Cass. civ., sez. I, sentenza 12/12/2003, n. 19027

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In tema di disciplina delle concessioni e delle locazioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato, l'art. 5, comma ottavo, del D.L. 2 ottobre 1995, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1995, n. 507, nell'estendere alle associazioni combattentistiche e d'arma, individuate con decreto del Ministro delle finanze, il beneficio - di cui all'art. 1 della legge 11 luglio 1986, n. 390 - della concessione assentita o della locazione stipulata per un canone ricognitorio annuo non inferiore a lire centomila e non superiore al 10 per cento di quello determinato sulla base dei valori in comune commercio, non riguarda anche le posizioni derivanti da occupazioni di fatto di tali beni relative ad annualità anteriori a quella in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato D.L., e ciò sia perché in favore delle dette associazioni combattentistiche non è prevista l'estensione anche del beneficio - di cui all'art. 4 della citata legge n. 390 del 1986 - della applicabilità del canone annuo ricognitorio, nella misura come sopra determinata, per le utilizzazioni precedenti alla avvenuta formalizzazione dei relativi atti di concessione o locazione, sia perché per dette posizioni il secondo periodo del medesimo comma ottavo dell'art. 5 del D.L. citato prevede la possibilità di una definizione, ma alle condizioni stabilite da un successivo decreto del Ministro delle finanze (poi emanato come decreto 7 maggio 1998, n. 195); ne consegue che, in mancanza di definizione alla stregua di detto decreto ministeriale, per le anteriori occupazioni senza titolo di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato è dovuto, da parte delle associazioni combattentistiche, il risarcimento del danno secondo le regole di diritto comune "ex" art. 2043 cod. civ..

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 12/12/2003, n. 19027
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19027
Data del deposito : 12 dicembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G O - Presidente -
Dott. G M - Consigliere -
Dott. S S Rel. - Consigliere -
Dott. S D P - Consigliere -
Dott. L M - Consigliere -
Dott. S P - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMBATTENTI &
REDUCI A.N.C.R., in persona del Presidente pro tempore elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE MAZZINI

146, presso l'avvocato E S T, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende ope legis;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 85/00 della Corte d'Appello di SALERNO, depositata il 25/02/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/06/2003 dal Consigliere Dott. S S;

udito per il ricorrente l'Avvocato S T che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R C che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Salerno con sentenza del 5 settembre 1996, rigettava l'opposizione dell'Associazione nazionale combattenti e reduci (ANCR) contro il decreto ingiuntivo con cui l'Amministrazione delle Finanze dello Stato le aveva intimato il pagamento della somma di L. 21.080.000 per l'occupazione nel periodo 1984-1987,di un'area demaniale marittima ubicata nella via Lungomare Trieste di Salerno;

ed in accoglimento della domanda riconvenzionale di detta amministrazione determinava per gli anni successivi, il reddito locativo non percepito da quest'ultima attraverso il coefficiente di incremento pari al 75% della variazione degli indici ISTAT previsto dalla legge 392/1978 sul canone determinato dal consulente tecnico nella misura di L. 8.000.000.
L'impugnazione dell'Associazione è stata respinta dalla Corte di appello di Salerno, la quale con sentenza del 25 febbraio 2000 ha rilevato: a) che tanto la legge 390/1986, quanto la legge 507/1995 riguardavano rapporti di locazione e concessione di beni demaniali e patrimoniali dello Stato e di ben individuati enti pubblici, mentre l'Associazione aveva occupato l'area demaniale nel periodo 1984-1995 senza titolo, commettendo peraltro rilevanti abusi ed era perciò tenuta al risarcimento del danno;
b) che l'art. 8 della legge 507/1995 che estende il beneficio del canone ricognitorio alle
associazioni combattentistiche, aveva fatto riferimento alle sole disposizioni di cui all'art. 1 della legge del 1986 e non anche a quelle dell'art. 4 relative ai rapporti antecedenti alla legge;
c) che infine l'applicazione del 75% della variazione degli indici ISTAT per il calcolo dell'indennizzo dovuto all'amministrazione finanziaria per gli anni successivi al 1984, costituiva soltanto un parametro per la determinazione del valore locativo dell'immobile, da rivalutare, dunque all'attualità per ottenere il risarcimento integrale del danno spettante al Ministero delle Finanze per l'illegittima utilizzazione del bene.
Per la cassazione della sentenza, l'ANCR ha proposto ricorso per due motivi;
cui resiste l'Amministrazione finanziaria con controricorso. L'Associazione ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso, l'ANCR, denunciando violazione degli art. 1 e 4 della legge 390/1986, nonché 8 della legge 507/1995, censura la sentenza impugnata per aver limitato l'ambito di applicazione delle menzionate disposizioni legislative alle occupazioni conseguenti a rapporti di concessione o locazione,senza considerare che l'art. 4 riguarda proprio le abusive detenzioni di tali immobili, come riconosciuto dalla stessa Avvocatura;
che l'art. 3 si riferisce a qualsiasi "utilizzazione di beni demaniali" e di "indennizzi di occupazione" e che infine il rinvio dell'art. 8 ricordato alla previsione dell'art. 1 della legge 390/1986 ne comporta necessariamente l'estensione a tutte le fattispecie a questa collegate,ivi compresa quella relativa alle occupazioni di fatto di cui al successivo art. 4;
che altrimenti avrebbero dovuto essere escluse espressamente.
Il motivo è infondato.
Come, infatti, hanno rilevato entrambi i giudici di merito, l'art. 1 della legge 390 del 1986 ha attribuito all'Amministrazione
finanziaria la facoltà di dare in concessione o locazione per la durata di non oltre 19 anni, agli enti indicati dalla norma e dal successivo art. 2 (fra cui non erano comprese le Associazioni combattenti), rispettivamente beni immobili demaniali o patrimoniali dello Stato, non suscettibili anche temporaneamente di utilizzazione per usi governativi, per un canone ricognitorio determinato con il criterio stabilito dal 1° comma.
Nessuna disposizione della legge ne prevedeva l'efficacia retroattiva, disponendo, anzi, il successivo art. 4 che restavano "acquisite all'erario le somme già corrisposte a titolo di indennità di occupazione per importi superiori a quello determinato con i criteri previsti dalla presente legge". E, tuttavia, quest'ultima norma provvedeva, altresì alla regolarizzazione di tutte le occupazioni e comunque delle utilizzazioni di fatto di detti immobili per le quali non era ancora intervenuto ne' un provvedimento concessorio, ne' un contratto di locazione, attribuendo sempre e soltanto ai medesimi enti indicati dagli art. 1 e 2 che le avessero attuate, la facoltà di avvalersi del canone ricognitorio a condizione che l'utilizzazione del bene risultasse "in corso alla data di entrata in vigore della presente legge". Siffatta facoltà è stata ulteriormente ampliata dall'art. 5 del d.l. 361 del 1995 conv. nella legge 437 del 1995, che ha aggiunto al
menzionato art. 4 un ulteriore comma con il quale il canone ricognitorio annuo è stato esteso anche "ai periodi di utilizzazione precedenti la data di entrata in vigore della presente legge";
e pur nell'ipotesi in cui fosse stato già accertato "con provvedimento giurisdizionale passato in giudicato, l'obbligo del pagamento di somme superiori, secondo la disciplina anteriormente vigente".
Da questa normativa sono rimasti, quindi, esclusi: a) anzitutto gli enti non compresi nelle categorie indicate negli art.1 e 2 della legge 390/1986, sia che fossero in possesso di un titolo che li legittimava all'utilizzazione dell'immobile, sia, a maggior ragione,se non ne avessero alcuno;
b) quindi le utilizzazioni di fatto di detti beni non ancora in corso all'epoca di entrata in vigore di detta legge, ma ad essa successive da parte di qualsivoglia ente: e, quindi, pur se rientrante fra quelli individuati dagli art. 1 e 2 che in tal caso avrebbero potuto avvalersi del canone ricognitorio solo dal momento del conseguimento della concessione ovvero dalla stipula del contratto di locazione secondo la previsione del 1° comma dell'art. 1.
L'Associazione ricorrente, invece, ha riconosciuto di non rientrare in alcuna delle menzionate categorie, di non aver ottenuto dall'amministrazione finanziaria la concessione ora menzionata e di detenere l'area demaniale marittima in esame,senza alcun titolo (neppure contrattuale) fin dall'anno 1984;
ragion per cui correttamente entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che l'occupazione del bene non dovesse essere disciplinata dalla legge 390/1986, bensì dalla normativa di diritto comune di cui all'art.2043 cod. civ. che pone a carico dell'occupante abusivo l'obbligo
del risarcimento del danno in favore del proprietario dell'immobile. Pertanto, a nulla rileva che la sentenza impugnata abbia limitato l'ambito di applicazione dell'art. 4 di detta legge alle sole utilizzazioni dell'immobile demaniale o patrimoniale fondate su di un titolo legittimo, escludendovi le occupazioni di fatto cui invece la norma ha inteso estendere "le disposizioni dell'articolo 1 concernenti l'ammontare del canone annuo ricognitorio": essendo decisivo che l'associazione non fosse inclusa fra gli enti autorizzati ad avvalersi di detto canone perché introdotto da quest'ultima norma esclusivamente a favore degli enti suddetti che utilizzassero l'immobile già alla data di entrata in vigore della legge.
Vero è che l'art. 5 del d.l. 415 del 1995 convertito nella legge 507 del 1995 ha esteso (comma 8°) alle Associazioni
combattentistiche le disposizioni dell'art. 1, comma 1° della legge 390/1986;
ma ciò comporta soltanto che anche l'Associazione
ricorrente avrebbe potuto conseguire un provvedimento concessorio in relazione all'area demaniale occupata in epoca successiva all'entrata in vigore della legge (art. 8) e pretendere da tale data l'applicazione del canone ricognitorio previsto dalla menzionata norma. Mentre per le posizioni relative alle annualità anteriori a quella in corso alla data di entrata in vigore della legge,la norma non richiama le disposizioni dell'art. 4 delle legge 390/86 anche perché prevede che le stesse "potranno dai medesimi enti essere definite alle condizioni di cui al presente comma" e che tuttavia a tal fine detti enti avrebbero dovuto presentare "apposita domanda, nei termini e con le modalità che saranno stabiliti con decreto del Ministro delle finanze".
Per cui, seppure la norma potesse interpretarsi nel senso che prescinde dal conseguimento di una concessione ovvero dalla stipula di un contratto di locazione, il collegio deve rilevare che dette "posizioni" antecedenti al d.l. 415/1995 sono state compiutamente disciplinate dall'art. 3 del d.m. 195 del 1998;
il quale non ha disposto affatto l'automatica estensione alle stesse del canone ricognitorio di cui alla legge 390/1986, ma ne ha subordinato la definizione,anzitutto alla presentazione di apposita domanda da parte dell'associazione interessata entro il breve termine di decadenza stabilito dal 3° comma. E, quindi, ha posto una serie condizioni per il suo accoglimento (fra cui l'impegno a rinunciare al giudizio in corso, ad accollarsi le relative spese, nonché ad accettare la misura degli indennizzi di occupazione stabilita dal competente u.t.e.), il cui verificarsi non è neppur dedotto dall'Associazione ricorrente;
ne' dalla sentenza impugnata, che in conseguenza ha correttamente calcolato l'indennizzo dovuto all'amministrazione finanziaria per l'occupazione senza titolo dell'immobile protrattasi a partire dal 1984 in base al menzionato disposto dell'art. 2043 cod. civ.. In ordine alla liquidazione suddetta, l'Associazione, con il secondo motivo, deducendo violazione degli art. 1223, 1591 e 2043 cod. civ., nonché 32 della legge 392 del 1978, si duole che la Corte di appello abbia confermato la determinazione del canone per gli anni successivi al 1984 con la rivalutazione prevista dall'art. 32 della legge 392/1978, senza considerare che la sua applicazione non è
automatica, ma subordinata dalla norma ad una specifica convenzione tra le parti;
che con l'applicazione del relativo coefficiente è stato, quindi, adempiuto all'obbligo di rivalutare la somma corrispondente al canone onde risarcire il creditore della perdita subita per la mancata utilizzazione del bene;
mentre gli interessi lo indennizzano per la mancata disponibilità delle relative somme, con la conseguenza che la loro corresponsione anche per l'entità del saggio che dopo il 1990 ha raggiunto il 10%, e per il disposto dell'art. 1591 cod. civ., esaurisce ogni possibile pregiudizio lamentato dal creditore, precludendo comunque la ulteriore rivalutazione dei relativi importi compiuta dai giudici di merito. Anche questo motivo è del tutto infondato.
La Corte di appello non ha ritenuto affatto che al canone di locazione dovuto dall'ANCR per gli anni successivi all'anno 1984 fosse applicabile il criterio di rivalutazione di cui all'art. 32 della legge 392/1978 in quanto ha escluso che alcun contratto di
locazione fosse mai intercorso tra le parti ed ha stabilito (cfr. pag. 2 del ricorso) che, essendo stato l'immobile occupato senza titolo, l'associazione ricorrente era tenuta a risarcire il danno sofferto dall'Amministrazione finanziaria per la mancata utilizzazione del bene durante detto periodo.
E tuttavia tale pregiudizio è stato considerato concidente con il reddito dell'immobile non percepito dall'amministrazione, corrispondente al suo valore locativo e determinato dal c.t.u. (senza contestazioni delle parti al riguardo) per il primo anno di occupazione (1984) in L. 8.000.000;
mentre per gli anni successivi in cui detto valore era via via aumentato, la sentenza impugnata ha calcolato siffatto aumento avvalendosi del menzionato criterio dell'art. 32, perciò utilizzato (non per rivalutare un inesistente canone, ma) esclusivamente quale parametro più attendibile per ottenere il più probabile ammontare del (più elevato) reddito (rispetto all'anno 1984) non potuto conseguire dal Ministero per non aver dato in concessione e/o in locazione l'immobile neppure durante questo periodo.
Consegue che, costituendo l'obbligazione avente per oggetto il risarcimento del danno - con qualsivoglia criterio liquidato - un debito di valore, come tale non soggetto al principio nominalistico, una delle necessarie componenti consisteva proprio nella svalutazione monetaria subita da ciascuna annualità di reddito perduto fino alla data della sentenza;
che dunque la Corte di appello era tenuta a calcolare anche d'ufficio,posto che l'integrale ed effettiva reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato l'evento dannoso, alla quale il risarcimento è preordinato, può essere conseguita solo tenendo conto di tale deprezzamento della moneta (Case. 3996/2001;
10043/2000;
11857/1997). Infine, questa Corte ha ripetutamente affermato che la rivalutazione della somma da liquidarsi a titolo di risarcimento di danni e gli interessi sulla somma rivalutata assolvono funzioni diverse, poiché la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale essa era prima del fatto illecito generatore del danno ed a porlo nelle condizioni in cui egli si sarebbe trovato se l'evento dannoso non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa;
ragion per cui correttamente la sentenza impugnata ha liquidato sia questi ultimi per il ritardo con cui il valore locativo dell'immobile era stato corrisposto, sia la rivalutazione monetaria avente la diversa funzione di esprimere l'entità di detto danno alla data della sentenza sì da realizzare il petitum originario nella dovuta interezza (Cass. 5728/2002;

7692/2001;
11190/1998).
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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