusionale, in quanto basato su un fatto già materialmente acquisito e incontestato tra le parti. L'art 190, comma secondo, c.p.c., prescrivendo che le comparse conclusionali debbono
contenere le sole conclusioni già fissate dinanzi all'istruttore e il compiuto svolgimento delle ragioni di fatto e di diritto su cui esse si fondano, mira ad assicurare che non sia alterato, nella fase decisionale del procedimento, in pregiudizio dei diritti di difesa della controparte, l'ambito obiettivo della controversia, quale precisato nella fase istruttoria. Tale norma non impedisce, perciò, che l'attore, senza apportare alcuna aggiunta o modifica alle già precisate conclusioni, e, soprattutto, senza addurre nuovi fatti, esponga, nella comparsa conclusionale, una nuova ragione giustificativa della domanda rivolta al giudice adito, fondata su fatti in precedenza accertati o acquisizioni processuali mai oggetto di contestazione tra le parti (cfr. Cass. nn. 739/1962, 737/1964, 2708/1973, 3813/1975, 1666/1977). Conseguentemente, la corte d'appello doveva porsi il problema della oggettiva valenza indiziaria dell'elemento in questione, tenendo conto della massima di esperienza per cui il banchiere conosce lo stato di insolvenza del suo cliente quando non gli concede ulteriore credito e mantiene aperto il rapporto di conto corrente soltanto al fine di fare affluire rimosse solutorie, magari programmate nell'ambito di un piano di rientro rateizzato per l'incapacità del cliente di fare fronte all'esposizione debitoria in un'unica soluzione.
La svalutazione degli ulteriori indizi addotti dalla curatela è dalla corte territoriale operata attraverso una trama argomentativa rada e costellata da smagliature logiche.
Così è pacifico in atti che le revoche degli affidamenti concessi alla E-Bas dagli altri istituti bancari operanti nella stessa piazza ove agiva la banca convenuta (Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, B.N.L., Banca Popolare di Broscia, Banco Ambrosiano Veneto, Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, Banca 8. Paolo di Brescia) furono comunicate, con contestuale perentorio invito all'immediato rientro delle varie esposizioni, in epoca (mesi di aprile, maggio, giugno 1993) definita dallo stesso giudice a quo "indubbiamente significativa", Eppure la valenza indiziaria di tali revoche e stata negata dalla corte di merito, ritenendone non provata la conoscenza da parte della banca convenuta sulla base di due argomentazioni, di cui una incongrua e l'altra sicuramente errata. La corte infatti ha, in primo luogo, evidenziato l'anomalia insita nella perdurante fiducia concessa dall'odierna appellante alla propria creditrice qualora questa fosse stata a conoscenza dell'atteggiamento contrario assunto dalle altre banche. Ora, a parte che la concessione di ulteriore credito al debitore non è circostanza di per sè inconciliabile con la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore medesimo, in quanto può trovare fondamento nella mera speranza che il nuovo finanziamento lo aiuti a superare la crisi economica, si osserva come anche la banca convenuta revocò il fido appena cinque mesi dopo l'ultima delle cennate revoche. Errato è, poi, l'altro ragionamento svolto dalla corte per negare la conoscenza o conoscibilità delle ridette revoche attraverso la Centrale dei rischi.
Tale errore e dalla corte reiterato nell'esaminare l'ulteriore grave indizio rappresentato dai decreti ingiuntivi chiesti e ottenuti dalla B.N.L. già dall'aprile 1993. Assume anzitutto la corte che manca un'apposita forma di pubblicità dei decreti ingiuntivi, fatta eccezione per i registri di cancelleria. Contrasta poi l'assunto della curatela secondo cui la notizia, aia dalla revoca degli affidi, aia dei decreti ingiuntivi, era attingibile dalla Centrale dei rischi. Argomenta a tal proposito che nell'assunto doveva ravvisarsi una praesumptio de praesumpto in quanto basato sulla doppia presunzione che gli istituti bancari avessero effettivamente segnalato alla Centrale dei rischi il passaggio dei loro crediti a sofferenza e che delle notizie (presuntamente) affluite anche la Banca Popolare di Bergamo- Credito Varesino fosse venuta a conoscenza per lo stesso tramite.
In primo luogo, a proposito della conoscibilità dei decreti ingiuntivi, costituisce dato acquisito alla comune esperienza che gli istituti di credito, disponendo di operatori professionali qualificati, possono cogliere i sintomi di un dissesto del soggetto finanziato meglio e più tempestivamente di un soggetto non professionale. Essi hanno a disposizione, più facilmente rispetto agli altri creditori, gli strumenti atti a metterli in condizione di rendersi conto dello stato di decozione dell'imprenditore, in altri termini, è noto che una banca è in grado di avere informazioni sulla situazione patrimoniale ed economica dei propri debitori (specie per quanto concerne l'eventuale assoggettamento a procedure giudiziarie recuperatorie) in misura certamente superiore a quella comune e che le specifiche conoscenze tecniche a sua disposizione possono valere a renderla edotta che eventuali, anche minimi, segni esteriori di crisi sono in realtà sintomi di insolvenza. va, poi, rilevato che la disciplina attuale della Centrale dei rischi è riconducibile agli artt. 51, 53, 67 e 107 del decreto legislativo 1^ settembre 1993 n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria
e creditizia). L'art. 53, comma 1, lett. b) prevede che la Banca d'Italia, in conformità delle delibere del Comitato interministeriale per il Credito e il Risparmio emani disposizioni generali aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni. Gli artt. 67, comma 1, lett. b) e 107, comma 2, lett. b) riproducono la stessa norma rispettivamente nell'ambito della vigilanza consolidata, l'uno, e con riferimento agli intermediari iscritti nell'elenco speciale, l'altro. Il rischio creditizio, ovvero il rischio di variazioni di valore (inattese) delle attività finanziarie riconducibili all'insolvenza del debitore, è componente certa del "sistema dei rischi" (rischio di mercato, rischio di credito, rischio operativo, altri rischi) in cui operano gli intermediari per definizione. Come tale è certamente ricompreso nel "rischio" menzionato dagli artt. 53, 67 e 107 del TUB e, dunque, oggetto di possibile intervento da parte della Banca d'Italia.
Il CICR, con delibera del 29 marzo 1994, assunta ai sensi dei citati artt. 53, 67 e 107 del TUB, ha disciplinato il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi gestito dalla Banca d'Italia, dettando i principi generali della materia. La predetta disciplina si applica alle banche autorizzate in Italia all'esercizio dell'attività creditizia, agli intermediari finanziari di cui all'art. 106 del TUB che fanno parte di un gruppo bancario iscritto all'albo, ovvero sono iscritti nell'elenco speciale di cui all'art. 107 del TUB.
Un successivo provvedimento della Banca d'Italia del 10 agosto 1995 ha individuato le società finanziarie con obbligo di partecipazione al servizio di centralizzazione dei rischi in quegli intermediari finanziari ex art. 106 del TUB, iscritti nell'albo e/o nell'elenco speciale di cui agli artt. 64 e 107 del TUB, che esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di finanziamento sotto qualsiasi forma, così come definita dall'art. 2 del Decreto del Ministro del Tesoro del 6 luglio 1994.
Al fine di accrescere la stabilità del sistema creditizio e finanziario nel suo complesso il CICR, con la delibera del 3 maggio 1999, ha rilevato l'opportunità di conoscere anche le informazioni relative agli affidamenti di importo inferiore alla soglia di rilevazione della centrale rischi.
A completare il quadro normativo disciplinante il funzionamento della Centrale Rischi concorrono le istruzioni per gli intermediari creditizi adottate dalla Banca d'Italia il 14 novembre 2001, costituenti l'8 aggiornamento della Circolare n. 139 dell'11 febbraio 1991. Peraltro, a partire da gennaio 2005, e entrato in vigore il 9 aggiornamento, adottato il 22 giugno 2004, fatte salve alcune disposizioni relative alla rilevazione dello status della clientela e al servizio di informazione periodico che entreranno in vigore da gennaio 2006.
L'art. 51 del TUB pone a carico delle banche l'obbligo di inviare all'Organo di vigilanza le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato o documento richiesto, in particolare, le banche sono tenute ad eseguire mensilmente alla Centrale dei rischi le segnalazioni della propria esposizione creditizia verso ogni cliente, qualora la stessa raggiunga o superi i limiti previsti dal censimento. La norma ora richiamata rappresenta, insieme alla vigilanza regolamentare e a quella ispettiva, la struttura portante dell'intero sistema di supervisione.
Il sistema informativo della Centrale dei rischi è, quindi, regolato da norme di legge e fondato sull'obbligo, posto a carico degli intermediari partecipanti, di segnalare mensilmente i rapporti di credito in essere nei confronti di ciascun cliente, di importo pari o superiore ai limiti di censimento definiti nella menzionata circolare della Banca d'Italia, contenente le istruzioni per gli intermediari creditizi. Gli intermediari sono tenuti a una puntuale osservanza delle jr norme che regolano il funzionamento del servizio di centralizzazione dei rischi;
le eventuali violazioni delle disposizioni concernenti il servizio emanate dal CICR e dalla Banca d'Italia comporta l'irrorazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'art. 144 del TUB.
Di fronte a un simile quadro normativo, è difficile sostenere che la segnalazione dei crediti appostati a sofferenza, quali Quelli rivenienti da conti affidati revocati o oggetto di iniziative giudiziarie di recupero, sia solo da presumersi e non invece usualmente praticata da tutti gli intermediari sotto comminatoria di pesanti sanzioni e rilievi ispettivi da parte dell'Istituto di vigilanza. Così come è arduo negare che un banchiere, anche solo minimamente avveduto, sia solito compulsare questa preziosa fonte di informazione prima di concedere o rinnovare l'affidamento a un proprio cliente.
In sintesi, erano state allegate situazioni potenzialmente rivelatrici di una conoscenza dello stato di insolvenza;
la rispondenza dei risultati dell'indagine, rispetto alle previsioni che l'hanno giustificata, doveva essere verificata attraverso una più approfondita valutazione dell'attitudine degli elementi acquisiti a sostenere la pretesa dedotta in giudizio.
La deviazione della ratio decidendi della corte bresciana dai principi giuridici di ordine generale precedentemente ricordati è, poi, ancora più marcata con riferimento alla seconda operazione che deve presiedere alla formazione della prova critica. Alla formulazione del giudizio conclusivo, nel senso del mancato conseguimento della prova circa l'elemento soggettivo della proposta azione revocatoria, la corte territoriale è pervenuta in base alla considerazione dissociata dei pur molteplici aspetti della vicenda menzionati in motivazione (lettera con cui la debitrice proponeva ai creditori un piano di rientro con versamenti rateali;
contestuale revoca degli affidamenti da parte di ben sei istituti di credito operanti sulla stessa piazza;
revoca dell'affidamento ad opera della banca convenuta un mese dopo rispetto all'ultima rimessa oggetto di revocatoria;
decreti ingiuntivi, alcuni provvisoriamente esecutivi, emessi a carico della società nel periodo dei versamenti impugnati;

concreto andamento a rientro del rapporto di conto corrente) e non in esito alla coordinata valutazione dell'insieme di essi. Nessuna spiegazione viene offerta dalla corte bresciana del perché tutti i cennati elementi, nella loro sintesi, non erano in grado di concretare quelle presunzioni gravi, precise e concordanti, da cui trarre l'inferenza che la banca conoscesse lo stato di insolvenza della propria cliente e che quindi le rimesse riflettevano in concreto la volontà di ridurre l'esposizione debitoria in via preferenziale rispetto alle altre situazioni debitorie. Nell'impugnata sentenza, la corte si limita invero a negare valore indiziario al corteo di indizi addotti dalla curatela senza lo accertare se gli stessi elementi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove globalmente valutati, nel senso che ognuno potrebbe rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamanto. Ne risulta pertanto inficiato, sul piano del rispetto dei criteri che devono presiedere alla formazione della prova presuntiva e dell'adeguatezza e correttezza logico-giuridica della motivazione, il negativo apprezzamento circa il valore presuntivo da attribuire ai fatti noti accertati.
Il ricorso va dunque accolto con la conseguente cassazione, nel punto che ne forma oggetto, della impugnata sentenza e il rinvio della causa ad altra sezione della stessa corte di merito la quale procederà, con ampia libertà di apprezzamento, a nuovo esame della controversia per stabilire, tenendo presente gli enunciati principi, se agli elementi acquisiti possano attribuirsi i connotati della gravità, della precisione e della concordanza, si da giustificare l'inferenza della conoscenza dello stato di insolvenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi